COCITO, Ferdinando
Figlio del conte Cesare, ufficiale di cavalleria, e della nobile Rosina Martinazzi de Ambrosis, nacque a Vigevano il 7 febbr. 1854. Compì gli studi a Torino, dove si laureò in matematica nel 1874 e, due anni dopo, in ingegneria civile con una tesi in idraulica (Di una nuova condotta d'acqua potabile..., Torino 1876).
Si occupò, in quel biennio, di lavori d'esproprio ferroviario e sposò la marchesa Maria Gritta. Dopo avere curato nel 1878 l'ammodernamento del teatro Comunale di Ferrara, nel 1879 ottenne, con un saggio sull'acustica delle sale da spettacolo, la menzione speciale dell'Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, e, nel 1884, in occasione dell'Esposizione generale italiana a Torino, fu nominato membro della Commissione per la didattica. Un breve ma lusinghiero trafiletto della Gazzetta di Torino, del 17 sett. 1884, sottolineò le "già notevoli prove del suo ingegno" e l'opera "intelligentissima" prestata "in non poche costruzioni giustamente ammirate nella nostra città". Essendosi laureato con l'ingegner Enrico Petitti di Roreto, era entrato infatti a far parte dello studio di questo e per un quinquennio (dal 1879 al 1884) gli prestò la sua collaborazione non senza, com'è attestato, cimentarsi in proprio.
La notorietà raggiunta gli procurò l'invito a operare all'estero e dal 1885 all'87 fu ingegnere e architetto capo della Repubblica del Nicaragua, affrontando (oltre a costruzioni civili) problemi complessi di strutture antisismiche e poderose opere idrauliche, quali il canale interoceanico a conche attraversante lo Stato, che suggerì correzioni a quello di Panama.
Rientrato a Torino, si diplomò nel '90 architetto alla Accademia Albertina, dedicandosi, con l'acquisito bagaglio di conoscenze, a tutta una serie d'interventi pubblici e privati. Fu commissario della mostra d'architettura al parco del Valentino nel '90 stesso e, per quella del '98, si piazzò fra i primi cinque sui ventiquattro partecipanti al concorso per la formazione della diagonale di via P. Micca. La sua soluzione prevedeva la prosecuzione dei portici per tutto il percorso e la creazione d'uno spiazzo triangolare nei pressi di via Botero. Era tornato anche, frattanto, all'architettura teatrale in vista della auspicata ristrutturazione del Regio torinese.
Nel 1881 l'autorità statale aveva espresso infatti serie riserve sull'agibilità del locale in rapporto all'incolumità degli spettatori, imponendo varie modifiche e accorgimenti. E nel 1888 fu perfino dibattuta la possibilità di ricostruirlo altrove. Nella scia delle polemiche, il C. pubblicò (Torino 1888) Brevi cenni relativi ad uno studio di riforma generale del Teatro Regio..., nell'intento di mantenere in piedi il prestigioso edificio alfieriano, ma non senza mutamenti radicali. In sottordine, però, era previsto anche un intervento meno drastico, circoscritto all'involucro murario settecentesco. Il suggerimento cadde nel vuoto; ma nel '99 l'idea di una risistemazione interna riportò alla ribalta il C., che presentò uno studio più modesto rispetto ad altro più ambizioso degli architetti Ceppi, Gilodi e Salvadori di Wiesenhof (assai influenti in loco). Non se ne fece nulla e occorse giungere al 1903 - quando il prefetto vietò nuovamente l'apertura del Regio per misura di sicurezza - perché il Consiglio comunale di Torino affrontasse in un ampio dibattito (protratto fino all'anno seguente) la sorte del teatro.
Il 18 apr. 1904 l'Amministrazione civica, valutando un nuovo progetto del C. (elaborato nel 1902: Progetto di riforma del Teatro Regio..., Torino 1904), lo preferì ad altro dell'architetto A. Vandone di Cortemilia (più contenuto nella spesa), stanziando in bilancio la somma di 560.000 lire. Il progetto del C. conservava le linee primitive della sala fino al terz'ordine di palchi e sostituiva il quarto e il quinto, oltre al loggione, con un vasto anfiteatro esteso fino al soffitto e diviso in tre settori. Così facendo, però, l'ambiente smarriva le proporzioni originarie e appariva schiacciato dalle gallerie superiori, che davano ai palchi aspetto angusto e fragile. Veniva però affermato scopertamente il mutamento di destinazione, abolendosi la fruizione selettiva (di classe e di censo) a pro di una larga accessibilità per tutti i ceti. All'esterno risultò visibile un corpo sopraelevato che fece spicco, non armonico, sulla linea continua dei tetti delle Segreterie alfieriane mentre veniva compresso - per l'occupazione d'un settore - il cortile attiguo dell'Accademia militare.
In confronto ai grandi mutamenti operati all'interno nulla o quasi si trasformò della facciata esistente, che volutamente non aveva carattere monumentale e aveva fatto paragonare il teatro a un "libro senza frontespizio". Il C. ne aveva prevista una molto modesta (con un portico per il pubblico e le carrozze e fastigio più umbertino che neobarocco) che fortunatamente non venne attuata. In una sua pubblicazione del 1904 egli difese tuttavia con calore la necessità d'un prospetto. Dal suo discorso non si evince tuttavia un'ideazione architettonica rispettosa dell'antico né una concezione organica adeguata ai tempi e al gusto. Si ha piuttosto l'impressione d'una eclettica disponibilità ad assecondare le contingenze (e la committenza) senza preoccuparsi troppo del preesistente; ciò è provato anche dall'accettazione, in via d'ipotesi, d'una seconda diagonale per porre in comunicazione piazza Castello (e quindi il teatro) col corso S. Maurizio (e cioè il Po).
Per la fama di tale cospicua realizzazione (per la quale il suo nome è soprattutto noto), il C. fu chiamato a riattare i teatri comunali di Asti, Novi Ligure, Voghera e il torinese Rossini (quest'ultimo, assai probabilmente, dopo che nell'81 la relazione prefettizia l'aveva trovato in condizioni precarie). Nel 1911 cooperò alla grande Esposizione di Torino quale membro della commissione tecnica incaricata della distribuzione dei padiglioni e nel '14 quale relatore della valorizzazione della collina torinese, per la quale progettò (in collaborazione) una serie di viali tra San Vito e Cavoretto. Alternò tali incombenze con l'erezione di edifici residenziali, alcuni dei quali scomparsi nelle trasformazioni avvenute nel periodo post-bellico. Fra le opere di questo periodo sono la palazzina Turbiglio in corso Trento, n. 11 (1914) e la clinica Pinna Pintor in corso Duca degli Abruzzi (1915). Vi si dispiega ulteriormente la sua formazione eclettica - post Liberty e prerazionalista - e la sua natura d'ingegnere, evidente nell'impiego precoce (per i tempi) del cemento armato. Gli sono pure attribuite costruzioni in provincia, a Treiso d'Alba, Neive, Barbaresco, Castel Noceto, Carignano; manca però una sia pur sommaria biografia o trattazione che permetta d'identificare meglio tali opere. Il C. morì a Torino l'8 genn. 1936.
Fonti e Bibl.: Medaglione biografico, con ritratto, in Gazzetta di Torino, 17 sett. 1884; I. B., La trasformaz. moderna dell'antico e glorioso Teatro Regio, in Album ricordo della solenne inaugurazione del Teatro Regio rinnovato, Torino 1906, passim; A. Frizzi, La riforma del Teatro Regio di Torino secondo le esigenze moderne, in L'Ingegneria civile ed industriale (Torino), XXXI (1906), pp. 65-71; L. Tamburini, I teatri di Torino, Torino 1966, pp. 178-180; A. Cavallari Murat, Archit. originale di B. Alfieri e le successive trasformazioni, in Il Teatro Regio di Torino, Torino 1970, pp. 46-56; St. del Teatro Regio di Torino, II, A. Basso, Il teatro della città…, ad Indicem.