RANALLI, Ferdinando
Nacque a Nereto, nel Teramano, il 2 febbraio 1813 da Bernardo e Isabella Ranalli, per il cui matrimonio fra consanguinei in terzo grado fu necessaria la licenza vescovile.
La famiglia, appartenente al ceto civile relativamente agiato, accompagnava l’esercizio di cariche pubbliche alla gestione di non estese proprietà. Bernardo, sindaco di Nereto, e poi funzionario a Teramo e a L’Aquila, sarebbe stato più tardi costretto a lasciare i suoi incarichi proprio a causa della pubblicazione delle Istorie italiane dal 1846 al 1853 (Firenze 1855) del figlio Ferdinando, poste all’Indice e sgradite ai Borbone.
Primogenito di tre figli, dopo aver avviato privatamente gli studi, Ranalli non prese la via di Napoli, ma quella delle Marche pontificie, data anche un’iniziale inclinazione al sacerdozio, e si diresse verso Ascoli e Fermo, dove frequentò probabilmente il seminario.
A quegli anni risale un quaderno, da poco edito, di versi redatti a diciassette anni, nel 1830, durante i suoi studi a Fermo (Produzioni poetiche, Teramo 2000); pagine non memorabili, ma testimonianza dei gusti dell’autore e delle pratiche del tempo.
Nel 1832, sostenuto economicamente dalla famiglia, Ranalli si trasferì a Roma, dove seguì i corsi giuridici alla Sapienza. Nell’aprile 1833 prese la tonsura, ma il suo percorso ecclesiale fu rapidamente interrotto. Introdotto nel circolo di monsignor Carlo Emanuele Muzzarelli, uditore della Sacra Rota, egli intraprese un’intensa attività di versificatore e saggista, recitando sonetti all’Accademia Tiberina e collaborando al Giornale arcadico. Di quegli ambienti condivise preferenze e tendenze, dagli interessi storico-artistici alla redazione di elogi e collezioni biografiche (Vite di uomini illustri romani dal risorgimento della letteratura italiana scritte da F. R., I-II, Firenze 1838-1840); vi conobbe Angelo Mai, e si legò a personaggi che poi rimasero suoi punti di riferimento, come Salvatore Betti, classicista e segretario dell’Accademia di S. Luca. Con Muzzarelli viaggiò nell’Italia centro-settentrionale fra 1833 e 1834, stringendo altre significative relazioni, con Michele Ferrucci e la moglie Caterina Franceschi; fece la conoscenza di Pietro Giordani, al quale fu assai legato, così come al purista Basilio Puoti, incontrato più tardi, in un viaggio a Napoli nel 1844.
Se a questi nomi si aggiunge quello del classicista romagnolo Filippo Mordani, con il quale il rapporto si fece stretto durante l’esilio fiorentino di quest'ultimo nella prima metà degli anni Cinquanta, si definisce la rete di contatti, il perimetro all’interno del quale si muoveva Ranalli: orizzonti classicistici e puristi, in lui accentuatamente misoneisti e circoscritti all’ambito della tradizione nazionale; un tipo di cultura il cui peso, in diversi spazi geografici, sociali, organizzativi della vita intellettuale italiana nei decenni centrali dell’Ottocento, non pare legittimo sottovalutare.
Di Giordani Ranalli avrebbe ricordato la consuetudine di «dir male de’ principi e dei preti» (Masi, 1899, p. 13); con il governo ecclesiastico si scontrò anch’egli, presto, quando tradusse e pubblicò, su sollecitazione dello stesso Giordani, una scelta di epistole politiche petrarchesche (Epistole di Franc. Petrarca recate in italiano da F. R., Milano 1836), che per il loro contenuto non erano fatte per piacere a Bartolomeo Alberto Cappellari, papa Gregorio XVI. Libro all’Indice, pratiche per una cattedra a Macerata sospese, Ranalli fu costretto all’esilio, nonostante l’intervento di autorevoli uomini di curia.
La partenza da Roma fu ritardata fino alla fine del 1837, quando si trasferì a Firenze. Piuttosto freddi i rapporti con il circolo di Gino Capponi (imbastardita, per Ranalli, la Toscana dell’Antologia), si legò piuttosto agli ambienti artistici cittadini, grazie anche al matrimonio, nel 1841, con Sofia Benvenuti, figlia di Pietro, celebre pittore neoclassico e direttore dell’Accademia di belle arti. Con Sofia ebbe due figli e una figlia, Isabella, che nel 1868 sposò l’erudito e archivista lucchese Salvatore Bongi.
Molto attivo in campo editoriale, in specie presso la tipografia di Francesco Batelli, Ranalli preparò su commissione una Storia della pittura dal suo risorgimento in Italia dimostrata coi monumenti della Reale Galleria di Firenze (I-II, Firenze 1841-1867), illustrazione a fascicoli degli Uffizi che fu anche pubblicata in francese con testi di Alexandre Dumas padre, sgradito a Ranalli: «per quattrini avrebbe scritto anche sopra il dogma della Concezione» (Masi, 1899, p. 22). Nella scia di questo lavoro ebbe l’incarico di redigere una Storia delle Belle Arti in Italia (Firenze 1845), accompagnata dalla ripresa, «con nuove annotazioni e supplementi», delle Notizie dei professori del disegno da Cimabue in qua (I-V, Firenze 1845-47), parzialmente edite da Filippo Baldinucci nel 1681.
Su Ranalli compilatore di cose d’arte l’attenzione critica non si è spenta: le Notizie sono state riedite e integrate a cura di Paola Barocchi (Firenze 1974-75), e ci si è soffermati (Cardelli, 2005; Vasta, 2012) sulla sua polemica contro il misticismo cattolico di Alexis-François Rio (Della pittura religiosa. Dialogo di F. R. da servire di confutazione al misticismo e idealismo odierno, Firenze 1844).
Da sempre presenti, inizialmente in forma di elogi e biografie, furono nella sua attività gli interessi per la storia e la storiografia. Editore delle Istorie fiorentine di Scipione Ammirato (I-VI, Firenze 1846-49), Ranalli non mancò di polemizzare in quella sede contro gli storici «a vapore» contemporanei (I, p. 67), praticanti una storiografia ben diversa da quella dei grandi scrittori politici italiani, Machiavelli e Guicciardini, suoi stabili punti di riferimento. La sua visione prammatica della storia – più complessa di quanto l’irridente memoria di alcuni allievi e la sommaria stroncatura di un sommo, Francesco De Sanctis, abbiano indotto a pensare – sarebbe stata poi ulteriormente elaborata; induceva, comunque, a una peculiare circolazione di motivi fra passato e presente. Così Ranalli, in mesi agitati, mise mano alle Opere scelte di Napoleone ordinate in modo da formare la sua storia (Firenze 1847), e discusse pubblicamente con Giordani sull’attualità italiana, segnalando l’illusione creatasi attorno alla possibile funzione nazionale di Pio IX. Contrario all’imitazione dei modelli costituzionali stranieri, e antimoderato perché antiromantico, il classicista Ranalli, che pensava a libertà e repubblica «nel significato antico» (Masi, 1899, p. 39), si trovò a operare per alcuni mesi accanto ai democratici.
All’inizio del 1848 l’editore Batelli lo aveva incaricato di preparare una storia degli eventi successivi all’elezione di Pio IX (Storia degli avvenimenti d'Italia dopo l'esaltazione di Pio IX al pontificato), che sarebbe stata edita in due volumi nel 1848-49, e poi ripresa e ampliata nel 1855. Il cronista fu affiancato dal politico anche per sollecitazione di Francesco Costantino Marmocchi, scienziato, ben noto a Ranalli per ragioni editoriali, guerrazziano.
Ranalli collaborò così al quotidiano L’Inflessibile, nell’estate 1848, assieme ad Atto Vannucci, e partecipò ad altre manifestazioni democratiche; fu poi eletto membro dell'Assemblea costituente toscana nel marzo 1849, e prese le distanze dagli indirizzi repubblicani. Da tempo aspirava alla cattedra di storia a Pisa, che gli fu assegnata dal governo di Francesco Domenico Guerrazzi nel febbraio 1849. Recitata la prolusione – militante, con la scontata evocazione del «doppio becco divoratore [...] fitto nelle viscere d’Italia» (Prolusione di F. R. professore di Storia nella Università di Pisa detta il giorno 22 febbrajo 1849, Pisa 1849, p. 4) –, egli poté tenere solo alcune lezioni, venendo privato della carica all’inizio di maggio.
Il Ranalli storico contemporaneo, che aveva cercato di serbarsi equanime, spiacque allora a molti. A Guerrazzi, che vide nelle sue pagine un riallineamento moderato, ma anche a Roma e ai gesuiti della Civiltà cattolica. Andò almeno in parte diversamente per la nuova attività editoriale allora intrapresa. Nel 1854 apparve a Firenze un’opera più volte riedita, Degli ammaestramenti di letteratura, poi compendiata nei Principii di Belle Lettere per uso delle scuole (Firenze 1857), operazione culturale con qualche esito, grazie anche all’interesse mostrato non solo dagli amici Mordani e Betti, ma anche da altre figure legate al mercato dello scolastico come Luigi e Raffaello Fornaciari, che recensì la seconda edizione degli Ammaestramenti, nel 1859, sul Poliziano, la rivista degli Amici pedanti. Il libro era stato composto per partecipare a un concorso bandito a Torino per un manuale scolastico, che non aveva avuto vincitori. Ranalli, animato dal proposito di rompere col ‘secol di merda’, lo rielaborò mettendo insieme una sezione antologica a illustrazione dei precetti, costruita per mettere a confronto il meglio degli antichi e il peggio dei moderni.
Francesco De Sanctis, scrivendo il 19 luglio 1859 ad Angelo Camillo De Meis, ne parlava come del «deposito generale di tutte le sciocchezze del cervello umano» [F. De Sanctis, Epistolario (1859-1860), a cura di G. Talamo, Torino 1965, p. 82]; in chiave antimanzoniana, invece, Ranalli veniva valorizzato dal gruppo dei giovani carducciani, e all’antimanzonismo, con la prevalenza dell’aneddotica rispetto a una più attenta considerazione testuale, il nome di Ranalli è rimasto in fondo legato.
Nel 1859 Ranalli tornò a occuparsi di politica, in modo dissonante rispetto agli orientamenti che andavano allora affermandosi. Trasformò infatti alcune conversazioni avute con Terenzio Mamiani della Rovere a Firenze nel 1858 in un volume, Del riordinamento d’Italia. Considerazioni (Firenze 1859), in cui si manifestavano dubbi nei confronti dell’alleanza con Napoleone III, prospettando tempi lunghi, e una indipendenza nazionale «fondata nel civile avvicinamento de’ nostri Stati fra loro» (ibid., p. 384). Mamiani prese le distanze in nome dell’opportunità politica; si tentò in vari modi di impedire l’uscita del libro, perfino con la minaccia di un pubblico rogo. Tutto questo non giovò alla posizione di Ranalli, desideroso di recuperare la perduta collocazione accademica. La reintegrazione fu laboriosa, e con vari strascichi amministrativi. A Pisa tornò stabilmente solo nel 1862 (in breve, sgradita coabitazione con Pasquale Villari, direttore della Scuola Normale, istituzione avversata da Ranalli), dopo essere transitato per l’Accademia di belle arti di Firenze, con l’insegnamento di storia universale (1859-60), e per l’Istituto di studi superiori di Firenze, sulla cattedra di storia della letteratura italiana (La letteratura nazionale. Prolusione e prime lezioni orali di F. R., Firenze 1861). Il suo insegnamento pisano si protrasse fino al 1884, cumulando in varie fasi al corso di storia moderna quelli di storia antica e di filosofia della storia, secondo le sue convinzioni contrarie all’incipiente specialismo universitario; né la sua presenza pubblica fu limitata alla cattedra.
Membro del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione dall’ottobre 1865 al dicembre 1866, deputato nella X legislatura (candidato nella IX legislatura nel collegio di S. Severino Marche e sconfitto al ballottaggio, poi eletto nello stesso collegio, sempre al ballottaggio, nel marzo 1867), nominato socio corrispondente dell’Accademia della Crusca nel 1874, Ranalli tuttavia fu, e si sentì, ai margini della vita intellettuale e civile del nuovo Stato. Delle sue deluse ambizioni politiche avrebbe parlato nelle Memorie, senza tacere l’anacronismo dei propri riferimenti ideali; ingeneroso con se stesso, poi, nel ridurre in sostanza alla ricerca del «profitto pecuniario» (Masi, 1899, p. 167) i moventi del suo mestiere di scrittore. La pubblicazione delle sue Lezioni di storia (I-II, Firenze 1867-68) dette occasione a un celebre saggio desanctisiano. In quei volumi trovavano composizione riflessioni già avviate negli Ammaestramenti (IV, II ed. Firenze 1858, pp. 122-181), ma che allora erano sostanziate da una più lunga esperienza di insegnamento, e da un aspro scontro con la nuova cultura accademica.
Si tratta di pagine non indegne di un paziente confronto, ma dalle quali emergono una visione della storia di ispirazione prammatica, e un netto distacco dalle nuove tendenze della ricerca – lo specialismo erudito – e dell’insegnamento – il seminario –, che venivano affermandosi anche sulla base del confronto con i modelli stranieri; e la «parola viva» del docente attento alle impressioni prodotte nell’uditorio veniva opposta alle indicazioni pedagogiche di «certi scimunitelli dal color germanico», influenti nell’amministrazione scolastica, che «in luogo di lezioni, vorrebbero farci fare conferenze», quasi che la qualità dell’insegnamento «dependesse dal nome o dalla stanza» (Lezioni di storia, I, 1867, p. LVI).
Alla Camera Ranalli prese la parola, di fatto inascoltato, sul riordinamento dell’amministrazione centrale e provinciale, nel dicembre 1868; ancora controcorrente, nel 1870, impossibilitato a farlo nella discussione parlamentare di metà agosto, assunse posizione contraria, il 6 settembre, al trasferimento a Roma della sede del governo, ipotizzando una condizione di «città libera» (Della questione romana. Pensieri di F. R., Firenze 1870, p. 14).
Dopo una lunga vecchiaia trascorsa in crescente isolamento, dedicata alla stesura delle memorie, e di un’opera di storia generale rimasta inedita, Ranalli morì a Pozzolatico, presso Firenze, il 10 giugno 1894.
Fonti e Bibl.: Non è stato possibile reperire un fondo documentario personale. Un largo e accurato censimento delle lettere di Ranalli è proposto nella ricca monografia di M. Cardelli, F. R. o della pedanteria onesta, Firenze 2010 (Indice delle fonti manoscritte, pp. 427-449), che comprende anche indicazioni sui fondi istituzionali relativi alla carriera accademica di Ranalli. Si veda anche, nella stessa opera, la bibliografia degli scritti di e su Ranalli (pp. 359-372). Per la bibliografia si rimanda anche a F. R. La vita. Le opere, a cura del comitato per le onoranze a F. R. nel primo centenario della morte, Colonnella 1994, pp. 161-201 (il volume comprende anche vari contributi biografici). Fondamentale resta E. Masi, Memorie inedite di F. R. l’ultimo dei puristi. Studio, Bologna 1899. Inoltre: F. Romani, I miei ricordi di Pisa, in La Lettura. Rivista mensile del Corriere della Sera, VIII (1908), 2, pp. 114-122; W.K. Hancock, A lonely Patriot: F. R., in Id., Politics in Pitcairn and other Essays, London 1947, pp. 110-135; M. Moretti, Storici accademici e insegnamento superiore della storia nell' Italia unita. Dati e questioni preliminari, in Quaderni storici, XXVIII (1993), 82, pp. 61-98; M. Cardelli, I due purismi. La polemica sulla pittura religiosa in Italia, 1836-1844, Firenze 2005, ad ind.; D. Vasta, La pittura sacra in Italia nell’Ottocento. Dal Neoclassicismo al Simbolismo, Roma 2012, ad ind.; Camera dei deputati, Portale storico, http://storia.camera.it/deputato/ferdinando-ranalli-18130202#nav (17 giugno 2016).