FLORES, Ferdinando
Nacque a Napoli il 7 dic. 1824 da Francesco, colonnello dell'esercito napoletano, e da Vita Montalbano, in una famiglia per tradizione fedele ai Borboni. Mostrò ben presto propensione per lo studio delle lingue antiche e moderne. Alla scuola del profugo greco Costantino Eutimiades apprese il greco antico su solide basi grammaticali, preparazione che profuse in lavori giovanili, come la collaborazione alla traduzione di Bruto Fabbricatore dell'Etimologia di Giorgio Ghennadios (Napoli 1847) e della Sintassi di Costantino Asopio (ibid. 1849), "per la prima volta tradotta dal greco ed accomodata ad uso degli Italiani". Si formò alla scuola di B. Puoti, dove gli fu compagno F. De Sanctis, cui fu sempre legato da rapporti di collaborazione e di amicizia.
Questi poté contare sull'affito del F. in momenti difficili e volle che fosse il depositario e il curatore di suoi importanti studi. A lui, lasciando il carcere di Castel dell'Ovo, consegnò l'autografo del poemetto La prigione e la traduzione a quadri sinottici dei primi due libri della Logica di Hegel. Curò poi la stampa della traduzione del De Sanctis dei primi due volumi del Manuale di storia generale della poesia di C. Rosenkranz (Napoli 1853), restandone influenzato.
Tra il '50 e il '60 indirizzò i suoi interessi verso la letteratura tedesca, che in quegli anni aveva in Italia pochissimi cultori. Se del De Sanctis subì il fascino, non fu però in grado di recepirne il senso più profondo dell'insegnamento. Il F., infatti, non riuscì mai ad elevarsi al di sopra di considerazioni puramente esterne e grammaticali, né a raggiungere la visione storicistica propria del De Sanctis. Questi limiti sono evidenti nei suoi studi sulla letteratura tedesca, di cui ci è rimasta una memoria, Del Torquato Tasso di W Goethe, letta molti anni dopo e stampata negli Atti dell'Acc. di arch. lett. e belle arti di Napoli, (1990-1901), pp. 219-228.
Lo scopo del saggio, malcelato all'inizio da una disquisizione erudita sulla storia della composizione del dramma goethiano, si evidenzia alla fine con un giudizio sull'omonimo dramma che il De Sanctis aveva composto durante la sua prigionia nel Castel dell'Ovo, in seguito più volte rivisto, pubblicato dal Croce insieme con altri inediti desanctisiani poco prima della lettura di questa memoria. Il De Sanctis compose il suo dramma "tenendo presente l'opera goethiana, non già per imitarla, ma piuttosto per schivarne gli errori". E più ricco d'azione appare al F. il dramma del suo maestro dove, a differenza di quello goethiano, il Tasso viene rappresentato "non prostrato dalle sventure, ma sempre irradiato dalla pura luce del genio e dell'amore" (pp. 226 s.).
Aveva iniziato a lavorare presso la R. Biblioteca borbonica, dove, in seguito a concorso, fu dal 1858 terzo scrittore e dal 1861 secondo bibliotecario. Fu un lavoro che gli permise, pur tra le beghe di un ambiente chiuso e burocratico, di proseguire l'attività di ricerca. Nel 1859 apparve così a Napoli il suo primo lavoro di un certo respiro, la traduzione italiana della grammatica greca di Philipp Buttmann.
Come avverte nella prefazione, l'opera non è costituita dalla traduzione di un singolo testo del grammatico tedesco, ma dal compendio di tre opere del Buttmann, Giechische Grammatik (Berlin 1854); Griechische Schul-Grammatik (ibid. 1853); Ausfur Niche griechische Sprachlere, (ibid. 1830-1839). Il volume del F. - suddiviso in due parti: "Teoria delle forme" e "Sintassi" cui seguono un'appendice sul dialetto omerico ed un capitolo con brevi cenni di metrica greca - rientra nell'opera di divulgazione della filologia tedesca che allora vide impegnati molti antichisti italiani e mira a fornire ai giovani un valido sussidio didattico in anni in cui lo studio del greco non era ancora basato su solidi supporti filologici. Tra le grammatiche greche in uso allora in Italia solo quella di A. Matthiae apparve al F. degna di menzione, anche se poco adatta - a suo parere - ad essere usata nelle scuole "perchè troppo estesa e troppo ricca di dottrina".
Proclamata l'Unità d'Italia, il De Sanctis, ministro della Pubblica Istruzione, memore dell'antica amicizia che lo legava al F., lo nominò suo segretario privato. L'incarico durò dal luglio al novembre del 1861, periodo in cui il De Sanctis si occupò del riordino dell'amministrazione napoletana dell'istruzione pubblica.
L'anno accademico 1861-62 segnò l'ingresso del F. all'università di Napoli come incaricato di letteratura greca, al posto di B. Quaranta. Nominato professore straordinario nel 1863, divenne ordinario nel 1878 mantenendo l'insegnamento fino al 1904, allorché si ritirò in pensione.
A Napoli l'insegnamento del greco era stato tenuto privatamente, per lo più da profughi greci, mentre all'università veniva professato unitamente a quello di archeologia. Toccò al F. inaugurare la cattedra di letteratura greca, mentre l'Italia rinnovata, sotto la spinta del germanesimo culturale, si avviava ad impadronirsi del mondo storico critico.
Il F., benché avesse un ingegno aperto alle idee moderne, fu, secondo il giudizio di L. Russo "un grammatico nel senso alto del termine, buon conoscitore della lingua greca, buon lettore dei testi greci, ma non filologo ellenista" (Francesco De Sanctis e la cultura napoletana, p. 47). Nella sua produzione filologica, in realtà non molto estesa, si stenta infatti a cogliere la nuova metodologia che analizzava l'antico in base a quel più ampio concetto di filologia che mira alla ricostruzione storica della vita di un popolo nella sua totalità. Si coglie, tuttavia, la portata della sua opera se si considera che il compito assunto dall'università del nuovo Stato unitario era soprattutto quello di formare buoni insegnanti di scuola media e di avviare le nuove leve alla ricerca scientifica. Il F. svolse la sua attività didattica con impegno e dignità, lasciando memoria del suo insegnamento ai numerosi allievi.
Nel 1862 aveva inaugurato il corso di letteratura greca all'università di Napoli, difendendo l'originalità della cultura greca contro chi voleva farla derivare dall'oriente (Prolusione al corso di letteratura greca nella regia Università di Napoli letta addì 3 febbraio, Napoli 1862, pp. 1-28). Nell'excursus sulla cultura greca, dalle origini fino alla decadenza di Demostene, conciliava le due tradizioni che volevano la scrittura introdotta in Grecia da Cadmo e prima di lui da Danao proveniente dall'Egitto. In realtà si limitava ad esprimere idee allora correnti su questo problema. Nell'appello finale all'amore di patria esaltata in nome di un'affinità ch'egli scopriva tra gli antichi Greci ed il popolo italiano, rivelava spirito patriottico e forte senso nazionale.
Nel 1865 apparvero sull'Antologia contemporanea (n.s., II) tre suoi articoli: la dissertazione Del Prometeo legato di Eschilo (pp.1-12), la traduzione con note esegetiche dell'Ode di Pindaro I delle Olimpiche a Gerone siracusano vincitom col celete (pp.1-19), e dell'Ode di Pindaro VIII delle Pizie ad Aristomene di Egina lottatore (pp. 1-15).
Nel primo affrontava la vexata quaestio del rapporto tra la profonda religiosità di Eschilo e l'immagine di uno Zeus dispotico che scaturisce da questa tragedia. Per la soluzione si limitava ad esprimere giudizi personali, prescindendo da importanti contributi che la critica internazionale aveva prodotto sull'argomento come quello di K.G. Welcker, Die aeschilysche Trilogie Prometheus und die Kabirenweihe zu Lemnos nebst Winken ueber die Trilogie des Aeschylus ueberhaupt (Darmstadt 1824), e quello di H. Keck, Der theologische Charakterin Aeschylus Prom. Tril. (Glueckstadt 1851).
Le traduzioni pindariche, esibite però senza testo a fronte, costituiscono un anticipo del suo lavoro più importante: Le Odi di Pindaro volgarizzate (Vercelli 1866). Ad esso fu spinto da una sollecitazione generale ed europea, testimoniata dalla messe di studi pubblicati su Pindaro, nonché da interessi grammaticali. La novità di questa versione fu l'adozione della prosa, diversamente dalla prassi che voleva le traduzioni in versi delle poesie. Il testo esibito a fronte in questo lavoro è quello di C.G. Heyne, Pindari carmina et fragmenta, in tre volumi (Göttingen 1773). Seguivano, inoltre, un apparato critico con lezioni scelte dai Pindari carmina di T. Mommsen (Berlin 1864), con ampio commento introduttivo e note esegetiche. D. Comparetti recensendo il lavoro del F. in Nuova Antologia (agosto 1868, pp. 839-842) criticò la scelta del testo seguito e osservò che dopo Heyne sul testo di Pindaro era intervenuto A. Boeckh che nei Pindari opera quae supersunt (3voll., Leipzig 1811-1821) pubblicava anche il De metris Pindar1, nel quale esponeva i suoi studi sulla colometria delle Odi di Pindaro. Ingiusta appare, invece, la censura contro la scelta operata dal F. delle lezioni di T. Mommsen, la cui edizione rimane tuttora fondamentale per la cura posta nell'esame delle varie classi di manoscritti. In effetti, il F. - contrariamente a quanto si pubblicava in quegli anni - si mostra informato su tutte le edizioni e le traduzioni di Pindaro e se non attingeva i vertici di una perfetta traduzione filologica cui arriverà in Germania, più tardi, F. Domseiff, Pindar uebersetzt und erlautert (Leipzig 1921), sembrava in qualche modo anticiparla. La traduzione del F., come notarono il Comparetti ed L. Settembrini, fu un'interpretazione che, con le note esegetiche, facilitò la lettura della difficile poesia pindarica. L'introduzione diede, inoltre, un'idea degli studi pindarici allora fiorenti soprattutto in Germania.
Nel 1868 apparve a Napoli La traduzione della grammatica latina di W H. Blume accomodata ad uso delle classi inferiori del Ginnasio, con cui il F. continuava l'opera di divulgazione della filologia tedesca. Gli anni successivi sono segnati da una produzione di carattere eterogeneo, affidata a riviste e quotidiani, per lo più di scarso interesse scientifico. Il F., in realtà, appare assorbito completamente dall'attività didattica: dal 1873 tenne infatti anche l'insegnamento di letteratura italiana nei Regi Educandati. I classici greci che egli leggeva e faceva leggere ai suoi allievi secondo la pronuncia reuchliniana costituirono la base del suo magistero.
In sostanza il F. testimonia l'impegno di un maestro ed educatore, aperto alla filologia europea, che, pur tra le difficoltà proprie dell'epoca postunitaria, riuscì a creare una scuola di cultori di discipline storiche.
Morì a Portici (Napoli) il 9 ag. 1909, vedovo di Sofia Luisa Soates, di famiglia inglese, che gli aveva dato otto figli.
Un elenco completo della sua produzione a stampa è in N. Barone, F. F., in Atti d. Accad. Pontan., XLIV (1914), necr. n. I, pp. 1-13.
Fonti e Bibl.: E. Cocchia, Necr. in Rend. d. Accad. d. archeologia lett. e belle arti, (Napoli), XXIII (1909), p. 84; Napoli, Università, Nuovo Archivio, F. Flores, fasc. pers. (6 genn. 1869); F. De Sanctis, Epistolario (1859-60), a cura di G. Talamo, III, Torino 1965, lett. 491 p. 169; F. De Sanctis - A.C. De Meis, Lettere inedite a F. F., a cura di E. Flores, in Rivista di studi crociani, II(1965), pp. 468-474; III (1966), pp. 478-484; VIII (1971), pp. 89-92; B. Croce, Appunti per la storia della cultura in Italia nella seconda metà del sec. XIX. La vita letteraria a Napoli dal 1860 al 1900, I, in La Critica, VII (1909), p. 343; VIII (1910), p. 217; X (1912), p. 146; M. Kerbaker, Relazione sui lavori dell'Accademia di arch. lettere e belle arti di Napoli dell'anno 1909, in Rend. d. Accad. d. archeologia lett. e belle arti, n.s., XXIV (1910), pp. 16 s.; E. Cocchia, Le mie rimembranze, Napoli 1921, pp. 58 s.; E. Zaniboni, Il centenario di un maestro, (Ricordando F. F.), in Il Mezzogiorno, 12-13 dic. 1924; L. Russo, La nuova Italia. Dal 1860 al 1876, in Storia dell'università di Napoli, Napoli 1924, p. 688; Id., F. De Sanctis e la cultura napoletana (1928), Roma 1983, pp. 47, 225, 235; G. Raya, F. De Sanctis, Milano 1952, p. 107; F. Fiorentino, F. De Sanctis, La giovinezza. Memorie postume seguite da testimonianze biografiche di amici e discepoli, a cura di G. Savarese, Torino 1961, p. 509; M. Gigante, in La cultura classica a Napoli nell'Ottocento, Napoli 1987, pp. XI, XIII, XIV, XVII; F. Napolitano, F. F., ibid., pp. 287-317; ed infine S. Cerasuolo, Gli studi classici a Napoli nell'Ottocento, in Momenti della storia degli studi classici tra Ottocento e Novecento, Napoli 1987, pp. 24 ss.