SANFELICE, Ferdinando
– Nacque a Napoli il 18 febbraio 1675, «settimo figlio maschio» di Camillo (consigliere dei re di Spagna, morto nel 1692), la cui casata, ascritta al Sedile di Montagna, si fregiava di discendere da quella reale normanna (De Dominici, 1743, p. 639), e di Ippolita, dell’illustre famiglia napoletana dei Moccia.
Manifestate doti creative, il fratello Antonio (primogenito nato nel 1659), allora canonico della cattedrale, lo introdusse nel 1698 presso Francesco Solimena (Bologna, 1958, p. 184), intento ad affrescare la cupola di S. Maria Donnalbina, nel cui monastero erano due sorelle dei Sanfelice (il fratello Tommaso Maria, maestro del Sacro collegio metropolitano, era nel convento domenicano della Sanità). L’architetto Arcangelo Guglielmelli, che nel 1695 aveva intrapreso l’ampliamento della suddetta chiesa e nel 1692 aveva restaurato la basilica di S. Restituta a cura anche del canonico, ebbe forse un ruolo nella formazione di Ferdinando, che comunque fu un autodidatta «di cultura vasta e aggiornata, attento alla tradizione napoletana», alla lezione dei maestri e agli stimoli di «fonti libresche» (Lenzo, 2010, pp. 102 s.).
Avviato agli studi legali, Ferdinando preferì quelli letterari e scientifici: studiò il greco da Gregorio Messere, filosofia con don Carlo Maielli, matematica superiore con Lucantonio Porzio e Antonio Monforte. Nel 1697 un suo sonetto in volgare, un epigramma latino e uno greco comparvero fra i componimenti editi dopo il funerale, in aprile, della madre del viceré duca di Medinaceli nella chiesa del Carmine (Pompe funerali..., 1697, pp. 121-123), per cui un innominato «ingegnoso architetto» eresse un «mausoleo» di «novella invenzione», la cui «gran piramide», retta da leoni e arricchita di figure allegoriche, era spezzata verso la cima dal glorificato «ritratto della defonta» (Al lettore, ibid., p. n.n. e tav.; evento non rilevato dalla critica sanfeliciana, che finora non aveva individuato lavori poetici pubblicati: cfr. Allievi di Francesco Solimena, 2008, p. 1213).
Una prima notizia del 1701 in tema d’apparati d’occasione dichiara Sanfelice già «perito» quale ideatore della colonna onoraria nella cappella reale del Tesoro di S. Gennaro per la funzione dedicata il 16 marzo al defunto Carlo II di Spagna (Al lettore, in D’Angelis, 1701, p. n.n.; Mancini, 1968, fig. 104). Dopo aver presenziato in gennaio fra gli «Eletti» dei Sedili alla proclamazione di Filippo V, per l’«entrata» del sovrano in Napoli il 20 maggio 1702 curò vari allestimenti distribuiti dall’ingresso per la strada di «Poggio Regale» (centrale attrazione, l’«anfiteatro» in piazza S. Lorenzo imperniato sulla «statua equestre del re») alla piazza del porto, dove il re s’imbarcò il 2 giugno (Bulifon, 1703, pp. 67-181; De Dominici, 1743, pp. 645 s.; Ward, 1988, tavv. 237-238); di certo proficui furono i rapporti con il direttore artistico, il bolognese Francesco Galli Bibiena (Matteucci, 1988, pp. 124 s.). L’edicola di S. Gennaro eretta (1708-09) a porta Capuana dalla deputazione del Tesoro del santo come ex voto dopo l’eruzione del Vesuvio del 1707, di berninesco tono altobarocco – analogo monumento sanfeliciano sorse nel 1739 a Ottaviano –, pietrificò nel contrasto marmo-piperno l’idea d’effimera macchina devozionale, la cui ridondanza informò con maggior originalità la coeva facciata dell’oratorio votivo ottagono (distrutto) all’ingresso di villa Sanfelice a Ottaviano (Blunt, 1975, tav. 220).
Scenografo di eventi di suprema ufficialità, Ferdinando curò il funerale dedicato all’imperatrice Eleonora di Neuburg il 14 marzo 1720 nella chiesa di S. Lorenzo (tavv. 239-241) e nel 1730 quello del duca Gaetano Argento in S. Giovanni a Carbonara, dove per lo stesso presidente del Consiglio reale aveva disegnato la marmorea cappella gentilizia, eretta nel 1719 («per la rarità dell’invenzione [...] una delle più belle» di Napoli) e il superbo sepolcro (Funerali..., 1731, pp. XXII-XXIV; Blunt, 1975, tav. 211; Ward, 1988, tav. 242; il ritratto scultoreo ideato da Solimena certifica una solida collaborazione; Lenzo, 2006, p. 323); alla morte dell’imperatrice Amalia nel 1742 eresse in S. Lorenzo una «gran castellana» (De Dominici, 1743, p. 645). Ideò gli apparati di S. Lorenzo per il Te Deum del 23 maggio 1734 in occasione dell’avvento al trono di Carlo di Borbone (Ward, 1988, tavv. 243-244), alle cui nozze nel 1738 seguì in luglio, con l’entrata solenne della consorte, il «magnifico teatro» d’«invenzion capricciosa» della fiera nel largo di Castello: un volume esaltò con immagini ed encomi poetici l’ideatore (il «divin Fernando» del sonetto di Giambattista Vico; Breve ragguaglio..., [1738], pp. 1-12, 36; Ward, 1988, tavv. 246-260).
Sviluppando l’idea del «teatro» allestito ogni anno per le luminarie nel largo della Guglia di S. Gennaro (De Dominici, 1743, pp. 644 s.), per festeggiare nel 1740 la regale primogenita, Sanfelice realizzò una slanciata macchina di cuccagna con vasta esedra di botteghe e logge su gradinata davanti al Palazzo Reale (Mancini, 1968, fig. 33 e tav. F); il riferimento alla Torre di porcellana di Nanchino, celebre pagoda illustrata da Johann Bernhard Fischer von Erlach nell’Entwurff einer historischen Architectur (Wien 1721, III, tav. XII), secondò forse l’intento del re di creare una manifattura a imitazione delle porcellane sassoni di Meissen portate dalla consorte, intento attuato con la fabbrica realizzata da Sanfelice presso la villa reale di Capodimonte (1743-44; Minieri Riccio, 1880, pp. 235-239).
Il «cavaliere» eseguì per «divozione» quadri per edifici sacri e religiosi, contestualmente a esornativi interventi di restauro o di nuova costruzione, in genere improntata a un aggiornamento decorativo di schemi tridentini. Donò pale per la cappella di S. Carlo e per quella di S. Gennaro create per sua iniziativa nella chiesa cistercense di S. Carlo fuori porta S. Gennaro, presso cui abitava (1700 circa; di S. Anna, 1733, p. 366; De Dominici, 1743, pp. 641 s.); dipinse la pala e quattro «ovati» collaterali per l’altare maggiore di S. Maria delle Periclitanti alla salita Pontecorvo (p. 642), chiesa «aperta nel 1702» su «disegno» attribuitogli (Celano, 1859, p. 778); «il quadro maggiore» e i «più piccioli» per la chiesa cappuccina di S. Gennaro a Pozzuoli, che restaurò su incarico della Città di Napoli (1701-08; di S. Anna, 1710, p. 47); la tela per «l’altare grande» della «chiesetta» di S. Gennaro a Capodimonte «eretta da’ fondamenti» nella masseria del Tesoro nel 1716 (di S. Anna, 1733, p. 256); il quadro «nella cupola» di S. Maria della Redenzione dei Cattivi, chiesa da lui «tutta modernata» fra il 1706 e il 1717 (Celano, 1724, Giornata seconda, p. 170). Fece il «quadro di S. Francesco di Sales» per la relativa cappella nella chiesa della Visitazione (presso il monastero fondato a Napoli dal fratello Antonio ormai vescovo), oltre al quadro dell’Assunta per la «soffitta del coro» e al disegno per il marmoreo altare maggiore eretto nel 1715, nonché altri «due quadri» (il Salvatore e la Vergine) «nel corridore del monastero», ricostruito, su iniziativa del fratello, secondo un suo progetto che apriva il chiostro verso «la bellissima veduta del mare» (De Dominici, 1743, p. 642); dipinse «tre gran quadri» per l’oratorio dedicato alla Vergine, a S. Gennaro e a S. Felice (1707-16; Remondini, 1747, pp. 335 s.) e altri per il «comodo palazzo» nella sua «masseria» a Ottaviano (De Dominici, 1743, p. 644). Fra pitture più o meno databili (Ceci, 1935, p. 401), rivelanti «poco più di un arido imitatore dei modi classicisti del Solimena» (Spinosa, 1986, p. 27), vi è l’«immagine della Madonna» per l’altare del «Conservatorio delle Donne Penitenti» eretto sin dal 1703 a Roma nella strada Giulia (Roma moderna..., 1741, p. 240).
Sistematici lavori d’architettura richiese l’episcopato di Nardò (Lecce), di cui nel novembre del 1707 era stato investito il fratello Antonio, che, insediatosi nella primavera del 1710, resse la diocesi sino alla morte nel gennaio del 1736. Il duomo ebbe rimodernata la struttura basilicale verso il 1715 (Pauli, 1716, pp. 110 s., 180; opere sino al 1728) e una facciata ad alzata centrale di illegiadrito modello romano.
L’episcopio impose un intervento la cui entità sfugge a causa delle trasformazioni ottocentesche, mentre disegni del 1801 e uno studio per il prospetto a giorno dello scalone sul cortile del seminario (scala costruita fra il 1723 e il 1728) testimoniano della briosa fisionomia (obliterata da una tarda ricostruzione) dell’ampliato complesso collegiale, ricongiunto alla chiesa e al palazzo in ossequio all’ideale tridentino della coesione dei tre primari elementi del sistema vescovile.
Dal 1710 il vescovo ampliò il conservatorio della Purità, che dotò di una chiesa a croce greca, compiuta nel 1722 e dotata di tre cappelle con quadri dipinti da Ferdinando, consacrata il 15 gennaio 1724 (Tafuri, 1735, 1848, p. 531); l’introflessa facciata di spunti serliani, berniniani e borrominiani s’ispira alla chiesa romana di S. Cecilia a Monte Giordano, perduta opera di Girolamo Rainaldi d’inizio Seicento.
Per taluni ordini religiosi Sanfelice formulò in quegli anni simbolici impianti centrici. Per la riforma della Nunziatella a Pizzofalcone, chiesa del noviziato dei gesuiti poi eseguita con convenzionale aula longitudinale, propose una «pianta a forma di stella» con altari isolati agli angoli, finestre conformi e una cupola «angolata» (De Dominici, 1743, p. 646). Omaggio all’astronomo Antonio Monforte era l’analogo «modello capricciosissimo [...] in forma stellare» elaborato per «pia disposizione» del maestro, morto nel 1717, per la chiesa di S. Aspreno del noviziato dei crociferi (Celano, 1724, Giornata settima, p. 88), costruita più tardi su un più ordinario progetto dell’ingegnere Luca Vecchione; similmente concepì intorno al 1732 entro una torre delle mura aragonesi la biblioteca conventuale di S. Giovanni a Carbonara. Pensata per le trinitarie di Salerno (ante 1723) era invece l’irrealizzata aula triangolare, centrata da altare isolato, della loro chiesa della Trinità. Il rettangolo ovalizzato per l’invaso della chiesa confraternale napoletana di S. Maria Succurre Miseris (1719-26) permise del resto un’elastica rispondenza borrominiana fra interno ed esterno. Il raro lessico tardomanieristico della facciata (derivato da Philibert Delorme e da Hans Vredeman de Vries per probabile mediazione bibienesca) compose un’idea del molteplice tipica nelle chiese sanfeliciane (non fanno eccezione i due registri della facciata a quinta di S. Lorenzo Maggiore, disegnata nel 1734 dopo il terremoto del 1732): rapsodico preludio alla risolutiva unità degli interni. L’atmosferico nitore degli invasi («characteristically clear», Blunt, 1975, p. 132) è reso con finezza pittorica dai disegni dell’irrealizzato progetto per la chiesa di S. Giovanni delle Dame monache a Capua (1710 circa; altro corto rettangolo ritmato da scantonature a quarti di cerchio) e dell’oratorio per villa Ravaschieri a Roccapiemonte (Salerno; 1717-20). La pianta di quest’ultimo, quadratura d’esagono, fu riproposta da Sanfelice a Napoli negli anni Trenta inoltrati in S. Maria della Consolazione a Villanova con la variante della protrusa sezione mediana di facciata, della quale è controparte l’inflesso fondo presbiteriale da cui muovono pareti oblique, organica alla leggiadra volta a ombrello (ibid., tavv. 218 s.).
Analoghi lavori di rilievo (cfr. Lenzo, 2006, pp. 313-322): capoaltare della chiesa napoletana di S. Monica (1702 circa; distrutto); cappella del Sacramento nella cattedrale di Capua (distrutta); a Salerno, campanile della chiesa dell’Annunziata (1707 circa) e nuova ala del monastero di S. Giorgio (dal 1713); capoaltare, cappelle e due scale per la cripta della cattedrale di Amalfi (1708-11); a Napoli, capoaltare e restauri della chiesa del Divino Amore (1707-10); scalea a tenaglia ovale (dal 1708, incompiuta) e biblioteca (1740 circa) di S. Giovanni a Carbonara; cappella di S. Nicola e dell’Immacolata ai Ss. Apostoli (1714-23) e cappellone di S. Domenico in S. Caterina a Formiello (1715-18); completamento della copertura e decorazione della navata centrale della cattedrale di Salerno (1723-30) e cappelle marmoree delle famiglie Lembo (1717 circa) e Mazza (1724-29); a Napoli, lavori per la chiesa e il monastero di S. Patrizia (dal 1724) e per il monastero di S. Maria Donnaregina (1726-35); consolidamento della cupola di S. Maria Donnalbina (1726-27); ampliamento del monastero di S. Chiara a Nola (1728-29); capoaltare della parrocchiale di Lauriano (1731-32); a Napoli, rifacimento dei presbiteri delle chiese di S. Gaudioso (nel 1733 Solimena dipinse la pala per il capoaltare; chiesa distrutta nel 1799) e della Croce di Lucca (dal 1739); ampliamento e riforma del monastero di S. Giuseppe dei Ruffi (dal 1741), comprendente arredi e «spalliere di riggiole dipinte» del refettorio, realizzate nel 1746 (allorché si stuccava la chiesa; Rizzo, 1999, doc. 362), emulazione rococò del nuovo chiostro di S. Chiara progettato dal condiscepolo solimeniano Domenico Antonio Vaccaro; altare maggiore di S. Maria delle Grazie a Mondragone su incarico di Anna Sanfelice, priora dell’annesso ritiro per gentildonne vedove (1743-44); lavori nel convento degli scolopi alla Duchesca (1747).
All’epoca Sanfelice fu stimato per aver introdotto a Napoli «il buon gusto nei prospetti de’ palazzi con ornarli di stucco» (De Dominici, 1743, p. 649). Sul finestrato nobile del palazzo a Chiaia del principe Ravaschieri di Satriano (dal 1707) egli pose, ad esempio, vezzosi busti muliebri. Condensò valori plastici in originali portali lapidei, intervenendo nel palazzo del duca Nicola Pignatelli (1718-19), in quello del principe di Palmarice (1719-20), o a suggello del regolare assetto preesistente di quello del principe Filomarino della Rocca (1731-32). Pur azzardando talora stravaganti planimetrie palaziali, come con la croce di s. Andrea attuata solo in parte per l’impianto di palazzo Girifalco (1729-30), gran fama gli diedero le «scale di bizzarra invenzione» (Milizia, 1768, p. 412). Quella «a lumaca» della casa per il cognato marchese Carlo Capuano presso il Monte della Misericordia (1702-06; De Dominici, 1743, p. 646), esordio in architettura civile, incuriosì persino il viceré. Strepitoso fu lo scalone «ad ala di falco» nel palazzo costruito per sé alla Sanità (1723-36; scomparso quello iniziato intorno al 1714 fuori Porta di Costantinopoli, presso il palazzo dei Regi Studi), diaframma a giorno fra cortile e giardino: idea imitata e reinterpretata «in molti palazzi» della città (p. 651) – lo scalone del palazzo «dello Spagnolo» in via Vergini, già creduto sanfeliciano, fu progettato nel 1738 da Francesco Attanasio –, escamotage di rappresentatività aristocratica demandata, nelle strette vie del folto tessuto popolare, ai luminosi squarci dei portoni su vertiginose visioni d’architettura aerea. Se regale fu lo scalone d’onore per il palazzo del marchese Serra di Cassano (1737-40), dalle monumentali rampe in simmetrica ascesa d’estro bibienesco inscritte nel volume di un vano inondato di luce, tale vocazione en plein air si inverò nel Serraglio delle fiere alla Cavallerizza del ponte della Maddalena (1742-43; demolito). Per la riformata villa di Pietro Giannone all’Arenella Sanfelice inscrisse la scala in un icastico ottagono (1727), mentre la sua coeva «invenzione» di un sistolico vano romboidale animò le rampe a sbalzo nel palazzo Di Maio alla Sanità. Pure singolare fu la doppia spirale della seconda scala del ricordato palazzo Sanfelice: ingegnosa quanto quella duplice del Banco dei poveri (1734-36). Brillò come modello di logica distributiva il «gran palazzo» del duca Nicola Pignatelli di Monteleone, «abbellito» e «accresciuto di nuovi appartamenti, con magnifiche gallerie» (Celano, 1724, Giornata terza, p. 33; lavori compiuti nel 1726). Una ricercata integrazione riguardò decori e arredi: nel 1728, ad esempio, il «cavaliere» disegnò mobili e boiseries per il palazzo del duca di Vastogirardi, Nicola Petra, a Donnalbina (Attanasio, 1999, p. 140); del 1743 fu invece il progetto degli interni di palazzo Bonito all’Anticaglia.
Con il viceregno austriaco Sanfelice ricoprì incarichi pubblici. Nel 1720, durante la cosiddetta peste di Marsiglia, fu tra i membri della deputazione della Salute firmatari, il 1° ottobre, del bando proibente lo sbarco di legni forestieri nelle marine napoletane (Leggio, 1790, p. 69); nel 1721-22 fu fra gli «eletti per l’Amministrazione della pubblica Annona», nel 1724 e nel 1733-34 deputato delle Fortificazioni, Mattonata e Acqua (Gambardella, [1968], pp. 16, 20, 25). Subentrato il regno borbonico, nel marzo del 1735 valutò i rimedi alle lesioni causate alla stalla del Palazzo Reale dal «nuovo altro quarto» costruito dal regio ingegnere Giuseppe Papis (Schipa, 1904, pp. 279 s.). Ai primi di ottobre del 1742 giudicò valida la «proposta» di Giovanni Maria Galli Bibiena il Giovane per migliorare l’acustica del teatro S. Carlo, poi approvata (Croce, 1891, p. 406; nel 1714 non era stato concesso a Sanfelice di costruire un teatro per commedie in largo delle Pigne; Gambardella, [1968], p. 14).
Dai primi anni del secolo Sanfelice conduceva ricerche sulle «vite de’ pittori, scultori ed architetti del Regno» (Parrino, 1710, p. n.n.), ma come altri passò gli appunti a Bernardo De Dominici (1743, premessa, p. n.n.) quando questi nel 1727 iniziò a lavorare alle sue Vite. Sfumò anche il «libro di Architettura» concepito a Roma (p. 657; Sanfelice, 1726), per cui preparò disegni dei suoi progetti e nel 1735 l’incisione del proprio ritratto (Museo nazionale di Capodimonte, Gabinetto dei disegni e delle stampe, Fondo Sanfelice; Museo nazionale di S. Martino, Fondo Doria). Nel gennaio del 1740 fece istanza al re Carlo affinché concedesse l’apertura presso la Regia Università di una pubblica accademia d’arte, da affidare alla direzione di Francesco Solimena (Strazzullo, 1977, pp. 651 s.): istituzione attuata dopo la morte di entrambi nel 1752. Frattanto, Sanfelice realizzò l’ala orientale del palazzo dei Regi Studi e ne perfezionò il prospetto occidentale (1741-46).
Nel 1698 aveva sposato Agata Ravaschieri degli «antichi conti di Lavagna»; dei tredici figli ne sopravvissero tre: l’avvocato Camillo, Agnese, monaca a Donnalbina, e Fortunata, «di talento eguale al padre», sposata al marchese Francesco Capecelatro per il cui feudo di Lucito ella disegnò un casino con pubblico oratorio, che «D. Ferdinando» dotò di un suo quadro (De Dominici, 1743, p. 659).
Morì a Napoli il 1° aprile 1748 (Gambardella, [1968], p. 31); erettagli una «castellana» in S. Maria la Nova dal collaboratore Giuseppe Astarita, fu sepolto nel cappellone di S. Giacomo della Marca (Rizzo, 1999, p. 152).
Fonti e Bibl.: Pompe funerali celebrate in Napoli per l’eccellentissima signora D. Caterina d’Aragona..., Napoli 1697, pp. 121-123; G. d’Angelis, Funerali fatti da questa fedelissima città di Napoli alla felice memoria di Carlo II re delle Spagne dentro l’insigne Capella del Tesoro di essa a 16 marzo 1701, Napoli 1701; Relation exacte de la proclamation de Philippe V faite à Naples le 6 de Janvier 1701 par Don Louïs de la Cerda et Aragona Duc de Medinaceli, etc. Vice-Roi du royame de Naples, in L’esprit des cours de l’Europe..., IV, La Haye 1701, pp. 178-188; A. Bulifon, Giornale del viaggio d’Italia dell’invittissimo [...] monarca Filippo V re delle Spagne, e di Napoli..., Napoli 1703, pp. 67-181; F. Sanfelice, Parere di D. F. S. circa il riparo da darsi alla cupola della cappella del Tesoro di S. Gennaro, [Napoli 1708]; D.A. Parrino, Lettera dedicatoria, in A. di Costanzo, Historia del Regno di Napoli..., Napoli 1710, p. n.n.; G.M. di S. Anna, Aggiunte all’istoria della vita, virtù e miracoli di S. Gennaro vescovo e martire..., Napoli 1710, pp. 48 s.; S. Pauli, Della vita del venerabile monsignore F. Ambrogio Salvio dell’ordine de’ Predicatori, eletto vescovo di Nardò dal santo pontefice Pio Quinto..., Benevento 1716, pp. 110 s., 180; G.M. Sanfelice, Lettera dedicatoria, in Diario dell’elezzione dell’imperador Leopoldo I descritto da monsignor Giuseppe Maria Sanfelice arcivescovo di Cosenza, e nunzio apostolico, consecrato alla sacra, cesarea e cattolica maestà dell’imperadore Carlo VI da D. Ferdinando Sanfelice, Napoli 1717, pp. n.n. (contiene in fine l’opuscolo di D. Mazza, Compendio della vita del monsignor Giuseppe Maria Sanfelice..., pp. 3-31, in partic. pp. 25 s.); Istruzzioni per gli magnifici ministri dell’eccellentissimo Tribunale di S. Lorenzo circa il regolamento della scrittura di quello, Napoli 1720; Relazione del solennissimo funerale celebrato dalla fedeliss. città di Napoli alla S.C.M. della imperatrice Eleonora Maddalena Teresa palatina di Neoburgo..., Napoli [1720], p. V e 2 tavv.; C. Celano, Delle notizie del bello, dell’antico e del curioso della città di Napoli, per i signori forestieri..., Napoli 1724, Giornata seconda, p. 170, Giornata terza, pp. 33, 61 s., Giornata sesta, pp. 54, 59 s.; Giornata settima, pp. 85, 88, 90; A. Sanfelice, Campania notis illustrata cura et studio Antonii Sanfelicii junioris [...] Benedicto XIII a Ferdinando Sanfelicio dicata, Neapoli 1726, p. 10 n.n. della dedica di Ferdinando Sanfelice a Benedetto XIII; D.A. Parrino, Nuova guida de’ forestieri per l’antichità curiosissime di Pozzuoli..., Napoli 1727, p. 217; Funerali nella morte del signor duca D. 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