STELLA, Fermo
– Nacque presumibilmente a Caravaggio nell’ultimo decennio del Quattrocento, figlio di Giovanni Francesco: nei documenti il cognome è «de Rebuatis de la Stella» o più semplicemente «de la Stella»; non si conosce, invece, il nome della madre. Ebbe tre fratelli maggiori (Giovanni Antonio, Bernardino e Gerolamo) e una sorella, Elisabetta, che sposò prima del 2 aprile 1517 Gerolamo Ghisoni (Cara, 2008, p. 44, docc. 8-9). Risulta ignota l’identità del maestro cui si deve la sua prima formazione artistica.
Il più antico documento noto che lo riguarda è del 1510, quando fu pagato per aver dipinto uno «stendardo grande» (perduto) con le armi Borromeo, condotto ad Arona per la fiera di S. Bernardino, che si celebrava intorno al 20 maggio (Loiacono Astrua, 1977, p. 81 nota 28). In questo frangente, o poco più tardi, si situa il decisivo incontro con il valsesiano Gaudenzio Ferrari, al quale il 25 febbraio di quell’anno era stato commissionato un polittico per la collegiata di S. Maria Nuova, che il maestro avrebbe dovuto dipingere ad Arona. Tra le prime opere da assegnare a Stella verso il 1511-13 circa – ma riferite talvolta anche a Sperindio Cagnoli (Di Lorenzo, 1996; Villata, 2008), altro aiuto nella bottega di Ferrari in questi anni in cui i due allievi «si avvicinano [...] al punto da scambiarsi le opere nei dossiers dei conoscitori» (Romano, 2018, p. 61) – sono l’Annunciazione (Novara, collezione privata), elemento centrale di un polittico di ignota provenienza, e gli scomparti di un altro complesso parzialmente ricostruito, forse in origine conservato nella scomparsa chiesa dei Ss. Stefano e Domenico a Bergamo (Ss. Pietro martire, Gerolamo, Domenico, Vincenzo Ferrer (?), Bergamo, S. Alessandro della Croce; S. Tommaso d’Aquino tra i ss. Pietro e Paolo, Montichiari, Pinacoteca Lechi; Romano, 1990, p. 87 nota 12, e 2006; Facchinetti, 2006a, pp. 40-42, e 2006b), ispirati a modelli gaudenziani e milanesi, tra Bernardo Zenale e Bramantino.
Prima dell’8 gennaio 1515 Fermo era a Varallo (Cara, 2008, p. 43, doc. 3), probabilmente al seguito del maestro, che – non è da escludere – coadiuvò nell’esecuzione degli affreschi del tramezzo di S. Maria delle Grazie, compiuti nel 1513, e ripetutamente citati nelle opere successive. Poco dopo tornò in patria: nella chiesa francescana di S. Bernardino affrescò su un pilastro, sempre attingendo a modelli gaudenziani, la Madonna tra i ss. Bernardino da Siena e Rocco, provvista di una data – interpretata plausibilmente come 1515 (l’opera precede sicuramente il 1522) – e di una firma celate in un rebus, come già aveva fatto Ferrari a Varallo recependo il gusto per i giochi di parole diffuso da Leonardo in Lombardia. Fermo è attestato a Caravaggio nella primavera del 1517, quando presenziò alla divisione dei beni paterni (2 aprile) e ottenne dal suocero Gerolamo Griffoni la dote della moglie Chiara (8 aprile), e ancora il 3 aprile 1518 e il 7 gennaio 1519 (Cara, 2008, p. 44, docc. 8-13). Durante il 1519, secondo quanto riportato nelle Memorie pubblicate da Giovanni Capis (Milano 1673) e nei ricordi manoscritti che Paolo Rido della Silva trasse nel Settecento dai libri di spesa della propria casata, Fermo avrebbe decorato, per volontà del capitano Paolo della Silva, l’oratorio della Beata Vergine della Neve a Domodossola, la parrocchiale e il castello di Crevola, dove sarebbe tornato a lavorare nel 1526 e nel 1532 lasciando un’ancona in S. Francesco (Cara, 2008, pp. 44, 46-48, docc. 12, 26, 42; Bertamini, 2010, pp. 5-13); l’affidabilità di tali testimonianze, riguardanti perlopiù imprese non più esistenti, è però minata dall’esistenza di documenti d’archivio ed evidenze stilistiche che assegnano la paternità di alcune di esse a Sperindio Cagnoli (Romano, 2008, pp. X s.). È probabile che spetti a questa fase di forte consentaneità con l’arte di Gaudenzio la delicata Testa di santa staccata a massello che si conserva presso la Pinacoteca di Varallo, di cui è ignota la provenienza (Villata, 2006; Angeleri, 2014, con datazione al 1520-25 circa).
Dal giugno del 1521 e fino al 21 luglio 1524 Fermo fu costantemente presente a Morbegno, in Valtellina, dove lavorò, sempre al fianco di Ferrari, alla doratura dell’ancona lignea del santuario di S. Maria Assunta e S. Lorenzo, intagliata tra il 1516 e il 1519 dai pavesi Giovanni Angelo e Tiburzio del Maino (Perotti, 2007, pp. 25-27). Poco dopo lasciò nel santuario della Madonna di Tirano la tela con la Risurrezione dei figli di Christian Peterfeit di Bressanone e di Giovanni Rodio di Innsbruck (1524-25 circa), dove imbastì, seguendo sempre la lezione gaudenziana (affreschi nella cappella della Crocefissione del Sacro Monte di Varallo, ultimati prima del 20 agosto 1521), una scena narrativa di storia contemporanea (Facchinetti, 2006a, pp. 48 s.). L’attività di Stella in terra valtellinese, intervallata a sporadici ritorni a Caravaggio, proseguì, gradualmente discostandosi dall’alto magistero di Ferrari, con affreschi nell’oratorio di S. Marta, ora Museo parrocchiale, a Ponte (1524-25 circa; Togni, 1974); in quello di Gesù Cristo Salvatore a Poggiridenti (1526-27 circa); in S. Marta, nell’anno di peste 1527, e in S. Maria Maggiore a Sondalo, saldati l’11 dicembre 1527, dei quali sopravvivono solo cinque frammenti (Perrone, 1897; Palazzi, 1981, pp. 59 s.; Sala, 1998; Facchinetti, 2006a, pp. 50 s.); nell’oratorio di S. Lorenzo a Teglio, dove nel presbiterio dipinse la Crocifissione e Storie di s. Lorenzo, firmate e datate 26 giugno 1528: il Volto di Cristo in stucco che serve da chiave di volta sarebbe l’unica opera plastica riferibile all’artista, già ritenuto attivo, ma senza prove certe, nella decorazione delle cappelle del Sacro Monte di Varallo. Dipinse anche in S. Stefano a Mazzo, dove un perduto «arrivo dei Magi» recava la sua firma e una data, letta 1577 ma da considerarsi verosimilmente 1529 (Cara, 2008, p. 47, docc. 32-33; Facchinetti, 2008, p. 29); nello stesso anno tornò a Morbegno, dove fu pagato dai confratelli dell’Assunta, in giugno, «quando fecit mortuum» – forse un apparato funebre –, e poi in dicembre per la pittura di due angeli, saldati il 13 aprile 1530 (Perotti, 2007, p. 25). Non è possibile dire con precisione a quando risalgano gli affreschi firmati visibili almeno fino al 1866 nella chiesa di S. Antonio a Morbegno (Leoni, 1996, 2004, p. 365). Sempre secondo Capis, tra il 1530 e il 1531 ricevette la commissione di un’ancona, perduta, per la confraternita di S. Marta nel duomo di Domodossola (Cara, 2008, p. 47, doc. 40).
Nel 1531 era nuovamente a Caravaggio, dove eseguì gli affreschi raffiguranti, in cinque scomparti, Storie della Passione di Cristo nel tramezzo di S. Bernardino, dove nel settembre del 1537 il fratello Gerolamo rivestiva la carica di sindaco e procuratore (Facchinetti, 2008, pp. 3, 40); nelle figure muscolose e grifagne del grande murale si registra l’avvicinamento di Stella alla pittura anticlassica di Gerolamo Romanino, la cui conoscenza fu probabilmente mediata dal conterraneo Francesco Prata (Romano, 1971). Va quasi certamente datata a questo momento la tela firmata con la Madonna tra i ss. Giuseppe, Giovannino ed Elisabetta del Credito valtellinese (in deposito a Sondrio, Museo valtellinese di storia e arte), di cui è illeggibile la cifra finale della data (Ghibaudi, 1994, pp. 214 s.; Facchinetti, 2008, p. 164). Nel 1533 Stella firmò e datò la Madonna in trono tra i ss. Giovanni Battista e Giorgio, commissionata da Domenico Provana per S. Chiara a Carignano, in territorio sabaudo (ora Torino, Galleria Sabauda), nella quale cercò di adeguarsi alla moda delle pale d’altare dei pittori locali, Defendente Ferrari, lo Pseudo-Giovenone, il Maestro di Cirié (Romano, 1971; Caldera, 2009, p. 16); nella stessa località tre anni più tardi dipinse per S. Giovanni Battista un’altra ancona raffigurante la Madonna tra i ss. Biagio e Giovanni Battista, oggi danneggiata soprattutto nel lato destro (Milano, Pinacoteca di Brera, in deposito a Sondrio, Museo valtellinese di storia e arte; Sicoli, 2009). Nel 1537 firmò e datò la Madonna tra i ss. Pietro e Andrea e Sei apostoli, affrescati nella lunetta e nell’imbotte del portale della parrocchiale di S. Maria Assunta a San Giorgio Canavese.
Il ritorno nel Ducato di Milano avvenne in Valsesia, dove affrescò in S. Maria delle Grazie a Varallo il Commiato di Cristo dalla Madre (1537-39 circa) e Cinque coppie di angeli nelle volte dell’oratorio della Madonna di Loreto a Roccapietra, datate 1539, continuando la decorazione lasciata interrotta da Gaudenzio (Angeleri - Minonzio, 2018, pp. 33 s.; Romano, 2008, p. X, esprime invece dubbi sulla data 1539). Dipinse pure la tavola con la Pietà (1540-50 circa) ora nella Pinacoteca di Varallo ma già in S. Antonio a Voj, che si ispira a uno scomparto del polittico di Ferrari nella collegiata di S. Gaudenzio a Varallo (Caldera, 2014; Agosti, 2015, p. 281 nota 64). Nel 1541 realizzò una pala d’altare con il Compianto su Cristo morto per il santuario della Madonna del Sasso a Boleto, sulla sponda occidentale del lago d’Orta; il murale, oggi deteriorato, con S. Gottardo in trono tra i dodici apostoli nell’abside dell’omonima chiesa a Pisogno di Miasino (1541-45 circa; Riccardi, in corso di stampa); e la pressoché coeva tela con S. Barbara tra i ss. Giovanni Battista e Bartolomeo, di committenza Morigia, ora nella chiesa dei Ss. Fabiano e Sebastiano a Suna (Loiacono Astrua, 1977, p. 81 nota 28; Zani, 1994, pp. 71-75), ma in origine nella Madonna di Campagna a Verbania, per la quale dipinse entro il 7 febbraio 1541 anche un polittico oggi disperso (Martinella, 2015, pp. 15-19). Pare databile intorno alla metà del decennio un Angelo annunciante, su tavola, noto solo da fotografia (Villata, 2013).
L’attività del pittore caravaggino proseguì in Ossola con un vasto ciclo di affreschi in S. Giorgio a Varzo, in Valdivedro, datato 1545 stando a un documento del 1602 (Bertamini, 2010, p. 19); mentre sono perdute le pitture del presbiterio, sopravvive, benché lacunosa e in parte ancora occultata, la decorazione della controfacciata e della navata di destra. Verso il 1545-47 circa si colloca la Madonna tra i ss. Ambrogio, Antonio abate, Francesco d’Assisi e Biagio, su tela, presso la Madonna del Rosario a Doccio di Quarona (Caldera, 2013).
Il 13 aprile dello stesso anno e fino al 18 luglio 1546 Stella fu a Caravaggio, abitante in porta Sariola, dove era ancora al principio degli anni Cinquanta, quando datano gli ultimi documenti d’archivio che lo riguardano: il 6 marzo 1550 ottenne la dote della moglie del figlio Clemente, Anna Mangianini (Cara, 2008, p. 50, doc. 67). Il 27 agosto 1547 datò e firmò il polittico di S. Ambrogio a Omegna – qui è anche un S. Giulio a fresco – e nel 1548 il Compianto sul Cristo morto della parrocchiale di Armeno, sempre sul Cusio. La sua produzione nel sesto decennio del Cinquecento comprende le tele con i Ss. Paolo e Ulrico di ubicazione ignota, che recano la data 1551 e lo stemma della famiglia Cabiate (Bisogni, 1999). Intorno a questa data deve essere avvenuto il definitivo ritorno in patria, come testimoniano le firme iscritte nelle opere successive, tutte eseguite «in» Caravaggio, da dove inviò opere dipinte spesso, per facilitarne il trasporto, su tela.
Secondo quanto riferito alla fine del Settecento dal collezionista ed erudito bergamasco Giacomo Carrara, una pala di Stella, ora smarrita, datata 1553 e raffigurante Cristo tra i ss. Pietro e Paolo e un offerente, si conservava in S. Agata a Martinengo (Magrini, 1994, p. 288; Facchinetti, 2006a, p. 57 nota 53).
Degli anni Cinquanta è pure la tela di committenza Pusterla con S. Antonio abate tra i ss. Stefano, Ambrogio, Girolamo e Bernardo in S. Stefano a Tradate, di cui è abrasa la cifra finale della data (Zani, 1994, p. 70, la scioglie in 1558; per Facchinetti, 2008, p. 177, potrebbe essere 1551). Ultima opera nota del caravaggino, firmata e datata 1562, è il Compianto su Cristo morto in S. Maurizio a Gignese, che ripropone con varianti e qualche stanchezza lo stesso soggetto dipinto quattordici anni prima.
Morì, probabilmente a Caravaggio, tra il 29 gennaio 1563 e il 3 giugno 1564, quando il figlio Clemente dichiarò di essere orfano di padre (Cara, 2008, p. 51, doc. 74).
Fonti e Bibl.: G. Capis, Memorie della corte di Mattarella o sia Borgo di Duomo d’Ossola e sua giurisdittione (1673), Domodossola 1968, pp. 125-130; F.S. Quadrio, Dissertazioni critico-storiche intorno alla Rezia di qua dalle Alpi, oggi detta Valtellina, III, Milano 1756, p. 511; L. Perrone, A proposito di pittori cinquecenteschi valtellinesi. Lettera aperta al dis.mo sig. Gustavo Frizzoni, in Arte e storia, XX (1897), pp. 139 s., 154 s. (in partic. p. 154); A. Griseri, I Gaudenziani, in Mostra di Gaudenzio Ferrari (catal., Vercelli), Milano 1956, pp. 69-86 (in partic. p. 70); M.T. Tabbia, Da Roccapietra al Sacro Monte: itinerario di Giulio Cesare Luini, pittore valsesiano, in Atti e memorie del Terzo Congresso piemontese di antichità ed arte, Varallo Sesia... 1960, Torino 1961, pp. 65-79 (in partic. p. 72 nota 18); G. Romano, in Restauri in Piemonte 1968-1971 (catal.), Torino 1971, p. 52; R. Togni, Pittura a fresco in Valtellina nei secoli XIV, XV, XVI, Sondrio 1974, pp. 119 s.; Z. 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