ESTE, Ferrante d'
Secondogenito del duca Ercole I e di Eleonora d'Aragona, nacque presso Napoli il 19 sett. 1477; gli fu imposto il nome del nonno materno, re di Napoli. Furono suoi padrini di battesimo il cardinale Giuliano della Rovere - il futuro papa Giulio II - e l'ambasciatore di Firenze, Lorenzo de' Medici. Cresciuto alla corte napoletana, nel 1489 per volontà del padre si trasferì a Ferrara, dove ben presto fu, nell'ambito della politica estense di alleanza con la monarchia francese, avviato alla carriera militare presso quella corte.
Giunto in Francia nel dicembre del 1493, l'E. fu accolto da Carlo VIII con grandi segni di amicizia: gli venne assegnata una provvigione annua di 13.000 ducati e gli fu conferito il titolo onorifico di ciambellano reale. Prese quindi parte alla spedizione italiana di Carlo VIII, conquistandosi sul campo, specie in occasione della battaglia di Fornovo, il plauso del sovrano francese che lo ricompensò facendogli dono, il 26 sett. 1495, del ducato di Amalfi, peraltro ben presto perduto (1496) per le sfortunate vicende della campagna.
Nell'agosto del 1497, in concomitanza con il riavvicinamento del Ducato estense alla Serenissima, l'E. ricevette da Ercole I l'ordine di lasciare la corte francese per troncare le voci che correvano circa una nuova intesa con Carlo VIII.
Pochi mesi dopo il ritorno a Ferrara, l'E., come dimostrazione antifrancese e per venire incontro ai desideri di Ludovico il Moro e di Venezia, fu messo al servizio della Serenissima. Recatosi in visita ufficiale a Venezia insieme col padre nel novembre dello stesso anno, fu solennemente investito del titolo di condottiero della Repubblica di S. Marco e posto a capo di cento "elmetti" e cento cavalleggeri. Inviato nell'agosto del 1498 in aiuto dei Pisani in guerra con i Fio ' rentini, prese parte a quelle vicende belliche fino al gennaio del 1499, guadagnandosi la stima degli alleati. Mutati nuovamente al peggio i rapporti con la Serenissima, l'E. fece ritorno a Ferrara rimettendo alla Repubblìca l'incarico. Il 22 ottobre si recò insieme con Ercole I e col fratello Alfonso a Milano a prestare omaggio al re di Francia Luigi XII.
Rimasto qualche tempo presso il sovrano francese, l'E. fu al centro della fitta trama diplomatica che preparò il matrimonio tra Alfonso d'Este e Lucrezia Borgia.
Ercole I, su pressioni di Luigi XII, inizialmente sfavorevole al matrimonio del primogenito con la Borgia, mirò a differire le profferte del pontefice Alessandro VI che molto s'aspettava da quella unione, col proporgli il suo secondogenito. Tuttavia l'avvicinamento francese al papa in funzione antiaragonese e le inaccettabili contropoposte avanzate dal pontefice, che implicavano lo smembramento dello Stato estense, fecero fallire questo progetto. L'E. prese poi parte alle celebrazioni per il matrimonio del fratello con la Borgia. Il 9 dic. 1501 figura con 34 cavalli, 20 muli e 52 "boche" nel folto corteggio guidato dal cardinale Ippolito e inviato a Roma per prendere la sposa. La sera del 30 dicembre, nella sala Paolina di fronte al papa, ai cardinali e agli ambasciatori, spettò all'E., in qualità di delegato del fratello, far dono a Lucrezia Borgia dell'anello nuziale.
Sempre a margine delle intricate vicende politico-diplomatiche che fecero da sfondo a quel matrimonio, l'E. fu inviato nel giugno del 1502 a prendere possesso in nome del Ducato esterise delle città di Cento e Pieve, promesse in dote dal pontefice.
Nell'ottobre del 1503 Giulio II, da poco eletto, chiese espressamente ad Ercole I che fosse l'E. a prestargli l'obbedienza per conto della Signoria estense. Il papa lo ricevette il 3 novembre e in successive udienze con grandi manifestazioni d'affetto. Trattò con lui in confidenza "lungamente e liberamente" (Bacchelli, p. 310) le questioni di maggiore importanza, come avrebbe fatto con il duca stesso. Tuttavia tale familiarità con il pontefice, in considerazione della politica antiestense che questi di lì a poco doveva inaugurare, costituì una cattiva radice nei rapporti tra l'E. e i suoi fratelli Alfonso ed Ippolito.
Morto Ercole I nel 1505 e successogli Alfonso, le relazioni tra i fratelli degenerarono ben presto in contese sorde e feroci. Alfonso infatti tenne lontani dall'amministrazione dello Stato l'E., l'altro fratello Sigismondo e il fratellastro Giulio, a vantaggio del più giovane fratello Ippolito, al quale accordò piena fiducia e speciale autorità. Il risentimento per questa situazione indusse l'E. ad ordire una delle più sfortunate e al contempo celebri congiure del Rinascimento.
A rendere famoso l'episodio contribuì il fatto che le sue drammatiche vicende furono oggetto delle considerazioni del Machiavelli, del Guicciardini e di numerosi poeti e letterati, tra i quali l'Ariosto che in una sua egloga, scritta sotto l'impressione ancora viva degli avvenimenti, si schierò decisamente a favore del duca Alfonso e della ragion di Stato inveendo spietatamente contro i congiurati. L'E., celato sotto il nome di Phereo, viene descritto dal poeta come un uomo ambizioso, geloso di Alfonso, bramoso di potere ma dai "molli fianchi". Su questa vicenda l'Ariosto ritornò più tardi nell'Orlando furioso (canto III, st. 60-62) dedicandole due ottave che esprimono un maggior distacco dalla congiura e dai suoi protagonisti, invocando, retoricamente, la clemenza di Alfonso per i disgraziati fratelli.
L'istruttoria e la sentenza contro i congiurati, pur espurgate e addomesticate, fanno risalire il primo avvio della trama all'episodio del cappellano Rainaldo (1504), famigliare di Giulio d'Este, fatto rinchiudere dal cardinale Ippolito in prigione e poi liberato con la forza dall'E. e da Giulio. Un episodio gravissimo che segnò l'aperta ostilità tra i fratelli e che per i suoi oscuri risvolti, tra i quali l'appoggio fornito ai due fratelli da Alberto Pio, tradizionale nemico di casa d'Este, ammantò quell'insubordinazione del sospetto di tradimento.
Negli incontri che si tennero in quell'occasione tra l'E. e Giulio nei pressi di una località poco distante da Carpi, detta Le Lame, l'E. maturò l'idea di sopprimere Alfonso e impadronirsi del Ducato. Del progetto, come risulta dagli atti processuali, mise al corrente anche Albertino Boschetti, signore di San Cesario e il genero di questo Gherardo Ariberti detto Roberti, capitano dei balestrieri ducali, i quali, per motivi diversi, speravano in "una grande potenza quando Ferrante fosse diventato duca" (Bacchelli, p. 421).
La preparazione del piano per eliminare il duca si protrasse tuttavia tra incertezze, discussioni e tergiversazioni e l'E. non ebbe la forza di sostenere sino in fondo il progetto, che in effetti venne abbandonato dopo alcuni vani tentativi di uccidere Alfonso.
I frequenti incontri tra l'E. e Giulio dovettero comunque insospettire il cardinale Ippolìto, il quale peraltro già da qualche tempo faceva sorvegliare il fratellastro per cautelarsi da possibili vendette. Fu proprio una delle sue spie, Gerolamo Tuttobuono, che prestava servizio alla corte di Giulio d'Este, a metterlo sull'avviso di quanto andavano tramando i due fratelli. Ippolito lasciò astutamente che l'E. e gli altri congiurati si ritenessero al sicuro, intenzionato a sorprenderli alla prima occasione favorevole. Questa si presentò nell'aprile del 1506: Alfonso lasciò improvvisamente Ferrara con destinazione ignota, conferendo ad Ippolito pieni poteri. Il cardinale tirò allora le fila della rete pazientemente tessuta. Già nel maggio-giugno si ebbero i primi arresti e le prime confessioni, quelle del Tuttobuono e di un servo dell'E., anch'egli probabilmente spia dei cardinale, che rivelarono i particolari della congiura. Di lì a poche settimane l'E., Albertino Boschetti e Gherardo Roberti vennero arrestati mentre Giulio e un cappellano, Gian Cantore, pure invischiato nella congiura, riuscirono a fuggire. Interrogato da Alfonso, l'E. confessò senza che vi fosse bisogno di ricorrere alla tortura, cercando di addossare la responsabilità principale della trama al fratellastro. Il processo fu indetto su ordine d'Alfonso il 3 agosto e concluso con sentenze date in casa di Sigismondo d'Este. Il 9 settembre si ebbe quella che riconosceva la piena colpevolezza dell'E. e degli altri congiurati, condannandoli alla pena capitale. La pena dell'E. fu tuttavia commutata in "perpetuas carceres" e i suoi beni furono distribuiti tra i cortigiani e gli amici di Alfonso.
Rinchiuso nella torre del Castel Vecchio, l'E. vi trascorse trentaquattro anni. A nulla valsero le richieste di liberazione avanzate da Giulio Il a più riprese e neanche la scomunica che il papa lanciò su Ferrara nel 1512, motivata, tra l'altro, dalla prigionia del figlioccio.
Il rigore del carcere fu attenuato solo dopo la morte del cardinale Ippolito e del duca Alfonso: l'E. ottenne infatti di poter condividere la stanza con il fratellastro Giulio. Morì il 22 febbr. 1540 a Ferrara e fu sepolto senza onori nella chiesa di S. Maria degli Angeli.
Fonti e Bibl.: Diario ferrarese dell'anno 1409 sino al 1502 di autori incerti, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XXIV, 7, v. I, a cura di G. Pardi, ad Indicem; B. Zambotti, Diario ferrarese dall'anno 1476 sino al 1504, ibid., XXIV, 7, v. II, ad Indicem; Della vita di Alfonso d'Este scritta da Bonaventura Pistofilo, in Atti e mem. delle RR. Deput. di storia patria per le antiche provv. modenesi e parmensi, III (1866), pp. 494 ss.; M. Sanuto, Diarii, V, Venezia 1881, pp. 311, 474, 533, 583, 689; VI, ibid. 1881, pp. 30, 128, 159, 382 s., 388, 419; U. Caleffinì, Diario 1471-1494, a cura di F. Pardi, in Monum. della R. Deput. di storia patria per l'Emilia e la Romagna, sez. di Ferrara, I, Ferrara 1938, p. 200; II, ibid. 1940, ad Indicem; L. Ariosto, Le opere minori, a cura di G. Fatini, Firenze 1961, pp. 313-329; M. Catalano, Vita di L. Ariosto, in Biblioteca dell'Archivuni Romanicum, s. 1, XV (1931), pp. 236-249; G. Fatini, Le rime di L. Ariosto, in Giorn. stor. della letter. ital., Suppl. n. 25, Torino 1934, pp. 89-97; C. Dionisotti, Documenti letterari d'una congiura estense, in Civiltà moderna, IX (1937), 4-5, pp. 327-340; M Bellonci, Lucrezia Borgia la sua vita e i suoi tempi, Milano 1939, ad Indicem; R. Bacchelli, La congiura di don Giulio d'Este, Verona 1958, ad Indicem; L. Chiappini, Gli Estensi, Varese 1967, pp. 187, 190, 208, 215 ss., 219-222, 227; F. Gregorovius, Lucrezia Borgia secondo documenti e carteggi del tempo, Roma 1978, pp. 175 s., 208, 214 ss., 227, 230, 249, 298.