GONZAGA, Ferrante
Unico figlio maschio di Cesare, signore di Guastalla, duca di Ariano, principe di Molfetta e conte di Giovinazzo, e di Camilla Borromeo, sorella di s. Carlo, nacque il 27 luglio del 1563 a Mantova (Arch. di Stato di Mantova, b. 2571), dove fino al 1565 ebbe stabile residenza la raffinata e culturalmente attiva corte paterna.
Dopo quest'ultima data i suoi primi anni trascorsero a Guastalla, dove il padre si trasferì in seguito a malcelate incomprensioni con il duca di Mantova Guglielmo, suscettibile forse per quel ruolo di principe illuminato e di prodigo mecenate impersonato da Cesare, che avrebbe potuto offuscare la sua stessa immagine e quella della propria parsimoniosa corte. Uno dei primi impegni ufficiali del G. fu di accompagnare a La Spezia nell'agosto 1573 il genitore, il quale, capitano dell'esercito spagnolo, era allora in procinto di imbarcarsi per la spedizione di Tunisi al seguito di don Giovanni d'Austria. Nel 1575, rimasto a solo dodici anni orfano del padre (morto il 17 febbraio), fu posto sotto la tutela della madre. L'anno successivo, con diploma imperiale del 3 febbraio, il G. ottenne l'investitura della signoria di Guastalla e la conferma degli altri privilegi feudali posseduti da Cesare, ai quali si unirono, a dispetto della sua giovane età, le cariche di capitano generale delle genti d'arme di Lombardia e di gran giustiziere del Regno di Napoli, concesse da Filippo II rispettivamente il 3 maggio 1575 e il 1° ag. 1576.
In quello stesso periodo sua madre, per far fronte alle gravi difficoltà finanziarie ereditate dal marito a causa soprattutto delle ingenti spese sostenute per le sue collezioni d'arte e per abbellire Guastalla con nuovi edifici, si vide costretta a vendere il ducato di Ariano, alienato nel 1577 a favore di Laura Goffredo Gesualdo in cambio di 59.000 ducati, una scelta alla quale corrispose nello stesso tempo un regime di austerità imposto a tutta la Comunità guastallese. Frattanto, sostenuta in ciò dal fratello cardinale, Camilla Borromeo iniziò un progetto di clericalizzazione di Guastalla, avviando l'edificazione ex novo di diverse chiese e altri edifici cittadini, opera poi proseguita con un fervore ancora maggiore dal G. stesso.
Uscito dalla tutela materna nel 1579, già con i primi provvedimenti amministrativi e di governo il G. fornì prova di notevole maturità, grazie anche a una sapiente educazione ricevuta fin dai suoi primi anni in varie discipline e che ebbe poi modo di mettere in mostra nel corso di tutta la sua esistenza. Al lungo periodo del G., che durò fino al 1630, corrispondono infatti gli anni di maggior splendore della corte guastallese, testimoniato, nel campo delle lettere, dall'aver egli continuato a proteggere fino al 1580 l'Accademia degli Invaghiti, istituita dal padre nel palazzo di famiglia a Mantova, e dall'averne istituita poco dopo un'altra a Guastalla denominata degli Affidati, attorno alla quale gravitarono G.B. Guarini, che vi lesse Il pastor fido, e altri insigni letterati e studiosi dell'epoca, quali il fiorentino Ippolito Carboni, Bernardino Baldi, di cui il G. fu allievo per la filosofia e la matematica, Bernardino Marliani, che fu suo segretario per molti anni e animatore della stessa Accademia, Aldo Manuzio il Giovane, che gli dedicò la seconda edizione dell'Aminta di T. Tasso (Venezia 1581). Con il Tasso mantenne frequenti e affettuosi rapporti; il poeta, oltre ad aver abitato per qualche tempo a Guastalla nel 1586 ed elogiato in quattro madrigali i versi del G., gli offrì una ventina di suoi componimenti, tra i quali la sua Apologia, allo stesso modo in cui Ascanio de' Mori, membro degli Invaghiti, gli dedicò la decima delle sue Novelle e Francesco Patrizi una sezione della Poetica. Lo stesso G. si cimentò nella poesia, componendo una favola pastorale rimasta inedita, l'Enone. Appassionato, inoltre, di musica, sembra che tenesse presso di sé valenti cantori, che si dilettava di accompagnare col clavicembalo.
Possessore di una fornitissima biblioteca (fu egli che introdusse la stampa in Guastalla) e dotato, come si è detto, di ampia cultura, i cui fondamenti, fin dagli anni giovanili, furono seguiti a distanza dallo zio materno Carlo, il G. lasciò una profonda impronta di sé soprattutto nell'assetto urbanistico di Guastalla, modernizzandola e imprimendole quell'aspetto di città, al quale ancora oggi è riconducibile il suo abitato. Fu anche responsabile di alcuni progetti; gli sono stati attribuiti i prospetti delle chiese di S. Francesco e dei padri teatini, Ordine, quest'ultimo, che egli volle introdurre in Guastalla nel 1616, dopo che ebbe accolto quello dei cappuccini nel 1591. Non trascurò inoltre di proseguire l'opera di fortificazione già intrapresa dal padre, chiamando presso di sé, per affidare loro la direzione dei lavori, prima Giuseppe Dattaro e in seguito Giambattista Clerici, poi allontanati perché il G. non giudicò soddisfacente il loro operato, avvalorando in questo modo la competenza architettonica che gli è attribuita. Il G. si affidò quindi al casalasco Giacomo Antonio Della Porta, ritenuto un esperto conoscitore dell'arte fortificatoria. Con l'aiuto economico della Comunità di Guastalla poté inoltre riscattare presso il duca di Mantova le artiglierie già impegnate dal padre Cesare, completando così con esse la difesa della città, che volle poi dotare di un ospedale costruito su un terreno che egli stesso aveva donato nel 1581. Ma neanche il contado fu trascurato e con un'avveduta opera di bonifica il G. fece recuperare alle colture vasti terreni, sottraendoli alle paludose valli dell'adiacente fiume Po.
Sotto il suo governo fu completato il palazzo Gonzaga; anch'esso già avviato da Cesare, la sua trasformazione fu portata avanti da Bernardino Campi, già attivo sotto il nonno del G., Ferrante (I). Il Campi raffigurò in dipinto alcuni episodi della Guerra di Troia e una sala con le Fatiche di Ercole; a lui si aggiunsero Marco Bonino, il cremonese Gian Antonio Morandi, Orazio Lamberti da Asola, Pietro Martire Pesenti detto il Sabbioneta. I lavori furono già in buona parte completati in occasione delle nozze del G. con Vittoria Doria, figlia di Andrea principe di Melfi, avvenute nell'aprile 1587.
Il G. si preoccupò anche dei suoi feudi napoletani, i cui interessi volle curare di persona. A questo scopo vi si recò in varie occasioni, per brevi periodi, come nel settembre 1584, o per più lungo tempo, come nel 1587, quando, dopo essersi sposato a Genova, vi dimorò con la consorte fino al 1590. Soggiorno che si ripeté poi nel corso del 1597. Malgrado ciò, per sanare i debiti contratti nell'edificazione di Guastalla, fu obbligato a vendere il principato di Molfetta e la contea di Giovinazzo, ma fu dissuaso dai residenti di quelle stesse terre, che gli offrirono 12.000 scudi per godere ancora della sua protezione. L'offerta fu rifiutata, ma il G. riuscì con altri mezzi a conservare quei feudi.
Nel 1581 il G. si recò anche in Spagna al seguito del corteo che scortava l'imperatrice vedova Maria d'Austria di ritorno nella penisola iberica dopo la morte del marito, l'imperatore Massimiliano II. Ritornò in Spagna, con il medesimo incarico, nel 1599, questa volta quale accompagnatore ufficiale di Margherita d'Austria, sposa promessa del nuovo re di Spagna Filippo III, il quale, a conclusione della missione, concesse al G. come atto di grande riconoscimento l'Ordine del Toson d'oro.
Maggior segno di stima gli venne dall'imperatore Ferdinando II, allorquando, nel 1619, promosse la signoria di Guastalla a contea, provvedimento al quale fece seguito il diploma cesareo del 2 luglio 1621 con il quale elevò il G. a duca di Guastalla con diritto di successione nella linea primogenita. Il 23 marzo 1624 giunse la concessione della patente di commissario imperiale per gli affari italiani. Affidandogli con essa un incarico di primo piano negli interessi politici della penisola, l'imperatore istituzionalizzava su scala nazionale quel ruolo che, grazie alla sua personale autorità, già da tempo era attribuito al G. all'interno della casata quale arbitro e paciere dei vari rami della famiglia. Il suo status arrivò di conseguenza a surclassare la stessa posizione dei duchi di Mantova, che proprio in quel periodo attraversavano la più grave crisi dinastica della loro storia. La morte senza eredi di Vincenzo II nel 1627 autorizzò, infatti, le aspirazioni del G. sul Ducato ed esse tanto più parvero concretarsi quando, con il successivo coinvolgimento di Francia, che appoggiava nella successione i Gonzaga Nevers, Spagna e Impero, che propendevano per la casa di Guastalla (tradizionale loro alleata), egli si vide inevitabilmente coinvolto nel conflitto quale favorito alla corona ducale di Mantova. La lotta, inserita nella guerra europea dei Trent'anni, fu in un primo tempo circoscritta al solo Monferrato, ma ben presto raggiunse anche il Mantovano, quando, dopo un lungo assedio, Mantova venne conquistata e saccheggiata dagli Imperiali nel luglio 1630. La peste che ne seguì dilagò nella città, non risparmiando la vicina Guastalla.
Il G. contrasse il morbo e morì in una sua corte nella vicina Reggiolo, dove si era rifugiato nel vano tentativo di scampare al contagio, il 5 ag. 1630.
Gli succedette Cesare, primogenito degli undici figli avuti dalla moglie Vittoria, anch'ella già morta, nel luglio del 1618.
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