CORRADINI, Ferdinando
Nacque a Melfi (Potenza) nel 1731 da famiglia non nobile e poco agiata. Si dedicò agli studi letterari e in particolare alla giurisprudenza, diventando poco più che ventenne avvocato del foro di Napoli. Qui trattò diverse cause, di cui è traccia in una difesa (1775) dal titolo Per l'Università di Melfi co' magnifici massari di campo della medesima, che è anche l'unica pubblicazione del C. di cui si è a conoscenza. In occasione della sua intensa attività forense fu conosciuto dal marchese di Squillace, potente ministro di Carlo di Borbone, che nel 1759 gli fece assegnare la carica di assessore del tribunale di Teramo. Fu poi uditore nelle udienze provinciali e caporuota a Montefusco.
Il 24 ott. 1771 venne nominato giudice presso la Vicaria criminale. Per alcuni anni ricoprì tale incarico e frequentò gli ambienti napoletani del marchese Cito, presidente del S. R. Consiglio, dal quale fu apprezzato - come riferisce il Galanti in Testam. forense, p. 229 - per la sua capacità di "disertare su tutte le materie). Gli era così possibile raggiungere i vertici della carriera giudiziaria: il 29 gennaio 1777 venne nominato dal Cito segretario del S. R. Consiglio e un anno dopo consigliere dello stesso supremo tribunale, essendo il Cito insoddisfatto del suo operato come segretario.
A gennaio 1783 l'Acton lo nominò consigliere del Supremo Consiglio di azienda o Consiglio delle finanze, un organo collegiale col quale veniva sostituito il segretario di Stato per l'Azienda. Il passaggio del C. a un incarico amministrativo era dovuto allo stretto legame, caratteristico dell'antico regime, tra competenze giuridiche e affari politici. Ciò determinava il reclutamento dei dirigenti statali tra i magistrati e specialmente tra quelli del S. R. Consiglio, il tribunale delle cause più importanti e perciò valido banco di prova e di esperienza per i suoi componenti.
A dicembre 1785 il C. diveniva direttore ad interim del Consiglio delle finanze in sostituzione del defunto N. Vespoli. Subito si faceva stimare riducendo gli interessi dei creditori del fisco dal 5 al 4% e procurando in tal modo all'erario un guadagno di 80.000 ducati. Fu probabilmente per questa operazione che il 26 febbr. 1787 il C. veniva nominato direttore titolare. Egli ricoprì questa carica fino all'anno 1791, quando fu sostituito da G. Palmieri, distinguendosi - tra l'altro - per una prammatica che iniziava a liberalizzare il commercio della seta nel 1787, per la riduzione di alcune tariffe doganali nel 1788, per la soppressione nel 1789 della Soprintendenza generale delle rendite reali, un vecchio istituto fiscale, creato nel 1734, che era sopravvissuto quasi in parallelo all'Azienda.
Nel 1788 gli era stato intanto affidata anche la presidenza della Suprema Giunta di corrispondenza. Questo organismo aveva principalmente i compiti di controllare l'attività della Cassa sacra - creata nel 1784 dopo il terremoto in Calabria per incamerare e vendere i beni dei luoghi pii - e di progettare i piani di costruzione e riedificazione di opere pubbliche. Si trattava di una istituzione che avrebbe potuto consentire una reale trasformazione della regione, attraverso la formazione di un ceto di nuovi proprietari e la creazione di moderne strutture sociali. Nel complesso, però, si limitò, sia sotto la presidenza del C. sia di altri, tra cui il Palmieri, ad una gestione da normale amministrazione e ben presto si trovò in grave deficit. Il C., che l'aveva diretta tra il 1788 e il 1792, la dirigerà ancora tra il 1794 e il 1796, anno in cui Cassa sacra e Giunta, in considerazione del loro totale fallimento, venivano abolite.
Il 6 settembre 1791 il C. lasciava il Consiglio delle finanze per essere nominato segretario di Stato per gli Affari ecclesiastici. Egli era chiamato a sostituire un ministro, il De Marco, che si era distinto per la politica anticurialista, col compito - come si legge in una lettera del re (riportata nell'edizione a cura del Cortese della Storia del Colletta) - di stroncare le "dissenzioni e zizzanie, che... vedo giornalmente fomentarsi sotto colori diversi e contro la Corte di Roma e contro gli ecclesiastici". L'Acton e il re ricorrevano al C., dunque, per cambiare la politica dello Stato napoletano nei confronti della Chiesa, la cui alleanza ritenevano opportuna nella lotta contro la diffusione delle dottrine rivoluzionarie. Essi puntavano non tanto sulla convinzione che il C. condividesse tale scelta, quanto sul fatto che lo stimavano incapace di opporsi alla loro politica e quindi facile strumento di essa.
In occasione di tale nomina, il 13 settembre 1791, al C. fu conferito il titolo di marchese.
Come segretario degli Affari ecclesiastici il C. non fu un innovatore nemmeno in questioni di efficienza amministrativa. Aveva, infatti, intenzione di riformare il metodo antiquato con cui si procedeva, da parte di quel ministero, alla numerazione annuale della popolazione del Regno. A tale scopo aveva incaricato il Galanti di studiare una nuova formula; tuttavia alla fine non la attuò, facendo così continuare quello stesso metodo che aveva tanto criticato nel De Marco.
Alla morte del Palmieri, nel 1793, il C. fu chiamato a reggere anche la direzione delle Finanze, incarico che ricoprì, contemporaneamente all'altro, per cinque anni. In tale periodo egli continuò la propria politica volta ad aumentare le entrate erariali mediante inasprimenti fiscali: nel 1793 fu riscosso un relevio straordinario, nel 1794 una tassa sulla base del catasto, l'anno dopo venivano aumentati alcuni tributi doganali e nel 1796 fu istituita una nuova imposta chiamata decima su beni fondi e capitali non soggetti a pubblica tassazione. È una politica dai difetti e dai limiti evidenti. Da un lato non riusciva ad aumentare in modo rilevante le entrate fiscali, dall'altro consentiva il perdurare di un sistema di sperequazione tributaria che favoriva la nobiltà. Il C. compiva anche un passo indietro rispetto alla politica riformista e antifeudale del Palmieri, caratterizzata dai progetti di divisione delle terre demaniali, dall'abolizione dei "passi" e di monopoli, dalla riforma dei dazi. L'azione del C. è invece contrassegnata solo da un riformismo parziale, volto essenzialmente a una certa liberalizzazione del commercio, della seta e dell'olio, e della panizzazione e vendita della farina nella città di Napoli (prammatica del 1795).
Uomo politico senza dubbio minore il C. non si può dire che fosse un "tecnico" della finanza, se si vuole dar credito a quanto riferisce il Galanti. Egli, infatti, si distinse per l'uso di un "gergo scientifico", di citazioni e termini spesso non compresi dagli altri componenti del Consiglio delle finanze, ma "le sue cognizioni avevano molta pedanteria e confusione di principi". Del Galanti è anche un giudizio sull'"uomo": "pedante..., ma... dabbene, incapace di fare un oppressione, il che non è picciolo merito in un ministro di stato" e in possesso della "dote" di non saper simulare sentimento di stima per coloro che non più la meritavano". (Testam. forense, pp. 229 s.).
A gennaio del 1798 la direzione del Consiglio di Azienda veniva affidata al Simonetti, mentre il C. era confermato nella carica di segretario per "l'Ecclesiastico". La rivoluzione era ormai vicina e sarebbe stata fatale per la carriera del Corradini. Dopo essere rimasto in disparte durante la Repubblica partenopea, con la restaurazione, nel giugno 1799, il C. non riebbe la propria carica, in quanto pesava su di lui la posizione del figliastro N. Giannotti, giudice della Commistione militare inappellabile del governo rivoluzionario. A ottobre dello stesso anno gli venne assegnata una pensione annua di 3.000 ducati: una "onorata dimissione" - commenta un altro contemporaneo, il De Nicola - che teneva conto dei "suoi lunghi e fedeli servizi". Dopo circa un anno e mezzo il C. moriva a Napoli il 3 marzo 1801, lasciando erede il figliastro esiliato, nella speranza - come scrisse nel testamento - di una sua completa riabilitazione.
Fonti e Bibl.: Alcuni cenni biogr. sulC. sono in opere suMelfi e la Basilicata: G. Araneo, Not. stor. della città di Melfi nell'antico Reame di Napoli, Firenze 1866, pp. 478-479; G. Gattini, Saggio di biblioteca basilicatese, Matera 1908, p. 11; T. Pedio, Diz. dei patrioti lucani, I, Trani 1969, p. 431. Altri cenni biografici, con particolare riguardo alle cariche ricoperte dal C., sono riportati in Not. ragionato del S. R. Consiglio e della R. Camera di S. Chiara, Napoli 1802, p. 85; L. Del Pozzo, Cronaca civile e milit. delle Due Sicilie sotto la dinastia borbonica dall'anno 1734 in poi, Napoli 1857, passim; C. Salvati, L'azienda e le altre segreterie di Stato durante il primo periodo borbonico (1734-1806), Roma 1962, pp. 57, 75-76; V. Cuoco, Saggio stor. sulla rivoluz. napoletana, a cura di M. A. Visceglia, Bari 1977, Indice storico dei nomi. Ampie notizie sulla vita del C. sono riportate in due opere postume di G. M. Galanti, con giudizi sulla sua indole e sul suo operato anche in relaz. ai rapporti coll'autore: Testam. forense, II, Venezia 1806, pp. 228-230; Mem. stor..., a cura di D. Demarco, Napoli 1970, pp. 47-48, 66-68, 79-83. Sull'attiv. del C. come ministro si soffermano alcune opere sul Regno di Napoli: L. Bianchini, Storia delle finanze del Regno di Napoli [1859], Napoli 1971, pp. 349, 394; P. Colletta, Storia del reame di Napoli, a cura di N. Cortese, I, Napoli 1957, pp. 233, 238, 281, 323; A. Lepre, Contadini, borghesi ed operai nel tramonto del feudalesimo napol., Milano 1963, pp. 134, 261, 287; R. Moscati, Dalla Reggenza alla Repubblica partenopea, in Storia di Napoli, VII, Napoli 1972 (cfr. Indice). Delle cariche ricoperte dal C. nella Giunta di corrispondenza e dell'attività della Cassa sacra si occupano: N. Cortese, Il Mezzogiorno e il Risorg. ital., Napoli 1965, pp. 90, 112; A. Placanica, Cassa Sacra e beni della Chiesa nella Calabria del Settecento, Napoli 1970, passim. Notizie sul suo allontanamento dal governo dopo il 1799 sono infine in C. De Nicola, Diario napol. dal 1798 al 1825, a cura di G. De Blasiis, Napoli 1906, I, pp. 220, 274, 331; II, p. 25.