FERRARI, Carlo, detto il Ferrarin
Terzogenito di Francesco (1786-1852)., stampatore di stoffe, e di Elisabetta Marziali, nacque a Verona nella parrocchia di S. Silvestro il 30 sett. 1813.
All'errore d'anagrafe, dove già nel 1832 la famiglia del padre risulta registrata col cognome "Ferrarini" (Trecca, 1911, p. 169), si venne a sovrapporre, forse desunto da un altro pittore veronese, Francesco Perezzoli (morto nel 1772), l'uso del soprannome Ferrarin con cui è più generalmente noto alla storiografia locale.
La decisione del padre di affiancare alla propria attività principale un negozio di giocattoli e antichità, aperto in via Nuova (Verona, Bibl. civica, Mss. Righi, b. 265/33), non dovette restare senza conseguenze sul precoce interesse del F. per la pittura antica, che maturerà in un intenso impegno sul fronte del restauro - quando non più scopertamente della copia, e non solo come momento dell'esercitazione accademica - e insieme del commercio delle opere numerose sul mercato cittadino dopo la dispersione di molte collezioni nobiliari. Nel panorama artistico della Verona austriaca, all'inizio degli anni Trenta, l'attività del F. si rispecchia nelle vicende parallele di quel gruppo di pittori, da P. Caliari a D. Macanzoni, con cui condivideva le prime, discontinue, esperienze formative presso la locale Accademia; anche l'alunnato presso P. Nanin e L. Muttoni, ricordato dalle fonti (cfr. Trecca, 1911), va ricondotto prevalentemente nell'ambito di un tirocinio da restauratore e copista, cui si collegavano forse le decorazioni affrescate nel chiostro della chiesa degli scalzi, di cui si è persa documentazione.
Nel 1836, allievo presso la scuola dei nudo, il F. fu al centro di un episodio che gli costò l'espulsione (per esserne però riammesso, per meriti artistici, nel 1845) ma che provocò la solidarietà di altri allievi e insegnanti contro la linea accademica del presidente A. Pompei. Ciò non impedì che il mecenate e podestà filoaustriaco G. G. Orti Manara, commentando l'esposizione del 1837 nelle sale accademiche (Orti Manara, 1838), salutasse in termini entusiastici l'esordio paesaggistico del F., condotto "sull'esempio dei paesi dipinti dai fiamminghi". E secondo il registro di questa pittura, che univa al virtuosismo narrativo del vedutismo nordico le facili formule della scena di genere, il F. avrebbe dunque orientato da subito la sua produzione di maggior successo, ad iniziare dai lavori inviati tramite il Muttoni all'Accademia di Venezia nel 1839, che meritarono le lodi di L. Zandomeneghi, o dalla prima di una lunga serie di versioni di Piazza Erbe, dello stesso anno (già in collezione Pompei, ora Verona, Galleria d'arte moderna), esemplare di quella accattivante vena narrativa centrata sul luogo emblematico del "colore" veronese destinato a divenire il suo tema di maggior fortuna popolare venendo replicato più volte per il principe A. Demidoff (Verona, collezione privata, cfr. Marinelli 1989, p. 220), per la contessa M. Samoyloff (nel 1846, pendant di una Piazza dei Signori a Vicenza), o per lo scultore I. Fraccaroli in una variante esposta a Brera nel 1844 che fu giudicata con grande favore da F. Hayez.
La sua affermazione si andava nel frattempo consolidando; nel 1840 prese parte alla esposizione dell'Ateneo di Brescia con due tele (Fucina di maniscalco, venduto a Torino, ed Eremitaggio) che ne rivelano la vocazione profonda per la documentazione di costume, la quale finirà pure per prevalere sull'impianto paesistico nella più celebre Sagra a San Michele (Brescia, Pinacoteca civica; firmata e datata 1840) sommersa da una folla di minuti episodi narrativi, subito acquistatagli dal collezionista Paolo Tosio e replicata per il mercato inglese (Brescia, Pinacoteca civica; cfr. Marinelli, 1989, n. 163), e che avrà un pendant ancor più esplicitamente bozzettistico in La preghiera dei villici nello stesso museo. Al suo matrimonio con Giuditta Viola., l'11 novembre di quell'anno, ebbe come testimone Ludovico Macanzoni, il pittore più attivo a Verona nel campo della decorazione architettonica e, dal 1841, professore all'Accademia. Il crescente successo nel corso degli anni Quaranta si può concretamente ricostruire dall'espandersi della committenza tra l'aristocrazia (i conti Erbisti, Pompei, Albertini, Montanari, Da Lisca, Monga) e i circoli degli ufficiali austriaci di stanza in città. Il maresciallo Radetzky, che ammirato dalle sue Piazza Erbe gli aveva commissionato un quadro all'anno, sarà il principale destinatario di molte delle sue vedute di Venezia.
Queste finivano peraltro col ricalcare - come la Riva degli Schiavoni per F. Venini, esposta all'Accademia di belle arti a Venezia nel 1843, il Canal Grande e la Ca' d'oro del 1847 per il principe Troubetzkoy, o il pendant con La piazzetta dalla laguna e Il Canal Grande con la basilica della Salute (cfr. asta Sotheby's, Londra 20 giugno 1979, nn. 178 s.) - i luoghi e i monumenti più tipici della tradizione vedutistica settecentesca popolandoli di episodi di genere, sottraendosi così ad ogni adesione alle tematiche risorgimentali cui non sembra far cenno neanche ne IlCanal Grande a S. Simeon Piccolo (Orangerie italiana, Londra 1991, pp. 124 s.), pure datato al fatidico 1848. L'interesse di questo suo vedutismo per i temi lagunari manteneva tuttavia come costante controparte un'affezione profonda per i luoghi più caratteristici del paesaggio urbano di Verona.
I positivi riscontri critici all'esposizione dell'Accademia veronese del 1846 gli avevano intanto schiuso la via dei riconoscimenti ufficiali, e nella seduta dell'8 luglio di quell'anno fu nominato membro per la classe di pittura prospettica dell'Accademia di Venezia - alla quale offriva in dono l'anno seguente Il ponte Pietra a Verona (Moschini Marconi, 1970) - cui seguì nel marzo 1847 la nomina ad accademico professore di quella di Verona. Al prestigio ufficiale fu facile seguito l'attività di consulenza per mercanti e collezionisti, rovescio non sempre limpido della nascente storiografia artistica autoctona, che guardava ai Caroto, Morone e Dai Libri come agli equivalenti locali di Raffaello.
La sua vena di conoscitore maturerà in particolare dall'incontro con gli interessi collezionistici di Cesare Bernasconi, suo primo mecenate, che gli aveva messo a disposizione ad uso di studio alcuni locali della sua casa in dambio delle consulenze per la propria raccolta che, lasciata poi al Comune, andrà a costituire con quelle Monga e Pompei il nucleo fondante della Pinacoteca civica.
Per questo suo ruolo, dagli incerti confini tra lo studio e il restauro, la Municipalità veronese diede incarico al F. nel 1850 di redigere il catalogo della futura Pinacoteca comunale, mentre nel 1853 l'artista compilò con L. Muttoni quello della galleria di Giulio Pompei.
A quest'ambito si ricollega pure la sua limitata attività incisoria, con traduzioni da opere rinascimentali come la litografia col Battesimo di Cristo da F. Morone, dedicata al Bernasconi (matrice al Museo di Castelvecchio, cfr. Dillon-Marinelli-Marini, 1985, n. 347), e una Trinità e santi, da alcuni affreschi staccati di F. Morone, mentre più vicini ai caratteri della sua pittura romantica risultano i disegni per l'illustrazione di libri, come la veduta della rocca di Garda per il testo di G. G. Orti Manara, Delle avventure di Adelaide, sposa di Ottone I di Sassonia, delle notizie dei castelli di Garda e Canossa..., Verona 1844. Al Bernasconi era pure destinato il vistoso Autoritratto con berretto e tavolozza, del 1844 (ora Verona, Galleria d'arte moderna) - che, insieme con uno più tardo, non terminato (ripr. in Trecca, 1911), resta a documentare un'attività di ritrattista altrimenti nota solo dalle fonti (Il conte Giuseppe Venier, Padre Morelli, La contessina Thun a due anni) - da cui emerge esplicita la consapevolezza del suo ruolo predominante nel vuoto lasciato dalla definitiva assenza dalla città di Giuseppe Canella, riferimento comunque irrinunciabile per copie e imitazioni.
Sul vedutismo romantico di Canella il F. misura infatti da subito il proprio particolare genere di pittura urbana, risolto tuttavia nelle formule più consuete di un minuto virtuosismo facile a trasporsi in una dimensione popolare di straordinario successo, in cui raggiunge "con esattezza e rapidità prodigiosa, quasi scherzando" (Murani, 1844, p. 153) "la vera ricetta della tinta locale", con singolari anticipi sul gusto di A. Dall'Oca Bianca.
L'apice della notorietà e della fortuna commerciale è raggiunto però negli anni Cinquanta, segnato dalla visita al suo studio del giovane imperatore Francesco Giuseppe il 18 sett. 1851 e confermato da importanti commissioni come quella dei principe Demidoff, per cui eseguì nel 1854, dopo un apposito soggiorno a Roma, una Veduta del Foro Romano, Piazza di Spagna, il Porto di Ripetta, il Campidoglio e una Piazza Navona (ill. in Meneghello, 1986, p. 38) che, esposta all'Accademia di belle arti a Verona nel 1856, verrà premiata con la medaglia d'oro. A fianco della sua più tipica produzione vedutistica - nel 1852 espose, sempre all'Accademia di Verona, le vedute del Lago di Garda e della Chiesa di S. Stefano (cfr. IlCollettore dell'Adige, 16 giugno 1852) mentre del 1853 è quella con Ilponte della ferrovia in costruzione (cfr. asta Sotheby's, Londra 26 nov. 1985), del '56 il Rigagnolo a San Bernardino e Il canale dell'Acqua Morta, e nel 1860 è presente a Brera con la Porta Vescovo dall'interno (Marinelli, 1989, p. 238) - si cimentò in prove di pittura sacra ricordate dalle fonti e oggi di difficile valutazione. Tra queste una Sacra Famiglia esposta all'Accademia di Verona nel 1856; una Apparizione della Madonna presentata a Torino alla Mostra della Società di belle arti nel 1857, insieme alla Madonna dell'Olivo (ill. in Trecca, 1911, tavv. n. n.) che fu acquistata dal principe Eugenio di Savoia Carignano; Raffaele e Tobiolo, del 1865 e una Madonna della Pace eseguita nel 1859 dopo l'armistizio di Villafranca. Di questo stesso anno è pure la rara sortita nella pittura di storia con cui il F. si cimenta in un Cangrande che si congeda dalla famiglia per un viaggio in Baviera, e che avrà ulteriori riflessi nel S. Dionigi che battezza Clodoveo dipinto per R. Castellani de Sermeti, già nella sacrestia di S. Anastasia a Verona. In seguito, la facile piacevolezza della sua produzione sembra tradire rapidamente stanchezze e ripetizioni, di pari passo col crescere degli impegni pubblici (la nomina a direttore onorario dell'Accademia nel 1864 e a membro della Commissione d'ornato nel 1871) come di quelli di esperto, che lo videro pubblicare gli studi del Bernasconi sulla pittura rinascimentale (Studi del ... Cesare Bernasconi..., Verona 1859) e terminare poi il catalogo descrittivo della sua Galleria, passata di proprietà comunale nel gennaio del 1871. L'ultima attività del F. è segnata dal ritorno al genere a lui più consono della pittura prospettica, dopo lo scoraggiamento per un insostenibile confronto con i maestri del passato affidato ad un taccuino inedito di appunti e note autobiografiche (Verona, Biblioteca civica, ms. 1899), fitto inoltre di schizzi di figure dal vero che integrano quelli conservati agli Uffizi (Marinelli, 1986, p. 14).
Il F. morì a Verona il 28 genn. 1871 e il 31 fu sepolto nel cimitero monumentale; la lapide fu dettata dal conte Alberto Albertini.
Tutte le figlie del F. ereditarono dal padre una decisa disposizione per la pittura e ne furono, pur senza studi regolari, le prime allieve, anche se nessuna fece dell'attività artistica una occupazione continuativa.
Della primogenita Elisabetta (Elisa), nata a Verona il 24 ag. 1841, le fonti sono più generose nel ricordare la produzione, a prevalente soggetto sacro e ritrattistico. Esercitatasi bambina in copie da Raffaello nello studio paterno, espose nel 1858 una Sacra Famiglia alla mostra veronese della Società di belle arti. Al matrimonio nel 1862 col più brillante allievo del padre, Gaetano Cristani, seguì un periodo di grande attività, con presenze frequenti alle esposizioni locali. Del 1866 è una Allegoria del pudore e un dipinto non finito che rappresenta i feriti della guerra d'indipendenza ricoverati in San Fermo; del 1868 una Madonna col Bambino cui seguirono altri quadri a tema sacro (Adorazione nell'orto, in collezione Camuzzoni, o il paliotto per l'altare della Madonna in S. Luca) o storico (Raffaello si congeda dai familiari partendo per Roma, e l'Incontro tra s. Antonio da Padova e Ezzelino da Romano). Dopo la nascita del figlio Carlo, disturbi nervosi ne resero più discontinua l'attività, che pure vide ulteriori successi alle biennali veronesi (Cortile a Verona, Fattoria, e L'ortolano, nel 1896; Verdura e frutta, e Fattoressa nel 1900). Morì a Castelrotto di Negarine (Verona) l'8 dic. 1921.
Di Maria (Verona, 15 ag. 1843 - Firenze 1889), la più portata all'arte nel ricordo della sorella minore (Verona, Biblioteca civica, Mss. E. S. Righi, b. 625/33), è nota tuttavia solamente la vasta produzione grafica.
Giulia (30 dic. 1845-io ag. 1901), che esordi per emulazione delle sorelle maggiori con un gran numero di schizzi e disegni (di cui alcuni, come una Testa femminile datata 1874, vanno a mescolarsi a quelli paterni nel taccuino ms. 1899 della Bibl. civica di Verona), si dedicò prevalentemente al ritratto, benché i primi dipinti ricordati siano di genere e di veduta (Varie frutta, Fiori, e Veduta sulla via di Avesa, esposti nel 1873 alla mostra della Società di belle arti di Verona; cfr. Meneghello, 1986, p. gi). A questa fiorente attività, con più di quaranta ritratti realizzati tra Verona e San Martino Buon Albergo, dove si trasferì, affiancò la passione per la fotografia.
Di Adelaide (16 luglio 1850-17 febbr. 1893), infine, istruita prevalentemente dalla sorella Giulia, sono noti due album di disegni di paesaggio (Verona, Bibl. civica), a documentare una predilezione per la pittura prospettica che condivideva con il padre.
Fonti e Bibl.: Verona, Biblioteca civica, Mss. E. S. Righi, b. 625/33 (anche per Maria ed Adelaide); Ibid., Carteggio Scopoli, b. 475; Ibid., Mss. 999-1000 (Veduta per l'apparato della benedizione delle bandiere nel 1841, e Pianta di un tempio); ibid., 1899 (anche per Giulia); ibid., 3131, Catalogo con stima di quadri componenti la pinacoteca ... del fu dr. Cesare Bernasconi;Verona, Museo di Castelvecchio, Catalogo con stima della pinacoteca Bernasconi (ms.), 1871; G. G. Orti Manara, Sull'esposizione delle belle arti in Verona nel 1837. Relazione, Verona 1838, p. 17; G. Nicolini, in Commentaridell'Ateneo di Brescia, 1840, p. 238; F. Gambara, Cenni intorno alla vita del nobile conte Paolo Tosio, Brescia 1842, p. 21; A. Gaspari, Cenni artistici, in Foglio di Verona, 2 ag. 1843, p. 371; P. Baraldi, Esposizione di belle arti nelle sale della Comunale Pinacoteca, ibid., 11 sett. 1843, p. 440; P. Murani, C. F., in Giorn. Euganeo di scienze, lettere, arti, I (1844), pp. 152-158; G. C. Pasquini, Belle arti, in Foglio di Verona, 20 maggio 1846; Accademia di Venezia, Guida all'Esposizione del 1847, Venezia 1847, p. 8 n. 119; Esposizione ... promossa dalla Società delle belle arti, Verona 1868, p. 6 nn. 58-58bis (p. 4 n. 27 per Elisabetta); Catalogo di disegni - Raccolta Santarelli, Firenze 1870, p. 840; F. von Bötticher, Malerwerke des 19. Jahrhunderts, I, Leipzig-Dresden 1891, ad vocem;A. Avena, L'istituzione del Museo civico di Verona. Cronistoria artistica degli anni 1797-1865, Verona 1907, pp. 66-74; G. Trecca, F. C. detto il Ferrarin, in Atti dell'Acc. di agric., scienze e lettere di Verona, s. 4, XI (1911), pp. 169-193; Mostra del ritratto italiano dalla fine del sec. XVI all'anno 1861. Catalogo, Firenze 1911, p. 26; L. Celentano-P. Lubrano, Esiste un'arte moderna in Italia?, Milano 1912, p. 158; Festa d'arte al teatro Romano. Catalogo, Verona 1921, pp. 18 nn. 21-23, 20 n. 99; Accademia Cignaroli. Mostra di due secoli di pittura e scultura nelle opere dei maestri e dei soci (1750-1950), catal., Verona 1950, p. 18 nn. 2, 4-7; S. Moschini Marconi, Gallerie dell'Accademia di Venezia. Opere d'arte dei secoli XVII, XVIII, XIX, Roma 1970, p. 204 n. 497; Paolo Tosio. Un collezionista bresciano dell'Ottocento (catal.), a cura di M. Mondini-C. Zani, Brescia 1981, pp. 59 s.; U. G. Tessari, in Dalla Verona austriaca alla Verona italiana 1830-1900 (Accademia Cignaroli). Le grandi firme dell'Ottocento italiano nelle raccolte civiche (catal.), Verona 1982, pp. 20, 79; G. Dillon-S. Marinelli-G. Marini, La collezione di stampe antiche - Museo di Castelvecchio Verona (catal.), Milano 1985, pp. 172 nn. 347-348, 184 n. 367; S. Menaguale, Maestri dell'800 (catal.), Verona 1985, p. 6; S. Marinelli, in La pittura a Verona dal primo Ottocento a metà Novecento, acura di P. Brugnoli, Verona 1986, I, pp. 14, 19 s.; U. G. Tessari, C. F. (Ferrarin), ibid., pp. 185-189 (vedi pure ad Indicem, anche per Elisabetta e Giulia); B. Meneghello, Annali Società belle arti di Verona. 1858-1921, Verona 1986, p. 38 (p. 91 per Giulia); L'Ottocento di Andrea Maffei (catal.), a cura di M. Botteri-B. Cinelli-F. Mazzocca, Riva del Garda 1987, pp. 111, 132, 134, 136; S. Marinelli, in IlVeneto e l'Austria. Vita e cultura artistica nelle città venete 1814-1866 (catal.), a cura di S. Marinelli-G. Mazzariol-F. Mazzocca, Milano 1989, pp. 168-170 n. 105, 220 n. 148, 232 n. 163, 238 n. 172; P. Marini, La formazione dei musei nelle città della terraferma, ibid., p. 308; S. Marinelli, in La Pittura in Italia. L'Ottocento, Milano 1991, I, pp. 161, 163, 165; G. Marini, ibid., II, pp. 821 s.; C. von Wurzbach, Biographisches Lexikon des Kaiserthums Osterreich, IV, p. 192; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XI, pp. 441 ss. (anche per Elisabetta, Giulia, Adelaide); Encicl. Ital., XV, p. 51; Diz. encicl. Bolaffi dei pittori e degli incisori ital., IV, p. 369.