LOFFREDO, Ferdinando (Ferrante)
Si ignorano il luogo e la data della sua nascita, avvenuta quasi certamente nei primissimi anni del Cinquecento. Il L. apparteneva a una famiglia di togati napoletani, che cronisti e studiosi successivi hanno fatto risalire, secondo un consolidato schema retorico, ora al periodo normanno-svevo, ora a quello angioino. Suo padre, Francesco (Cicco), già viceprotonotario del Regno di Napoli e presidente del Sacro Regio Consiglio, ricoprì dal 1539 alla morte, avvenuta nel 1547, l'importante carica di reggente della Cancelleria. Grazie agli stretti legami con il viceré Pedro de Toledo, suo patrono, il padre fu ascritto al seggio nobiliare napoletano di Capuana. Un fratello del L., Enrico, fu vescovo di Capaccio dal 1531 alla morte, avvenuta nel 1547.
Non vi sono notizie sulla sua formazione giovanile e, più in generale, disponiamo di dati frammentari sulla sua vita, anche in considerazione del fatto che autori antichi e moderni hanno spesso confuso le sue vicende con quelle dei figli e di un omonimo nipote.
Il L. fu avviato alla carriera militare: i primi dati certi di cui disponiamo sul suo conto lo vedono premiato nel gennaio 1534 dall'imperatore Carlo V con una rendita perpetua di 300 ducati sulle entrate fiscali della Terra di Lavoro per i servigi resi nelle guerre in Italia, Germania, Fiandre e, da ultimo, nella campagna di Ungheria contro gli Ottomani. Negli anni successivi il L. militò, al comando di una compagnia di cavalieri, nell'esercito ispano-imperiale che combatteva i Francesi in Lombardia e in Piemonte: nel 1537 si segnalò nelle operazioni militari intorno a Chieri, piazza che difese con sagacia al comando di 700 uomini d'arme italiani. L'anno seguente, i suoi meriti militari gli fruttarono la concessione imperiale di un'altra rendita vitalizia, di 500 ducati l'anno.
Rientrato a Napoli, nell'aprile 1542 venne nominato governatore delle province di Terra d'Otranto e di Bari, ufficio lasciato vacante dalla morte di Scipione di Somma, fratellastro del padre. L'incarico era tutt'altro che semplice: turbolenta ed esposta alle continue incursioni dei corsari saraceni, l'area pugliese necessitava di una guida di provata lealtà verso l'imperatore e di piena fiducia del viceré Pedro de Toledo. Il L. operò energicamente per un efficace controllo del territorio attraverso il riassetto del sistema difensivo: nel 1544 ordinò la demolizione del centro di Roca sull'Adriatico - che fece ricostruire nell'interno - affinché non servisse da testa di ponte per i corsari. Partecipò inoltre alle operazioni per difendere Ugento, minacciata dai Saraceni. A Lecce, città di cui ebbe anche il titolo di castellano, il L. sovrintese all'edificazione della nuova cinta muraria e alla ricostruzione del castello - iniziative, peraltro, già avviate prima della sua nomina - e fece pavimentare le strade cittadine. Per celebrare la ristrutturazione del perimetro urbano della città pugliese, nel 1548, fece erigere un arco di trionfo con una dedica a Carlo V, inserendolo nella porta di S. Giusto. In quello stesso anno divenne marchese di Trevico (alcuni autori datano però l'avvenimento al 1543). Indicativo degli orientamenti del L. è il fatto che, nel 1549, nell'informare il viceré della morte del duca di Ferrandina, Giovanni Castriota, caldeggiasse la devoluzione alla Regia Camera degli importanti feudi di cui il defunto era titolare in Terra d'Otranto, segnalando il valore strategico dei castelli in essi presenti e l'esigenza prioritaria per la Corona di mantenerne il diretto controllo.
Il L. fu uno dei personaggi più vicini al viceré Toledo, come testimonia il fatto che, nel 1549, in qualità di deputato del baronaggio nel Parlamento generale del Regno, fu tra coloro che sostennero con maggior vigore le richieste del viceré e ottennero la concessione di un donativo di 600.000 ducati al sovrano. Particolarmente importante fu, nel 1552, il suo ruolo nella repressione della congiura ordita da Ferrante Sanseverino, principe di Salerno, e da Giovanni Bernardo Sanseverino, duca di Somma, per assassinare il duca di Nardò, Francesco Acquaviva, per occupare il castello e consegnare la città agli Ottomani, alleati della Francia. In tale circostanza il viceré, avvertito dai suoi informatori, aveva messo sull'avviso i governatori delle province del Regno: grazie a una delazione, il L. poté agire assai energicamente per reprimere la congiura di Nardò, facendo eseguire, con il pieno consenso del Toledo, ben undici condanne a morte. Quindi, allorché fu avvistata presso Otranto una flotta ottomana di 120 vascelli, il L. provvide a schierare i baroni della provincia con 800 cavalli e riuscì a contrastare con successo lo sbarco di un distaccamento ottomano (forse proprio quello destinato a muovere su Nardò). L'anno seguente il L. denunciò al viceré un nuovo complotto contro la Corona, a opera di Pietro Antonio Accia, barone di Pulsano.
Nel corso della guerra del 1556-57 tra papa Paolo IV e Filippo II, il L. ebbe l'incarico di coordinare la difesa dell'Abruzzo, area di rilevante importanza strategica in quanto frontiera tra il Regno di Napoli e lo Stato pontificio. Accompagnato dal figlio primogenito Francesco (Cicco) e dal secondogenito Carlo, svolse un ruolo di primo piano nelle operazioni militari contro le forze papali guidate da Antonio Carafa. Alla ripresa delle ostilità, dopo la fragile tregua e l'intervento francese a fianco del pontefice, il L. e i due figli si distinsero nella difesa della fortezza di Civitella del Tronto, chiave di volta del sistema difensivo spagnolo: qui essi riuscirono a respingere l'attacco delle forze franco-papali del duca di Guisa, Francesco di Lorena, contribuendo in maniera decisiva alla vittoria dell'esercito del duca d'Alba, Fernando Álvarez de Toledo, viceré di Napoli.
Le altre scarne notizie di cui disponiamo sono frammentarie e talora confuse: nel 1555 è segnalata la sua presenza al Parlamento generale, mentre, nel febbraio 1557, lasciò il governo della Terra d'Otranto. Nell'ottobre di questo stesso anno, il L. comprò dalla Corona, per 25.000 ducati, i feudi di Francavilla, di Casalnuovo - con patto di retrovendita, a cui venne dato effettivamente corso nel marzo 1565 - nonché quelli di Mottola e Oria. Quest'ultimo feudo fu, però, rivenduto dal L. alla Regia Camera allorché, nel settembre 1558, siglò il contratto per l'acquisto di Ostuni per la notevole somma di 55.000 ducati. La città pugliese, tuttavia, provvide l'anno seguente a riscattare la propria libertà e a ottenere di essere annoverata nel Demanio regio.
Nel 1560 e nel 1564, il L. partecipò come deputato del baronaggio ai Parlamenti, durante i quali si verificarono aspri contrasti tra i rappresentanti della nobiltà e quelli della città di Napoli. Non è confermata la notizia, contenuta nella settecentesca cronaca di Lecce di I.A. Ferrari, secondo cui nel corso degli anni Sessanta si sarebbe recato alla corte di Madrid con i due figli maggiori e avrebbe ottenuto da Filippo II una merced di 10.000 scudi. È certo, invece, che nel corso del 1566, il L., già sovrintendente alle fortificazioni nel 1554, elaborò e inviò al viceré di Napoli un'ampia relazione sull'ubicazione e lo stato di tutti i castelli del Regno, trasmessa poi a Madrid; tale documento, particolarmente attento al problema del controllo del territorio non solo in relazione ai pericoli esterni, ma anche a quelli interni, è rivelatore dell'atteggiamento di un uomo d'arme che aveva vissuto appieno la difficile congiuntura politica napoletana degli anni Quaranta e Cinquanta del Cinquecento.
Priva del conforto della documentazione e quasi certamente destituita di fondamento, è invece la notizia data da S. Mazzella - e ripresa dalla maggior parte degli autori - della nomina del L. nel Consiglio collaterale e della sua presenza al fianco di don Giovanni d'Austria nella battaglia di Lepanto e nelle vicende della Lega santa (1571-73). Il marchese di Trevico, attestato in quegli anni, è probabilmente il figlio del Loffredo.
Indice di un certo gusto di stampo umanistico è la redazione, che risale forse agli ultimi anni della sua vita, del volume a stampa Le antichità di Pozzuolo, et luoghi convicini nuovamente raccolte dall'illustris. sig. Ferrante Loffredo, marchese di Trevico, e del Consiglio della guerra di sua maestà (appresso Giuseppe Cacchi, Napoli 1570), che la tradizione è concorde nell'attribuire alla mano del Loffredo. Giova, inoltre, ricordare che il L., nel settembre 1560 aveva stipulato con i padri domenicani del distrutto convento del S. Spirito un accordo per l'edificazione a sue spese (5000 ducati) di un nuovo edificio e di una chiesa, sempre dedicati al S. Spirito, sul terreno di sua proprietà a Pizzofalcone, dove sorgeva la villa che aveva acquistato nel 1526 dagli eredi di Andrea Carafa, conte di San Severo. Qui avrebbero dovuto essere tumulati i suoi genitori e il fratello Enrico. In seguito alla decisione dei frati di riedificare altrove il convento del S. Spirito, il L. scelse nel 1572 di intitolare la nuova fondazione al Monte di Dio. In quello stesso anno cedette al figlio Carlo una merced di 800 ducati annui sulle rendite del Regno.
Il L. morì il 12 apr. 1573.
Dei diversi figli del L., il primogenito Francesco (Cicco) divenne governatore di Terra d'Otranto e Bari dal marzo 1569 e quindi membro del Consiglio collaterale dal 1574; il secondogenito, Carlo, per il quale il L. ottenne il diritto di successione nella castellania di Lecce, entrò nel Collaterale nel 1584 e fu creato marchese di Sant'Agata nel 1593. Anche il nipote Ferrante, figlio di Cicco, oltre a ereditare il marchesato di Trevico (di qui la frequente confusione con il L.), seguì la carriera delle armi e combatté al servizio di Filippo II nella guerra delle Fiandre, ottenendo, nel 1595, la nomina a consigliere del Collaterale.
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