MANLIO (Maglione), Ferdinando (Ferrante)
Non si conosce la data di nascita di questo architetto e urbanista napoletano documentato a partire dal 1537, legato alle più importanti realizzazioni civili e religiose attuate a Napoli durante il viceregno di Pedro de Toledo, marchese di Villafranca (1532-53).
La figura del M. è stata talvolta distinta da quella di Ferrante Maglione, il quale in realtà non è altri che lo stesso M., chiamato alla latina Manlio. Confusione si è creata anche con la figura del pittore che realizzò nel 1419 la tavola dell'Annunciazione sull'altare maggiore della chiesa della S. Casa dell'Annunziata di Aversa, al quale veniva attribuito erroneamente il nome di Ferrante Maglione in base a un documento del 1539, relativo in realtà all'architetto cinquecentesco, al quale veniva commissionata in quell'anno la "cona" marmorea per l'altare maggiore (Zezza).
È ancora da indagare la formazione del M., la cui attività si inserisce tuttavia nella temperie culturale del primo Cinquecento napoletano determinata dall'architettura classicista di Giovanni Donadio detto il Mormando e dalla presenza dei maestri cavesi: la sua produzione non appare allontanarsi dagli schemi più diffusi a livello locale, come sembra evincersi dalle poche tracce originali che restano delle sue opere architettoniche (Pane; Savarese, 1986 e 1993).
Il M. fu autore, sia pure coadiuvato da Giovanni (o Giovan Battista) Benincasa, dell'intero piano urbanistico della città di Napoli promosso da Pedro de Toledo: si trattò di un piano organico, che rispondeva a esigenze funzionali e a precise scelte urbanistiche e che deve ritenersi fra le maggiori realizzazioni urbanistiche attuate in Italia nel corso del Cinquecento.
Il piano può considerarsi avviato già a partire dal 1537 con il nuovo tracciato bastionato delle mura, che collegava organicamente Castel Sant'Elmo, Castel dell'Ovo e Castelnuovo, capisaldi della difesa urbana, disposti ai vertici di un triangolo. A partire dal 1543 si avviava l'ampliamento della città nella zona occidentale con la creazione della nuova via Toledo, così chiamata in onore del viceré, quale cerniera del piano di espansione, che vivificava i nuovi quartieri, congiungendoli direttamente a quelli antichi, e univa la città al suo centro militare e rappresentativo: sul lato occidentale sorgevano, infatti, i "quartieri spagnoli", destinati ad alloggio delle truppe, mentre al suo termine verso il mare si iniziava la costruzione del nuovo palazzo vicereale. L'intervento prevedeva inoltre numerose fontane pubbliche, che dovevano contemporaneamente soddisfare l'approvvigionamento idrico e svolgere la funzione di arredo urbano.
All'interno del programma di riassetto della città, il M., con l'aiuto di Benincasa, aveva realizzato nel 1537 il restauro e la trasformazione di Castel Capuano, ordinaria residenza del duca di Calabria in epoca aragonese, in palazzo di giustizia - la cosiddetta Vicaria nuova - riunendovi l'amministrazione giudiziaria della città.
L'edificio è stato radicalmente rimaneggiato nel XIX secolo nel corso di un intervento di restauro, che ha tuttavia replicato le modanature cinquecentesche, che denotano l'influenza classicista mormandea.
Il M. si occupò anche di aspetti più specificatamente ingegneristici, ai quali è da ricondurre la carica di ingegnere della real corte, attribuitagli con regio decreto nel 1545.
Il viceré gli affidava il compito di controllare in maniera capillare ogni nuovo cantiere, verificando appalti e perizie, gestendo ammissioni e licenziamenti delle maestranze, sovraintendendo a tutte le opere di decorazione scultorea, pittorica e plastica che si intraprendevano in città; il M. attendeva inoltre ai lavori di bonifica delle zone paludose, di riorganizzazione della rete fognaria e di pavimentazione delle strade. In veste di ingegnere militare realizzò la trasformazione, a partire dal 1547, di Castelnuovo, vecchia residenza vicereale, in baluardo bastionato a pianta rettangolare, demolito tra il 1871 e il 1886. Mentre l'intervento relativo al castello di Capua dovette limitarsi a una nuova perimetrazione bastionata e alla sistemazione dell'area circostante il castello.
Tipologie edilizie che molto dovevano all'attività di ingegnere militare vennero adottate dal M. per le sue opere di architettura civile.
Il nuovo palazzo reale (palazzo vecchio), realizzato tra il 1552 e il 1565 su incarico del viceré e distrutto al tempo dell'edificazione del nuovo palazzo reale di Domenico Fontana, presentava un aspetto squadrato con due torri angolari che gli conferivano un carattere intermedio fra la fortezza e il palazzo, come già accadeva in Castelnuovo. L'impianto planimetrico del castello-palazzo, munito di torri a scarpa, caratterizzava anche il palazzo del principe di Stigliano, oggi Cellamare, il cui rinnovamento cinquecentesco voluto da Luigi Carafa di Stigliano spetta all'architetto vicereale nel quarto decennio del secolo (Savarese, 1995). Dai documenti emerge che il ruolo svolto dal M. nella ricostruzione del palazzo andava oltre quello di architetto e lo vedeva impegnato nei lavori di fabbrica come nella decorazione di interni e nella sistemazione dei giardini, per i quali attendeva anche ai lavori idraulici (ibid.). Il modello di casa-torre a pianta quadrata con base scarpata avrebbe dovuto caratterizzare anche la residenza vicereale di Pozzuoli, commissionata al M., che tuttavia, impegnato in altri lavori pubblici, riuscì a realizzarne soltanto una torre.
Il M. fu artefice anche di due importanti opere di architettura religiosa: la chiesa e l'ospedale di S. Maria dell'Annunziata e la chiesa e l'ospedale di S. Giacomo degli Spagnoli.
Il primo complesso, realizzato tra il 1540 e il 1547, anno della consacrazione, fu distrutto in un incendio nel 1757; della chiesa cinquecentesca restano visibili solo resti del rivestimento in piperno e del basamento nel cortile della Santa Casa, dove si riconoscono frammenti di lesene scanalate e baccellate memori del classicismo mormandeo.
Il secondo, poco oltre palazzo vecchio, nell'area dell'antico quartiere dei Genovesi, fu realizzato intorno al 1540; nella chiesa fu collocata la tomba che Pedro de Toledo aveva commissionato molto prima della propria morte (1553) a Giovanni Marigliano da Nola. Distrutta la facciata per la costruzione del palazzo dei ministeri all'inizio del XIX secolo, l'interno della chiesa di S. Giacomo è l'unica opera architettonica del M. rimasta quasi nella sua totale integrità. A tre navate a croce latina presenta due particolari soluzioni: nelle navate laterali coperte da una successione di cupole e nello svolgimento della parte terminale della navata centrale, con la cupola impostata, invece che sull'incrocio tra la navata e il transetto, su un quadrato tra il transetto e l'abside in modo che quest'ultima risulti più profonda, per favorire la visibilità del monumento sepolcrale del viceré, al centro dell'abside stessa. Le soluzioni adottate in S. Giacomo degli Spagnoli ebbero eco in chiese napoletane del secolo successivo: l'architetto teatino Francesco Grimaldi avrebbe utilizzato nella chiesa di S. Maria degli Angeli (1600-10) a Pizzofalcone la successione delle cupolette sulle navate laterali; mentre nella chiesa di S. Maria della Sapienza (consacrata non ancora ultimata nel 1641) sarebbe stato ripreso lo svolgimento della parte terminale adottato dal M. con la cupola spostata in fondo al transetto.
Il M. morì a Napoli dopo il 1572 e venne sepolto nella chiesa dell'Annunziata, nella quale gli era stata concessa, come onore per averne realizzato la fabbrica, sepoltura per sé e per i propri familiari.
Qui riposava anche il figlio Timoteo, avviato alla carriera di matematico, morto all'età di diciannove anni nel 1572; il M. stesso compose l'epitaffio per la sepoltura comune.
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