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MALATESTA, Ferrantino

di Anna Falcioni - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 68 (2007)
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MALATESTA (de Malatestis), Ferrantino

Anna Falcioni

Figlio di Malatesta detto Malatestino dall'Occhio e di Giacoma dei Rossi, nacque in una data imprecisabile da collocare intorno alla metà dell'ottavo decennio del XIII secolo. L'assenza di notizie sui natali del M. ha favorito erronee identificazioni e scambi di persona.

Diffusa, soprattutto, l'identificazione con il nipote Ferrantino, figlio del secondogenito Pandolfino, distinguibile dall'avo per l'utilizzo dell'appellativo Novello. Il 3 giugno 1324, giorno delle nozze di Galeotto Malatesta ed Elisa della Valletta, il M. fu insignito del cavalierato, che gli valse il titolo di messere con il quale è facilmente individuabile nelle fonti documentarie.

Le prime attestazioni ritraggono il M. al fianco del padre e dello zio Pandolfo (I), coetaneo del Malatesta. Alla morte dello zio Giovanni, nel 1304, il M. fornì a Pandolfo un sostegno imprescindibile per consolidare la signoria malatestiana su Pesaro ed estenderne il raggio di influenza nelle aree limitrofe.

Fano, Senigallia e Fossombrone entrarono nell'orbita delle "terre malatestiane", mentre fallì l'annessione di Iesi (1305) nonostante l'appoggio di Tano Baligani, esponente di uno dei più importanti casati della nobiltà di Iesi con cui i Malatesta intrattenevano rapporti di collaborazione.

L'esito negativo dell'impresa non infirmò i legami tra Malatesta e Baligani, che suggellarono la strategica alleanza politica e militare con il matrimonio tra il M. e Belluccia, sorella di Tano, avvenuto prima del 1307 e dal quale nacquero una femmina, Samaritana, e due maschi, Malatestino Novello e Pandolfino.

Progressivamente il M. godette di una sempre più larga autonomia in seno al casato. Nel 1307 rientrò nella rosa degli eredi maschi emancipati da Malatesta Malatesta detto Malatesta da Verucchio, che lo nominò nell'elenco dei lasciti testamentari redatti nel febbraio 1311. Morto poco dopo Malatesta da Verucchio, nel governo dei domini malatestiani subentrarono Pandolfo e Malatestino, appoggiato dal M., che acquisì il governo di Cesena, dove fu eletto podestà.

Nel 1313 il M., al comando di un convoglio militare, accorse in aiuto dei Fiorentini promotori di una vasta alleanza antimperiale. La morte di Enrico VII, avvenuta in quell'anno, tuttavia vanificò l'impresa e il M. fece ritorno a Rimini senza avere sostenuto alcuna battaglia. In quegli anni il M. era presente come podestà nella città di Cervia, coinvolta in una disputa con la Repubblica di Venezia per il mancato pagamento, da parte di quest'ultima, di un tributo annuale.

Nel 1314 il M. rivestì lo stesso incarico a Cesena, ancora una volta come sostituto di Malatestino che, nominato podestà di Forlì, aveva trasferito al figlio la conduzione della città, lacerata da feroci lotte intestine. Alla reggenza di Cesena il M. cumulò nel 1315 l'ufficio di conservatore nella città e nel contado di Rimini. Secondo una prassi consolidata nella famiglia, infatti, il M. era costantemente chiamato ad affiancare il padre al governo, in previsione della successione.

Nel frattempo Malatestino era stato cacciato da Forlì, riconquistata dai ghibellini, ma nel giugno 1317 un nutrito contingente di cesenati, al seguito del M., sostenuto dai Bertinoresi e dal conte Diego di Larat, vicario del re Roberto d'Angiò, riuscì ad assicurare nuovamente la città alla Chiesa.

Alla morte del padre, nel 1317, il M. ottenne la defensoria di Rimini, ritagliandosi una posizione influente all'interno del casato, benché fosse Pandolfo ad assumerne l'effettiva direzione.

L'intuibile rivalità non impedì ai due Malatesta di coltivare rapporti di collaborazione: alla fine del 1319 il M. aderì con Pandolfo al progetto di papa Giovanni XXII, volto al rafforzamento della Chiesa nella regione tramite una lega di signori romagnoli che sostenesse l'azione di recupero intrapresa dal rettore Aimerico di Châteluz. L'auspicata cooperazione conobbe fasi di crisi: essere campioni del guelfismo romagnolo non impediva certo ai Malatesta di assumere atteggiamenti ostili nei confronti della Chiesa, qualora fosse in qualche modo danneggiato l'interesse della famiglia. Lo scontro si focalizzò su questioni di natura economica inerenti principalmente la vendita e il commercio del sale: nel 1321 il M. e Pandolfo furono accusati di occupare illegalmente le saline di Cervia privando la Camera apostolica dei relativi proventi. I Malatesta non diedero probabilmente peso alle denunce della Chiesa se, nel luglio 1325, la questione risultava ancora lontana da una soluzione. Giovanni XXII non poteva tuttavia prescindere dal sostegno del casato in una situazione in cui i Montefeltro minacciavano di assumere il predominio in Romagna e nella Marca. La controffensiva pontificia, infatti, fu diretta in prima persona da Pandolfo, che riuscì, aiutato dal M., a condurre nuovamente il fronte guelfo alla vittoria. Mentre un'ampia area della Marca era strappata all'influenza feltresca, nell'aprile 1321 il M. assunse, su legato di Pandolfo, la podesteria di Fano. Le conquiste di Pandolfo e del M., attestate dal carteggio con Giovanni XXII, che da un lato plaudiva alle imprese dei due e dall'altro impartiva loro rigide direttive, subirono una brusca battuta d'arresto nell'agosto 1323. Il M., al comando delle truppe riminesi, fu sconfitto presso monte Cavallino dal conte Speranza e dal nipote Nolfo da Montefeltro, che avevano riconquistato Urbino.

L'episodio, correlato alla successiva perdita di Cesena, segnò l'inizio del declino del M., schiacciato sempre più dalla predominante figura dello zio Pandolfo. La sua fidata collaborazione, tuttavia, si rivelò nuovamente preziosa al tempo della congiura ordita nel 1324 dal cadetto Uberto Malatesta, conte di Ghiaggiolo, ai danni di Pandolfo. Oscure pertanto e apparentemente ingiustificate le cause che, a seguito della vicenda, incrinarono i rapporti fra i due congiunti.

La frattura della tradizionale intesa, forse imputabile a una crescente insofferenza del M. nei confronti dell'indiscussa supremazia esercitata dallo zio, ebbe vasta risonanza e allarmò il pontefice, che intervenne nella lite tentando di smorzarne i toni, proprio mentre il M. era impegnato nel conflitto mosso dai Tarlati di Arezzo contro Perugia per il possesso di Città di Castello (1325). Neppure la morte di Pandolfo (I), nel 1326, appianò gli attriti, anzi acuì i contrasti per la successione. Il M. doveva spartire la ricca eredità di famiglia con Malatesta Antico, figlio di Pandolfo (I), che si dimostrò assai più restio del padre ad accordi e compromessi. Si approdò a una soluzione temporanea per cui il M., da anni associato al potere, assumeva il controllo di Rimini e Malatesta prendeva possesso di Pesaro.

Il precario equilibrio fu presto scardinato da forti pressioni interne ed esterne al casato. Riconquistato, nel maggio 1326, il castello di Santarcangelo occupato dall'avversa fazione dei Balacchi, il M. dovette poco dopo intervenire con il proprio seguito nella Marca, teatro di nuove rivolte. Contemporaneamente Ramberto, figlio di Giovanni Malatesta, escluso dalla spartizione dei domini disposta alla morte di Pandolfo, fomentava nuove spinte centrifughe: l'obiettivo era eliminare tutti gli esponenti del casato che avrebbero potuto ostacolare l'ascesa al potere. A tal fine, nel luglio 1326, Ramberto, risoluto a compiere un eccidio, convocò una riunione di famiglia, alla quale parteciparono il M., Ferrantino Novello, Malatestino Novello e Galeotto. Sembra che l'assenza di Malatesta Antico evitasse la strage inducendo Ramberto, timoroso di una ritorsione da parte di Malatesta Antico, a mutare il progetto di omicidio collettivo in prigionia.

L'intervento del legato pontificio Bertrand du Poujet riuscì a conciliare i distinti rami del casato, ma la tregua non era destinata a durare. La discesa in Italia di Ludovico il Bavaro (1327) indusse la Chiesa ad approntare un piano di difesa nel quale fu direttamente coinvolto il M., presente a Firenze nell'aprile 1327 come rappresentante delle forze guelfe in Romagna. Il rinfocolarsi delle lotte di fazione e i gravosi incarichi di cui fu investito il M. indussero Guido, fratello di Ramberto, ad allearsi con Arezzo e i ghibellini Parcitadi, promuovendo nel luglio 1328 un attacco congiunto contro la città di Rimini. L'assalto fu contrastato con prontezza dal M. e da Malatesta Antico, ai quali il pontefice rinnovò le lodi per avere preservato la città.

A dispetto degli accordi di pace auspicati dalla Chiesa, i contrasti fra le personalità più rilevanti del casato non accennavano a placarsi e i Malatesta furono richiamati in più occasioni ad Avignone, al cospetto della corte pontificia, per rinnovare gli atti di sudditanza.

Anche se formalmente reintegrato nei propri domini, il M. fu, di fatto, deposto da du Poujet che, nell'aprile 1331, gli intimò di rinunciare a ogni diritto sulla città di Rimini e sui castelli del contado. Colto alla sprovvista, il M. convocò un consiglio di famiglia per ponderare accuratamente tutte le implicazioni della scelta. Prevalse la posizione del cugino Malatesta Antico che, teso a perseguire una personale ascesa al potere, consigliò di consegnare la città al legato. Per il M. ebbe inizio, allora, una lunga peregrinazione, che lo condusse dapprima a Roncofreddo, quindi a Bologna presso il legato e, infine, nel Veneto, a Portobuffolé, dove risiedeva la figlia Samaritana, andata in sposa a Tolberto da Camino.

L'asservimento del M. alle disposizioni del legato non incontrò l'approvazione del figlio Malatestino Novello che, in segno di protesta, si arroccò nel castello di Mondaino, ricevendo aiuti da Perugia, Arezzo, Fabriano e Urbino. Malatesta Antico e Galeotto, invece, sostennero il legato, rendendo necessario l'intervento del Malatesta. Grazie alla mediazione del padre, infatti, Malatestino Novello rinunciò all'impresa e, in cambio degli altri castelli dislocati nel contado riminese, restituì Mondaino. Il 25 maggio 1332, tramite breve pontificio, fu proclamata la tregua che avrebbe dovuto preludere alla riconciliazione di Malatesta Antico con il M. e Malatestino Novello. Ma il mancato appoggio di du Poujet a Galeotto e Malatestino Novello, caduti prigionieri degli Este nell'aprile 1333, innescò una congiunta reazione di Malatesta Antico e del M. che, riconquistati i castelli del contado, fecero il loro ingresso trionfale a Rimini mettendo in fuga il rappresentante legatizio Brandaligi Gozzadini (22 sett. 1333). Fu così restaurato il dominio del M. a Rimini e di Malatesta Antico a Pesaro, mentre con l'aiuto di Giacomo da Carignano, il 16 apr. 1334, i Malatesta ripresero il controllo di Fano e Fossombrone. I giochi di potere che minavano l'unità del casato determinarono un nuovo capovolgimento della situazione: il 3 giugno 1334 Malatesta Antico, celando sotto una falsa ospitalità le ambiziose mire di dominio, invitò il M. nel proprio castello riminese e lo catturò insieme con il figlio Malatestino Novello e il nipote Guido.

Ormai ritenuto inoffensivo perché privato dei suoi domini, il M. fu liberato nel 1335 e trovò riparo a Urbino presso il nipote, il quale appoggiato dal conte Nolfo da Montefeltro, suo cognato, e dai castellani di Mondaino, Saludecio, San Giovanni in Galilea, Roncofreddo e Monleone, proseguì la lotta contro i signori di Rimini e di Pesaro. Le rivalità si protrassero fino al 1343, allorché in un accordo stipulato a Urbino con i fratelli Galeotto e Malatesta Antico, al M. e al nipote Ferrantino Novello spettò soltanto il possesso di Mondaino, che comunque tennero per pochi anni.

Perduta ogni ragione anche su quel castello, il M. ottenne il permesso di trasferirsi a Rimini, dove morì il 12 nov. 1353.

Il M. fu noto non solo per i fatti d'arme e per la rilevanza pubblica, ma anche per i rapporti con il mondo della cultura. Anticipando la straordinaria stagione artistica di Sigismondo, il M. entrò in contatto con Neri e Pietro da Rimini, artisti locali conosciuti, forse, attraverso i francescani, e a loro commissionò la realizzazione di alcune miniature per un prezioso commento, in lingua franco-provenzale a opera di Goffredo da Picquigny, dei Vangeli, degli Atti degli apostoli e dell'Apocalisse (Biblioteca apost. Vaticana, Urb. lat., 11, del 1321-22). Tale testimonianza apre uno spaccato sulla genesi della committenza malatestiana e sulla scelta che il M. fece di avvalersi dell'entourage artistico della "scuola" riminese trecentesca, la quale si inserì nel vivo del rinnovamento espressivo inaugurato da Giotto. Questi, soggiornando proprio a Rimini agli inizi del secolo XIV per dipingere nella chiesa di S. Francesco, trasmise la sua maniera e il suo metodo di lavoro ai pittori locali, che divennero precoce veicolo di diffusione dello stile giottesco.

Fonti e Bibl.: Corpus chronicorum Bononiensium, a cura di A. Sorbelli, in Rer. Ital. Script., 2a ed., XVIII, 2, pp. 305-307, 311; M. Battagli, Marcha, a cura di A.F. Massera, ibid., XVI, 3, pp. 32-34, 76, 80; Cronaca malatestiana del secolo XIV (1295-1385), a cura di A.F. Massera, ibid., XV, 2, pp. 8-15, 17; C. Clementini, Raccolto istorico della fondatione di Rimino e dell'origine e vite de' Malatesti, I, Rimino 1617, pp. 554-572; L. Tonini, Della storia civile e sacra riminese, III, Rimini nel secolo XIII(, Rimini 1862, pp. 175, 252, 259, 274, 324, 720; IV, Rimini nella signoria de' Malatesti(, 1, ibid. 1880 ad ind.; ibid., 2, ibid. 1880, pp. 51 s., 62-64, 71-73, 79-81, 95-99, 103, 107 s., 110, 120; G. Franceschini, I Malatesta, Varese 1973, pp. 83 s., 87-101, 103, 105-107, 110; C. Cardinali, Le lotte dei discendenti di Malatesta da Verucchio per la successione alla signoria di Rimini (1312-1334), Rimini 2000, ad ind.; Le arti figurative nelle corti dei Malatesti, a cura di L. Bellosi, Rimini 2002, pp. 1, 63 s., 498, 517, 523, 525; C. Cardinali - A. Maiarelli, Figure femminili alla "corte" malatestiana di Rimini nel Trecento, in Le donne di casa Malatesti, a cura di A. Falcioni, Rimini 2005, pp. 241-247.

Vedi anche
Malatèsta, Malatesta III, detto Guastafamiglia, signore di Rimini e Pesaro Malatèsta, Malatesta III, detto Guastafamiglia, signore di Rimini e Pesaro. - Figlio (Rimini 1299 - ivi 1364) di Pandolfo I. Aiutò dapprima il cugino Ferrandino a liberarsi da Ramberto figlio di Gianciotto, che aveva occupato Rimini. Poi appoggiandosi a Bertrando del Poggetto, assieme al fratello Galeotto, ... Malatèsta, Pandolfo I, signore di Rimini e Pesaro Malatèsta, Pandolfo I, signore di Rimini e Pesaro. - Figlio (m. Rimini 1326) di Malatesta II da Verucchio. Dal fratellastro Malatestino ebbe il governo di Pesaro, Fano e Senigallia, ma si mostrò poco abile nel difenderle dai nemici. Morto Malatestino, governò Rimini col nipote Ferrandino; combatté la ... Malatèsta, Malatestino, detto dall'Occhio, signore di Rimini Malatèsta, Malatestino, detto dall'Occhio, signore di Rimini. - Figlio (m. Rimini 1317) di Malatesta II da Verucchio. Col fratello Gianciotto, operò contro i ghibellini della Romagna affermando solidamente la signoria, e combattendo anche contro i Malatesta di Sogliano, che umiliò con l'aiuto di Roberto ... Malatèsta, Paolo, detto Paolo Bello Malatèsta, Paolo, detto Paolo Bello. - Figlio (m. 1283 o 1284) di Malatesta II da Verucchio; nel 1282-83 capitano del popolo a Firenze; fu ucciso dal fratello Gianciotto assieme all'amante Francesca da Polenta, moglie dello stesso Gianciotto.
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malatestiano agg. – Della famiglia dei Malatèsta (o di uno dei suoi membri), che dalla metà del sec. 13° ebbe per due secoli la signoria di Rimini, e anche di altre terre della Romagna e delle Marche. In partic.: Biblioteca m., fondata...
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