FERITA (dal lat. ferio "colpisco"; fr. plaie, blessure; sp. henda; ted. Wunde; ingl. wound, cut)
È la soluzione di continuo dei tessuti determinata da un corpo vulnerante. La divisione dei tessuti può farsi in modo puntiforme o lineare o irregolare, sicché si hanno le ferite da punta, da taglio e lacere fino allo strappamento di parti e di membra. La ferita può essere superficiale o profonda; può penetrare in cavità naturali come la toracica, l'addominale; la cranica o dentro un'articolazione: può essere semplice o composta, se ha irregolarità di margini e lesioni profonde d'organi, o complicata, se è accompagnata da accidenti locali o generali.
Le ferite da punta sono il tipo delle ferite semplici: se lo strumento è poco voluminoso penetra per spostamento o stipamento dei tessuti, ma se più voluminoso, lacera i tessuti senza divaricamento, anzi la cute data la sua elasticità ritorna su sé stessa e può anche chiudersi come se fosse una lesione sottocutanea. Ma l'innocuità di dette ferite è relativa poiché i corpi feritori possono portare con sé microbî, oppure pezzi d'indumenti atti a dare complicanze settiche, oppure possono penetrare in cavità con lesioni d'organi e visceri.
Le ferite da taglio sono più lunghe che larghe, a bordi più o meno regolari, di grandezza e direzione variabili a seconda della parte lesa, della posizione, del volume e della forza del corpo vulnerante; hanno due margini e due estremi: possono essere a lembo se la regione viene colpita tangenzialmente o con perdita di sostanza se lo strumento feritore asporta una parte della cute. Le ferite da taglio hanno un caratteristico divaricamento dei margini, il quale è dovuto all'elasticità dei tessuti che varia a seconda che essi sono più o meno ricchi di fibre elastiche, della direzione della ferita, dello stato di tensione dei tessuti, specie della pelle (se è ricca di adipe dà un maggiore divaricamento) e se i muscoli sono sezionati parallelamente o perpendicolarmente alle fibre, a seconda anche del numero delle fibre tagliate o dello stato in cui si trovava il muscolo al momento della ferita, cioè se in contrazione o rilasciamento; le arterie tagliate si retraggono molto per la loro struttura. Una causa molto importante di divaricamento è data dalla regione ferita (p. es.: estensione della testa nelle ferite trasversali del collo o estensione dell'antibraccio nelle ferite del gomito, ecc.).
Le ferite contuse e lacero-contuse sono prodotte da un corpo contundente di qualsiasi natura (bastone, ferro, urto contro pareti, sassi, impiglio in ingranaggi di macchine) in modo che si ha una ferita con margini irregolari, contusi, lacerati, con perdita di sostanza e, al disotto, un pestamento più o meno esteso dei tessuti che può arrivare fino a interessare le ossa e dare delle fratture comminute e anche un vero strappamento di parti. In queste ferite, data la varietà di resistenza dei tessuti, si possono osservare lesioni ossee o aponeurotiche lontane dal punto della lesione cutanea, in modo da aversi degli scollamenti estesi. In tali ferite sono frequenti i fatti necrotici secondarî con tutte le loro conseguenze sia locali sia generali; così pure sono frequenti le lesioni dei vasi sanguigni, i quali lacerati o strappati si retraggono senza dare emorragia, per accartocciamento delle pareti del vaso stesso e specialmente dell'intima. È questa la ragione per cui nelle ferite lacero-contuse l'emorragia è minore che in quelle da taglio e talora manca del tutto. Tali fatti spiegano appunto i facili fenomeni di necerosi o mortificazione dei tessuti per zone anche vaste, cosa che fa distinguere tali ferite da quelle da taglio in cui la zona di necrosi al più è lineare.
I sintomi delle ferite sono varî a seconda della natura e della sede di esse: si hanno però dei sintomi comuni a tutte. Il primo è il dolore che varia a seconda della sensibilità individuale e della regione colpita: così, per es., le ferite dei polpastrelli delle dita, delle labbra, ecc., sono dolorosissime, poco quelle del dorso, delle natiche. Inoltre il dolore è anche in rapporto con lo strumento vulnerante, che, se tagliente, dà molto meno dolore d'uno contundente o lacerante. Il dolore che compare a distanza di varie ore dalla ferita, è segno di complicanza infiammatoria. Può il dolore mancare per uno stato di shock locale, come nelle vaste ferite da strappamento o negli stritolamenti. Nei casi gravi con lesioni estese si hanno alterazioni delle condizioni generali e, per lo shock e per l'emorragia subita e per il patema d'animo e per tante altre cause, come lesioni di visceri, del sistema nervoso centrale. Nelle ferite semplici senza grave trauma, con scarsa emorragia, senza fenomeni di shock le condizioni generali sono buone o sono in piccola parte modificate. Un altro sintomo che esiste in grado differente è l'emorragia (v.) che può essere data da lesioni di arterie, di vene o di capillari. Le emorragie hanno caratteri differenti a seconda che il sangue proviene da arterie o da vene o da capillari. Negli asfittici il colore del sangue arterioso invece d'essere rutilante è rosso scuro, lo zampillo può essere piccolo o mancante per shock, iposistolia. Le ferite delle grosse arterie dànno luogo a un'emorragia molto grave; se però con la lacerazione delle arterie si ha accartocciamento delle pareti, s'avrà un'emostasi (v.) discreta. Nelle ferite, oltre all'emorragia, si può avere lo scolo di linfa o linforragia sotto forma di liquido lattescente, quando è leso un grosso condotto linfatico, così pure può fuoruscire liquido speciale, come saliva, nelle ferite dei condotti salivari, sinovia, nelle ferite penetranti dell'articolazione, ecc. Sintomi importanti sono dati dalle lesioni d'organi colpiti dallo strumento vulnerante: così fatti di paralisi periferica per lesione di nervi; perdita di mobilità d'un segmento per lesione di tendini o di muscoli, ecc.; tumefazioni per ematomi o aneurismi da lesioni di grossi vasi; oppure si può osservare la fuoruscita dalla ferita d'organi sottoposti, come omento o intestino nelle ferite addominali; della massa cerebrale, nelle ferite della testa, ecc. Molte volte, per stabilire la profondità, è necessario fare uno sbrigliamento della ferita.
Le complicazioni delle ferite possono essere d'ordine non infettivo e infettivo. Le prime sono rappresentate dall'enfisema, cioè raccolta d'aria nel sottocutaneo per ferite del condotto respiratorio (laringe, o trachea, o per ferita della pleura) con una ferita piccola della cute in modo che l'aria si possa accumulare piuttosto che uscire dal sottile foro, ciò nelle ferite da punta; talora l'enfisema può assumere uno sviluppo enorme e dare difficoltà della respirazione. Si deve distinguere questo enfisema da quello che secondariamente si può sviluppare per fatti infettivi da batterî gassogeni. Un' altra complicanza è la sincope che s'osserva negl'individui pusillanimi per la vista del sangue o è invece la conseguenza della emorragia o delle lesioni gravi avvenute con risentimento degli organi nervosi. Talora si ha lo shock che può essere di natura nervosa o tossica per assorbimento dai focolai di gravi traumatismi di prodotti tossici che si formano per lo spappolamento dei tessuti (E. Quénu, M. Donati), come nelle gravi ferite lacero-contuse, senza alcun intervento di fatti infettivi. È questa una grave complicazione che può dare la morte rapida se non interviene un equilibrio dato da cure che aiutino l'organismo a reagire. Altra complicanza è il delirio che può essere dato da alcoolismo o da un'intossicazione, per es.: da iodoformio, da abuso di cocaina o di morfina; talora però il delirio può essere segno d'intossicazione grave, settica o uremica. L'entrata dell'aria nelle vene può essere fatale per la cosiddetta embolia gassosa che s'osserva nelle ferite da taglio del collo, dell'ascella, ove le grosse vene rimangono beanti perché aderenti alle aponeurosi locali.
Ma le complicanze più importanti sono quelle d'ordine infettivo: una ferita è sempre contaminata poiché non viene mai fatta con quelle cautele asettiche che s'usano nelle incisioni chirurgiche. Le ferite con margini netti sono meno facili alle infezioni, mentre le ferite lacero-contuse con scollamenti multipli più facilmente dallo stato di contaminazione passano a quello d'infezione. Se i tessuti riescono coi loro poteri di difesa a distruggere i batterî, a neutralizzarne le tossine, l'infezione cessa e la ferita evolve verso la guarigione. Ma se i batterî prendono il sopravvento, si produce un'infezione locale (flemmone, ascesso, linfangite, linfoadenite settica) o anche generale (setticemia, piemia). I primi segni dell'infezione d'una ferita sono il dolore locale e la febbre che prende caratteri speciali come quelli della febbre suppurativa o piemica o febbre da sepsi. Così l'erisipela (v.), è una complicanza frequente delle ferite non curate bene al principio o fortemente contaminate. Un'altra complicanza infettiva grave è il tetano (v.), specialmente nelle ferite contaminate da terra o da calcinaccio e quindi s'osserva più facilmente nei disastri automobilistici, nei colpiti da frane e in guerra (v. sotto). Così pure la cancrena gassosa e il flemmone gassoso sono complicanze che colpiscono le ferite lacere e anfrattuose che s'osservano quando l'organismo presenta diminuita resistenza ed esistono condizioni locali favorevoli. Si può avere inoculazione di rabbia canina per morsi di cani gatti, ecc. In questi casi il dente che ferisce produce ferita da punta o lacero-contusa e inocula con la saliva il parassita della rabbia con tutta la sua evoluzione se non interviene la cura specifica. Le ferite possono pure essere avvelenate o perché lo strumento feritore è stato trattato con veleni (frecce dei selvaggi) o perché prodotte dal dente d'un ofidiano velenoso che inocula in seno alla ferita stessa il veleno secreto dalle ghiandole speciali. Le punture d'insetti come vespe, api, o di aracnidi come scorpioni, ragni, ecc., sono simili per inoculazioni di veleno ma molte volte in questi casi si tratta piuttosto d'inoculazioni di microbî, come lo streptococco, che produce fatti locali d'infezione con linfangiti, ecc. In una ferita può rimanere un corpo estraneo che va da un frustoletto di tessuto fino a schegge di legno, di ferro, metallo, aghi, vetri, ecc. Il pericolo del corpo estraneo sta più facilmente nella presenza di microbî su di esso. Se i corpi estranei sono piccoli, possono consentire un microbismo latente e che può molte volte, dopo anche lungo tempo, essere causa dello sviluppo d'un'infezione. Ciò si osserva anche nelle ferite operatorie che hanno suppura. to o intorno a corpi estranei che rimangono come incapsulati e, portando con sé microbî, quando le condizioni lo permettano, possono dare infezioni che si risvegliano (anche tetaniche) con virulenza talora violenta. I corpi estranei non settici rimangono in seno ai tessuti e sono incapsulati ma possono essere sempre anch'essi la sede di suppurazioni tardive per impianto ivi di batterî circolanti o quando si sviluppi nell'organismo un'infezione che va in tal punto a localizzarsi.
Il processo di guarigione d'una ferita varia a seconda della natura di essa e del suo decorso (v. cicatrice); può essere per prima o per seconda intenzione, a seconda che si ha una riunione perfetta senza fatti secondarî infettivi, o una riunione per mezzo di tessuti di granulazione e con processo di suppurazione. Nel primo caso si ha una riunione di tessuti senza perdita di sostanza, come nelle ferite chirurgiche; nel secondo caso la guarigione molto lenta si fa con perdita più o meno estesa di sostanza e con una cicatrice spesso deforme, aderente ai tessuti profondi, che spesso richiede delle operazioni plastiche per ovviare, oltre che al danno estetico, anche ad alterazioni di funzione (aderenze di arti al torace, flessione delle dita, ecc.). Oggi la guarigione per seconda intenzione è più rara che non fosse prima, poiché con trattamenti adatti si può ottenere una guarigione per prima anche in ferite lacero-contuse.
Cura delle ferite. - Tutta la base della cura delle ferite sta nella disinfezione di esse per porle nelle condizioni migliori per avere una prima intenzione o avvicinarvisi il più che è possibile. Per poter ottenere una buona disinfezione delle ferite occorre procedere con scrupolosa asepsi e antisepsi; se nelle ferite chirurgiche fatte a scopo operatorio s' adopera l'asepsi sola, nelle ferite accidentali si deve adoperare l'antisepsi poiché si deve considerare ogni ferita accidentale come contaminata. Non si deve credere che la disinfezione debba essere solo chimica con i comuni disinfettanti, ma anche e più specialmente chirurgica o meccanica che dir si voglia; cioè si deve mettere allo scoperto il più ampiamente possibile il focolaio traumatico per l'esatta disinfezione negli ultimi recessi, si debbono escidere i tessuti contusi, estrarre i corpi estranei, ecc. Le ferite devono essere toccate con mani e con oggetti sterilizzati; debbono essere rasate dai peli e, se sporche d'olio da macchine o di terra, ecc., debbono essere pulite con benzina iodata poi con alcool e per ultimo con un poco di tintura di iodio senza largheggiare troppo per non produrre escare. La ferita deve poi essere medicata asetticamente con garza e cotone sterili e fasciata convenientemente. Se c'è il dubbio che vi sia stata inoculazione profonda di microbî per la specie del corpo vulnerante e per il terreno ove è stata fatta la ferita, bisogna sbrigliare la ferita per curare nel profondo la distruzione dei microbî. Se le ferite da punta hanno prodotto profondamente lesioni di vasi, nervi o visceri bisogna provvedere opportunamente. Per il lavaggio delle ferite, anche l'acqua bollita può servire benissimo per togliere i corpi estranei, coaguli, ecc., ma si possono adoperare soluzioni di acido salicilico, di borato di sodio, d'ipoclorito di calcio (liquido di H.D. Dakin), di sublimato corrosivo, ecc. È sempre necessario che la medicatura sia sterilizzata, con l'ebollizione o con l'autoclave. Le ferite ampie vanno suturate a piani, profondamente con catgut e la pelle con seta adoperando aghi speciali da sutura. La cura delle ferite lacero-contuse, sia pure semplici, è invero più complicata, poiché esse con le loro anfrattuosità sono più facilmente contaminate e soggette a infezioni che possono essere gravi se non curate bene e precocemente. La cura d'urgenza di tali ferite è basata sulla pulizia meccanica e chimica, della quale già s'è detto. Si farà poi, se possibile, una sutura parziale lasciando per previdenza uno zaffo di garza, asciutto o umido d' acqua ossigenata. Il decorso d' una ferita dipende tutto dal modo con cui viene fatta la prima medicatura (R. Volkmann). Siccome le ferite lacero-contuse sono facilmente soggette all'infezione tetanica occorre fare la profilassi antitetanica con iniezioni di siero da ripetersi anche nei giorni successivi a distanza di 24 ore.
Bisogna accennare alle complicanze delle ferite e prima di tutto all'emorragia. Per far cessare un'emorragia occorre procedere all'emostasi, che può essere temporanea o definitiva a seconda che i mezzi adoperati sono temporanei o definitivi; così l'applicazione del laccio emostatico è un mezzo provvisorio che deve essere seguito dall'emostasi definitiva praticata con l'allacciatura dei vasi sanguinanti oppure, se si tratta di piccoli vasi o di vasi venosi non grandi, con la compressione mediante garza stipata. Come laccio si può adoperare tutto ciò che può aversi a portata di mano, funi, tovaglioli attorcigliati con bastone di legno che ruotato aumenta la pressione. Oppure per l'emostasi temporanea si può adoperare la compressione diretta dell'arteria sanguinante a distanza del punto ferito in punti stabiliti. Il laccio deve essere messo, se si tratta di una ferita arteriosa, tra la ferita e il cuore; nel caso di ferita venosa, tra la periferia e la ferita. Possono essere adoperati per favorire la coagulazione del sangue alcuni emostatici chimici come il calcio, l'adrenalina, il coaguleno, la gelatina. Se il ferito è in condizioni di grave anemia, saremo tenuti a combattere questa mediante l'ipodermoclisi o fleboclisi con siero artificiale o con la trasfusione di sangue che appartenga allo stesso gruppo sanguigno: oltre a ciò, come nei casi di shock, si fanno iniezioni eccitanti d'olio canforato e d'altri cardiocinetici e si fanno pure inalazioni d'ossigeno.
Le complicanze settiche delle ferite devono essere curate prima con mezzi locali atti a disinfettare i tessuti infetti e innanzi tutto con le ampie incisioni per mettere allo scoperto tutti i recessi, poterli ripulire e disinfettare con ipoclorito di calcio o di sodio o liquido di Dakin che si è mostrato durante la guerra mondiale il più adatto a uccidere i batterî pullulanti nelle ferite. L'irrigazione continua delle ferite col metodo di A. Carrel, consiste nel far circolare attraverso la ferita una soluzione d'ipoclorito che entra in tutti i punti di essa mediante tubi speciali. Per combattere l'infezione generale adoperiamo sostanze colloidali o la proteinoterapia (iniezioni di latte e derivati) oppure la sieroterapia specifica e la vaccinoterapia. Per la cura delle altre complicanze infettive, v. cancrena; difterite; erisipela; tetano, ecc.
Per le ferite avvelenate dobbiamo provvedere allo sbrigliamento della ferita stessa, alla sua spremitura per fare uscire il più che è possibile il veleno avendo prima applicato un laccio sopra e sotto alla ferita; se si tratta di ferita da morso di serpente, dopo tale pratica occorre fare una o più iniezioni di siero Calmette contro il veleno dei serpenti, per via endovenosa o intramuscolare, e nel tempo stesso dare stimolanti per combattere la debolezza e il sopore che dànno tali veleni. Per le ferite sospette o assolutamente infette da rabbia bisogna, oltre la cauterizzazione locale, fare la cura antirabbica con vaccino alla Pasteur.
Ferite di guerra. - Sono le soluzioni di continuità del tegumento esterno con o senza interessamento degli altri tessuti e organi, prodotte dalle varie armi di guerra. Queste si distinguono in armi bianche (da punta e taglio: baionetta, sciabola, lancia, pugnale; contundenti: calcio del fucile, clave, mazze) e in armi da fuoco di piccolo calibro (fucile, mitragliatrice, carabina, moschetto, pistola) e di grosso calibro (cannoni da campagna, da fortezza, da costa, da montagna; bombarde, lanciabombe).
Le lesioni prodotte dalle varie armi di guerra possono perciò essere raggruppate in 4 classi: ferite da armi bianche; ferite da istrumenti da campo ottusi; ferite da armi da fuoco di piccolo calibro, ferite da arma da fuoco di grosso calibro.
1. Le ferite da armi bianche sono per lo più da punta e da taglio insieme, identiche a quelle che si verificano in tempo di pace (v. sopra). In tutte le guerre moderne il numero delle ferite d'armi bianche è stato esiguo; circa il 2-3%. Tra esse hanno il predominio quelle da baionetta.
2. Le ferite da istrumenti da campo ottusi si verificano nei corpo a corpo e sono in genere ferite lacero-contuse (v. sopra), che mostrano le tracce caratteristiche del corpo che le ha prodotte (calcio di fucile, clava, mazza). I bordi si presentano in massima parte lacerati e pesti e i loro contorni sono infiltrati di sangue. Queste ferite da corpi contundenti sono state nella guerra mondiale più frequenti che in quelle precedenti, ma sempre in numero esiguo (0,50%).
3. Ferite da arma da fuoco di piccolo calibro. - Le lesioni da esse prodotte variano a seconda della distanza alla quale si è colpiti. Esse sono le seguenti: a) la contusione delle parti molli (con lesioni più o meno gravi dei tessuti sottostanti), che si produce a grandissime distanze (all'incirca oltre i 2000 metri), quando il proiettile si trova alla fine della sua corsa con una forza residuale che non è più bastante a produrre una ferita; b) le ferite a doccia o a striscio, che si producono per proiettili fendenti, che portano via una porzione di pelle, per cui si forma un solco più o meno profondo; c) le ferite tubulari o a canale, che possono essere: incomplete, o a fondo cieco, e complete. In quelle incomplete la palla perfora la cute, penetra nelle parti molli sottostanti e non si scorge che il solo foro d'entrata di essa. Si hanno quando il proiettile colpisce a grandi distanze (all'incirca tra 1200 e 2000 m.), animato da tanta forza viva da penetrare nel corpo, ma non da attraversarlo da parte a parte. Il foro d'entrata è piccolo, rotondo o a fessura, puntiforme. Quando è interessata la sola pelle il proiettile può rimanere addossato ai bordi della ferita, oppure infitto nello spessore di essa; spesso lo si ritrova fra gl'indumenti del ferito. Se decorre per un lungo tratto nel sottocutaneo si hanno le ferite asetone. Quando sono interessati anche i muscoli il proiettile vi rimane infisso. L'arresto e il conficcamento della palla può essere dovuto, oltre che alla poca forza viva, anche al suo capovolgimento durante la corsa. Ciò avviene quando il proiettile urta un corpo duro durante il percorgo íuori dell'organismo, oppure se durante la penetrazione in questo batte contro un osso. In tal caso assume la posizione trasversa e si capovolge, e in questi due nuovi atteggiamenti lede, senza subire deformazioni, l'organismo, lacerandone la pelle e i muscoli. Qualche volta il proiettile dopo aver attraversato tutto il corpo non ha più la forza per per10rare i comuni integumenti al punto opposto, e allora si palpa ivi facilmente sotto la pelle. Ciò si verifica specialmente con le pallette di shrapnell. Nelle ferite tubulari complete, che si producono al di qua dei 1200 metri, il proiettile attraversa da parte a parte una regione del corpo, fuoriuscendo da questo, e si ha allora un foro d'ingresso, un foro d'uscita e un canale, l'aspetto dei quali varia a seconda della distanza alla quale il proiettile ha colpito. Nelle ferite che si producono alle medie distanze (dai 600 ai 1200 metri all'incirca) il foro d'entrata, se il proiettile incamiciato ha colpito perpendicolarmente, ha la forma rotonda o a fessura; i bordi non sono né laceri né contusi, e sono rivolti, nelle ferite del tutto recenti, alquanto in dentro. Il foro è più piccolo del corrispondente calibro del proiettile, in media è grande 5 mm., specie in quelle regioni (guance, ascelle, scroto) nelle quali la pelle è molto elastica. Se il proiettile batte obliquamente, la forma e la grandezza del foro d'entrata sono in relazione al suo grado di incidenza. Il foro d'uscita è pur esso piccolo, in genere più grande di quello d'entrata; ha d'ordinario forma irregolare, triangolare, altre volte stellata, a fessura, o più o meno ovale. Quanto più piccolo è il calibro del proiettile e più grande la distanza alla quale esso colpisce, tanto minore è la differenza tra il forame d'entrata e quello d'uscita. A 600 m. il foro d'uscita è di 8 mm.; a 1000 m. di 7, 10 mm. A unico forame d'entrata possono corrispondere due o più fori d'uscita, il che s'ha quando il proiettile si divide nello spessore dei tessuti in più parti; oppure mobilizza schegge ossee dopo aver fratturato un osso. Il canale o tragitto delle ferite tubulari complete, situato tra il forame d'entrata e quello d'uscita, è di dimensioni sensibilmente maggiori di quello del proiettile (nei tessuti molto elastici, come quelli del polmone, è più piccolo); per lo più a pareti lisce, poco infiltrate di sangue, che collabiscono facilmente. Esso spesso è ingombro di corpi estranei, di detriti dei tessuti, ecc. Alcune volte il tragitto è irregolare, perché il proiettile attraversa i tessuti in linea retta, infrangendo gli ostacoli che incontra (ossa), e mobilizzandone le schegge. Altre volte il proiettile, incontrando un osso, un tendine, un'aponeurosi resistente, devia e fa il giro della regione (torace, addome), uscendo dal dorso o rimanendo nel sottocutaneo della pelle di esso (ferite ad anello, o contornanti); cosicché una ferita può essere giudicata penetrante, mentre non lo è.
Nelle ferite a canale complete, che si producono quando si è colpiti a piccole distanze (sotto i 600 m.), i caratteri della lesione variano di molto; l'orifizio d'entrata è di solito piccolo e laeero; il foro d'uscita si presenta invece ampio, 4-20 volte più grande di quello d'entrata, irregolare, con lembi cutanei vasti e frastagliati; il canale che intercede è irregolarmente conico con la base verso il foro d'uscita e con le pareti formate da tessuti spappolati. Se è stato colpito anche un osso, i guasti sono più gravi, le due aperture hanno i margini arrovesciati in fuori, e quello d'uscita è notevolmente irregolare, e lascia vedere attraverso di esso i muscoli erniati, brandelli di fasce, di tendini, schegge più o meno frantumate. A volte i brandelli di tessuti sono proiettati in varie direzioni a distanza anche di 10-15 m. Se è lesa la scatola cranica, la sostanza cerebrale può venire spruzzata violentemente sugli oggetti circostanti. La gravità della lesione, oltre che con la distanza, è in rapporto anche con la struttura delle parti su cui l'azione s'esercita, e per uno stesso organo a seconda dello stato in cui esso si trova (vuoto o pieno).
Per spiegare tale azione dei proiettili incamiciati a brevi distanze, che è stata chiamata esplosiva, sono state emesse varie teorie, che sarebbe troppo lungo esaminare e discutere. I proiettili dum-dum e quelli deformati spiegano, sempre a brevi distanze, un'azione esplosiva più grave e intensa. Generano ferite d'eccezionale estensione, nelle quali spesso non è più possibile distinguere foro d'entrata e foro d'uscita. Nelle ferite a bruciapelo, frequenti a osservarsi alle palme delle mani negli autolesionisti, l'orifizio d'entrata ha bordi estroflessi e presenta attorno una zona di tatuaggio cutaneo poco estesa, poco densa e di colore variabile, secondo la varietà di polvere; il foro d'uscita si presenta sotto forma di un ampio squarcio stellato, per lo più a tre punte, che si riconoscono più tardi anche nella cicatrice; le ossa del metacarpo sono stritolate con proiezione dei frammenti verso il forame d'uscita.
Le ossa, secondo che sono lese dai proiettili incamiciati a grandi, a medie o a brevi distanze, presentano: suggellazioni del periostio; contusioni della sostanza ossea con infossature, e depressioni più o meno profonde; fratture lineari, canaliformi, comminutive. Le schegge penetrano nelle parti molli circostanti e spesso vengono proiettate all'esterno attraverso il foro d'uscita o la pelle, dando alla ferita l'aspetto descritto per i colpi ad azione esplosiva. In casi più rari le fratture da arma da fuoco non si producono direttamente sul punto in cui il proiettile batte sulle ossa, ma a distanza da quello colpito (fratture indirette). Le articolazioni, secondo che sono lese dai proiettili incamiciati alle grandi, medie e piccole distanze presentano: ferite a canale incomplete, e in tal caso la palla può rimanere nella cavità articolare, ledendo o no i capi ossei articolari, e dando luogo a formazione d'un versamento sanguigno endoarticolare, ferite a canale complete senza lesione dei capi ossei, oppure con lesione di questi, e in tal caso la palla può frantumarli addirittura e la ferita assume l'aspetto caratteristico dei colpi ad azione esplosiva. Quando sono interessati gli organi cavitarî (cervello, polmoni, cuore, fegato, stomaco, milza, intestino, vescica, reni) si parla di ferite da arma da fuoco penetranti o cavitarie; i cui caratteri variano da un organo all'altro; per essi si consultino le relative voci. Si possono avere lesioni dell'organo cavitario senza che questo sia stato colpito direttamente dal proiettile per commozione viscerale, o per lacerazioni più o meno estese di organi e di tessuti. Nell'addome tali lesioni si producono perché la forte spinta d'aria che parte dal proiettile si traduce in un rapido spostamento degli organi cavitarî, che si trovano in prossimità del tragitto di esso, donde stiramenti più o meno notevoli dei legamenti e delle capsule di detti organi, con conseguenti rotture più o meno complesse.
Il numero delle ferite da proiettile di fucile, che nella guerra francoprussiana del 1870 fu del 90% e in quella russo-giapponese discese al 75%, nell'ultima guerra europea è stato del 25-30%, comprese quelle da mitragliatrici. Aumentarono invece in proporzione le ferite da proiettili di grosso calibro.
4. Ferite da arma da fuoco di grosso calibro. - Esse sono assai più gravi di quelle da proiettile di fucile. Le pallette di shrapnell producono ferite a canale incomplete e complete, il cui foro d'entrata è rotondo e più piccolo del diametro della pallotta; più grande però di quello dovuto ai proiettili incamiciati. I bordi di esso si presentano ammaccati e mostrano talora piccole lacerazioni disposte radialmente. Il foro d'uscita, più piccolo di quello d'entrata, è rotondo e da esso sporgono brandelli di tessuti di tendini, di fasce aponeurotiche e di legamenti; spesso è a lembo. Il tragitto della ferita è più grande di quello prodotto dai proiettili incamiciati e contiene pezzi d'uniforme. Perciò queste ferite sono più facili a infettarsi. Le lesioni da scoppio di granata, se si è colpiti da vicino, sono assai gravi. Si può avere la morte anche senza essere feriti a causa dell'elevata pressione atmosferica derivante dalla rapida espansione del contenuto di essa. Inoltre le grosse schegge della granata possono uccidere sul colpo. A queste schegge, quando sono grandi, sono dovute le cosiddette ferite mutilanti, in cui intere parti del corpo (un arto o segmento di arto) vengono asportate. Quando le schegge sono piccole producono a brevi distanze ferite lacero-contuse ampie, profonde, irregolari, anfrattuose, con larghe zone di contusione e di necrosi e con distruzione di nervi e vasi e una vera frantumazione ossea. Tali schegge trasportano in mezzo ai tessuti brandelli d'indumenti, corpi estranei e i più svariati germi infettivi. A medie distanze le piccole schegge di granata, specie se non sono numerose, producono ferite a canale, il cui foro d'entrata è assai irregolare, di dimensioni non determinabili e l'apertura d'uscita è più piccola e a margini meno contusi e laceri. Le bombe a mano producono sullo stesso individuo ferite lacero-contuse multiple per lo più gravi, e varie per grandezza e dimensioni, perché avvolgono il colpito con le molte schegge in cui si dividono. Le schegge più piccole dei proiettili d'artiglieria, specie se colpiscono a distanza, possono produrre anch'esse ferite lacere superficiali, leggiere, che però sono sempre infette.
Nella guerra mondiale, dato il larghissimo uso dell'artiglieria e delle bombe, specie a mano, il numero delle ferite ampie, profonde, anfrattuose, con larga zona di contusione e di necrosi è stato grandissimo, e le ferite da proiettili di grosso calibro raggiunsero la cifra del 70%. Nelle ferite da armi da punta e taglio e in quelle contundenti la sintomatologia è identica a quella che si ha nelle corrispondenti lesioni che si verificano in tempo di pace (v. sopra). Nelle ferite da arma da fuoco, specialmente se di piccolo calibro, il dolore è minimo, perché la lesione avviene rapidamente, l'emorragia è anch'essa per lo più minima, trattandosi di ferite contuse o lacero-contuse; cessa da sé con la formazione di trombi e con la compressione dei tessuti circostanti. Se però sono stati lesi grossi tronchi arteriosi (carotide, succlavia, ascellare, femorale) l'emorragia è imponente e i feriti muoiono in pochi minuti. Le ferite da proiettili d'artiglieria s'accompagnano spesso a shock. Quando sono interessate ossa, articolazioni, organi cavitarî la sintomatologia si complica con i segni dovuti alla lesione dei singoli organi.
Il decorso delle ferite da armi bianche è identico a quello che si osserva nella pratica civile. Quello delle ferite da arma da fuoco varia a seconda delle condizioni anatomo-patologiche della ferita e della penetrazione e permanenza nella medesima di corpi estranei. In ogni ferita da arma da fuoco recente si distinguono tre zone: una di disfacimento dei tessuti; una di mortificazione, una di disgregamento molecolare. La zona di disfacimento è costituita dai tessuti dell'organo colpito venuti a contatto diretto col proiettile e ridotti da questo a poltiglia. In esso v'è anche sangue stravasato e si possono trovare corpi estranei (brandelli di biancheria, di abiti, ecc.). La zona di mortificazione è contigua alla precedente e costituita da tessuti necrotici, cioè da tessuti alterati meccanicamente dalla pressione esercitata dal proiettile. Anche in essa possono essere contenuti corpi estranei trascinati dal proiettile e si trovano in maggior numero i germi patogeni trasportati dai corpi stessi. La zona di disgregazione è il prodotto della forza di spinta laterale esercitata dal proiettile, la sua estensione è in rapporto con la forza viva di esso e con la struttura ed elasticità del tessuto colpito. In questa zona i tessuti non sono più necrotizzati, ma più o meno lesi nella loro vitalità, più o meno danneggiati, suscettibili però di riparazione; al difuori di essa segue gradatamente il tessuto sano, dal quale procede il processo di rigenerazione. Quanto più grande è l'estensione della zona di disgregazione, vale a dire quanto più ampia è la zona di tessuto compromesso nella sua vitalità, interposto tra la zona necrotica e il tessuto sano, tanto più difficile sarà per l'organismo opporre una difesa efficace e tempestiva all'invasione e moltiplicazione dei germi infettivi. Le ferite a canale stretto, prodotte da proiettili incamiciati, con orifizî puntiformi, senza apprezzabili lacerazioni dei tessuti molli e arresto di corpi estranei, decorrono nel 95% dei casi asetticamente, cicatrizzandosi in breve tempo senza complicazioni. Dopo 10-15 giorni s'ha la completa restitutio ad integrum dei tessuti. I margini della ferita si retraggono leggermente, s'avvicinano, si forma tra essi la crosta e al di sotto di questa la nuova epidermide. L'apertura d'uscita si chiude più presto di quella d'entrata, perché i suoi margini sono meno contusi. Contemporaneamente s'ottura anche il canale. Se in tali ferite permangono invece corpi estranei può sopravvenire la suppurazione, che persiste fino a che quelli non vengano eliminati o estratti. I piccoli proiettili incamiciati odierni possono anche rimanere incapsulati senza dar luogo a complicanze. La lesione dei muscoli non modifica il decorso sopraccennato della ferita; quella dei tendini, dei grossi vasi, delle articolazioni e delle ossa e degli organi cavitarî, possono anch'esse decorrere asetticamente, o suppurare, a seconda delle circostanze soprariíerite. Le ferite da pallette di shrapnell decorrono asetticamente nel 50% dei casi, se suppurano impiegano 2-3 settimane a guarire. Le ferite a canale largo e irregolare, prodotte da proiettili di fucile a brevi distanze, e quelle dovute a schegge di granate e di bombe raramente guariscono senza che sopravvengano complicanze settiche, specie se contengono corpi estranei e se coesistono gravi alterazioni dei tessuti molli e lesioni delle ossa. Per solito s'ha suppurazione, cui può seguire la setticopioemia, ma spesso si verificano anche infezioni più gravi, quale la cancrena gassosa. Il tetano nella guerra mondiale s'è avuto raramente a causa della profilassi praticata con l'iniettare siero antitetanico a tutti i feriti.
Dalle ricerche batteriologiche fatte sulle ferite nella guerra mondiale è risultato che i microbî, causa delle diverse infezioni che le complicano, non esplicano la loro azione lesiva subito, ma rimangono per 5 ore inattivi, e i tessuti in questo frattempo non reagiscono (fase siderante o preinfettiva). Dalla 5ª alla 9ª ora (fase della reazione iniziale dei tessuti) compaiono nei tessuti contaminati leucociti polinucleati, macrofagi, e le parti maggiormente lese dal proiettile cominciano a mostrare segni di degenerazione. Fra la 9ª e 12ª ora compaiono grossi batterî presso le fibre di stoffa e nei coaguli che le contengono. Dalla 12ª alla 20ª ora si ha moltiplicazione notevole dei bastoncini e dei cocchi (fase polimicrobica) e fatti reattivi da parte dei tessuti, un po' più accentuati ma poco intensi. Dalla 48ª ora in poi compaiono gli anaerobî.
Nella guerra mondiale le ferite da arma da fuoco infette furono più numerose di quelle non infette, sia perché più gravi, essendo la maggior parte dovute a proiettili di grosso calibro, sia perché il proiettile per il modo come la lotta fu condotta, tenendo cioè gl'individui in trincea, colpiva il soggetto non direttamente, ma dopo aver urtato per terra e altrove, trascinando seco i più svariati corpi estranei, nei quali s'imbatteva.
La cura delle ferite da armi bianche è la stessa come nella pratica civile; per le ferite da arma da fuoco è differente, a seconda che si tratta di ferite infette oppur no. Nelle prime, le ferite superficiali o a canale stretto, incomplete e complete (con orifizî puntiformi, senza lacerazioni apprezzabili dei tessuti molli, senza lesioni ossee e arresto di corpi estranei), basta coprire le ferite con materiale di medicatura sterile asciutto, assicurandolo alla regione con adatta fasciatura. Nelle ferite infette (contenenti corpi estranei: quelle a canale ampio e irregolare con orifizî larghi e deformati; con gravi alterazioni dei tessuti molli e delle ossa e quelle lacero-contuse più o meno anfrattuose ed estese, con o senza perdita di sostanza, prodotte da schegge di granate e di bombe), l'intervento cruento è la regola, ed esso per riuscire efficace deve essere energico e precoce. Bisogna mettere completamente allo scoperto la ferita nelle prime 5-12 ore dopo che è stata riportata, praticando larghe incisioni cutanee in direzione dei recessi e nelle zone più adatte allo scolo dei secreti, sbrigliando generosamente le aponeurosi in modo da avere sotto gli occhi i tessuti interessati; bisogna nettare la parte con garza sterile, rimuovere i lembi dei tessuti in via di disfacimento, controllando lo stato dei vasi e dei nervi che si trovano nell'ambito della ferita, stabilire adatte controaperture, asportare i proiettili e tutti gli altri corpi estranei, comprese le schegge ossee libere o poco aderenti e quindi presunte non vitali, infine assicurare un'emostasi perfetta. In una parola bisogna al più presto asportare, per quanto è possibile, la 1ª, 2ª e 3ª zona della ferita, trasformando questa da una lesione anfrattuosa e infarcita d' elementi destinati a essere eliminati, in un'altra largamente aperta a superficie regolare e scevra di parti che possano costituire ostacolo al processo di riparazione. Molti chirurgi nella guerra mondiale hanno limitato a questo il loro intervento nelle ferite infette, medicandole successivamente con antisettici e lasciandole guarire per granulazione. Altri inveee in un periodo secondario, quando la ferita assumeva un buon aspetto, praticarono la sutura tardiva, ottenendo risultati favorevoli anche quando alla lesione delle parti molli si aggiungevano quelle osteoarticolari. I più arditi praticarono, dopo effettuata la pulizia meccanica e l'asportazione dei tessuti alterati, la sutura primitiva immediata (M. Donati, R. Bastianelli in Italia). Questa diede buoni risultati specialmente quando fu possibile ottenere con l'intervento cruento una soluzione di continuo a superficie nette, facilmente apponibili come quelle d'una ferita da arma da taglio. Nelle ferite cavitarie con lesione dei varî organi, l'intervento, quando i feriti giunsero tempestivamente nelle formazioni sanitarie all'uopo predisposte (ambulanze chirurgiche, ospedaletti da campo avanzati), è stata la regola.