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FERRARA

di Francesca Roversi Monaco - Federiciana (2005)
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Ferrara

Francesca Roversi Monaco

I rapporti fra Federico II e Ferrara conobbero fasi alterne: la città, infatti, rispetto al conflitto che opponeva l'imperatore alla seconda Lega lombarda assunse posizioni di volta in volta divergenti, dibattuta fra l'orientamento guelfo dell'episcopio e quello filoimperiale del governo cittadino.

Ferrara rivestiva un importante ruolo strategico ed economico per la sua posizione geografica, centrale nell'ambito dei traffici commerciali imperniati sul sistema fluviale padano; a partire dalla metà del sec. XII il consolidarsi del comune procedette di pari passo con lo sviluppo degli interessi mercantili e artigianali, e la cointeressenza nel gestire le diverse attività economiche divenne il punto di equilibrio fra il vescovo e il comune.

All'inizio del sec. XIII due gruppi familiari si contendevano il potere cittadino, i Torelli e gli Estensi (v. Este, marchesi d'). Entrambi avevano appoggiato Ottone IV di Brunswick, mentre il vescovo seguiva le posizioni papali, allora filosveve: Salinguerra II Torelli, però, sosteneva lo sviluppo dell'istituzione comunale, mentre Azzo VII d'Este aveva impostato una politica dinastica che, poggiando su legami personali e sul papato, avrebbe poi frenato lo sviluppo autonomo della città nelle maglie di rapporti fondiari, feudali e clientelari, turbando l'equilibrio fra episcopio e comune e creando difficoltà all'ascesa del populus cittadino e all'evolversi politico-istituzionale del comune. Egli aveva favorito, inoltre, la penetrazione del patriziato veneziano nel territorio, contraendo così lo spazio degli operatori economici cittadini a favore dei forestieri.

Nel 1215, approfittando di una fase di debolezza degli Estensi, Salinguerra divenne signore di Ferrara; nel 1221 Azzo VII e i partigiani estensi cacciarono la fazione dei Torelli, ma si trattò di una vittoria di breve durata. Salinguerra ripristinò la sua posizione e fu dal 1224 al 1240 alla guida della città, cercando di mantenerla autonoma soprattutto da Venezia, che tendeva ad assumere il controllo della produzione e del traffico commerciale cittadino. Stretto fra le pressioni estensi e veneziane, egli assunse una posizione intermedia rispetto al conflitto fra l'Impero e i comuni padani, da un lato aderendo alla Lega nel 1231 e nel 1235, dall'altro favorendo in realtà un orientamento ghibellino, mentre Azzo VII si inseriva nel fronte guelfo, tanto che nel 1239 fu colpito dal bando imperiale.

Il radicalizzarsi del conflitto fra papato e Impero portò le file del guelfismo a rinserrarsi; si creò un fronte antiferrarese in cui confluirono Venezia, Azzo VII, il papato, l'arcivescovo ravennate Tederico e il nuovo presule di Ferrara, Filippo da Pistoia (1239-1249), uomo di Curia, versato nella diplomazia e nell'arte militare, "quasi certamente inviato dalla S. Sede alla sede ferrarese per rimuovere e capovolgere nella città padana una situazione politica che si era fatta decisamente incompatibile colle pretese di sovranità che i papi non avevano rinunciato da tempo a dichiarare ripetutamente" (Vasina, Comune, vescovo e signoria, 1987, p. 94). Ciò determinò una totale dissociazione dell'episcopato cittadino dal comune e dal ceto dirigente ferrarese, acuendo le tensioni all'interno della città. Nel 1240 il vescovo occupò i castelli di Bergantino, Bondeno e Ficarolo, sconvolgendo l'apparato difensivo della parte torelliana, mentre una spedizione armata al comando del legato papale Gregorio da Montelongo, appoggiata dalla flotta veneziana, dalla fazione estense in esilio e da truppe guelfe provenienti da Ravenna, Bologna, Mantova, Milano, volgeva verso Ferrara. Le navi veneziane munite e armate di torri risalirono il Po e si portarono sotto le mura della città, che fu assediata da febbraio a giugno. Per piegarne la resistenza si dovette, però, ricorrere all'inganno: si fece credere a Salinguerra nella possibilità di una resa onorevole attirandolo nel campo nemico, dove fu catturato per essere ceduto ai veneziani, che lo tennero prigioniero fino alla morte ricoprendo per due anni la carica podestarile nella città e imponendole un oneroso accordo commerciale. Venezia otteneva così il monopolio dei traffici sul Po.

Ferrara subì saccheggi e distruzioni, la fazione perdente fu esiliata, lo spirito di convivenza civica e le autonomie locali entrarono in crisi nel prevalere dei grossi interessi forestieri fondiario-feudali e commerciali. Riccobaldo da Ferrara, nella Chronica parva Ferrariensis, evidenzia come i fatti del 1240 avessero portato all'estinzione delle famiglie dell'aristocrazia consolare cittadina, che avevano costituito l'ossatura del comune ed erano state depositarie di una tradizione di autonomia in cui potevano ancora coesistere gli interessi dei ceti di proprietari terrieri con quelli dei ceti popolari. Il loro declino sottolineò l'inconsistenza dei ceti produttivi e la loro incapacità di reggere le nuove forme di potere che si andavano affermando con gli Estensi. Azzo VII riconobbe infatti la sovranità papale su Ferrara e il territorio bassopadano, lasciando nel contempo via libera al monopolio commerciale veneziano. Tali vicende gettarono le premesse per il trapasso istituzionale dal comune alla signoria estense, avviando un ciclo storico nuovo, "in cui i Ferraresi, non potendosi identificare pienamente colla dinastia estense, si trovarono di fatto gradualmente relegati a condizioni subalterne e marginali, sempre più espropriati del loro destino e della loro peculiare vocazione padana" (Vasina, Comune, vescovo e signoria, 1987, p. 95).

fonti e bibliografia

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