BARTOLOMMEI, Ferdinando
Nacque a Firenze il 10 marzo 1821 dal marchese Girolamo e dalla marchesa Teresa Niccolini. Rimasto presto orfano di padre, fu affidato dalla madre alle cure dell'abate Michele,Pientini con l'intento di sottrarlo all'influenza delle idee innovatrici, ma il Pientini dette al suo insegnamento, fondato su,una sincera morale cristiana, un'impronta così schiettamente liberale da indurre il giovane B. a staccarsi dall'ambiente conservatore familiare. Compiuti i venti anni, assunse l'amministrazione dei beni e si inserì presto nel numero di quegli intelligenti proprietari toscani che si dedicavano con fervore agli studi di agricoltura sperimentale, ma ebbe anche particolare coscienza dei doveri sociali che la propria condizione agiata gli imponeva. Con questo spirito lavorò per diversi anni nella tenuta delle Case in Val di Nievole, in piena collaborazione con i propri contadini, e lo stesso spirito portò più tardi nell'attività politica, avvicinandosi più alla parte democratica che al gruppo moderato. Nel 1843 sposò Teresa Adimari Morelli, che fu la sua fedele compagna e la valida collaboratrice nelle vicende della vita privata e politica.
Inizialmente il B. non condivise gli entusiasmi del periodo riformatore, ma in seguito costituì, con sede nel proprio palazzo fiorentino di via Lambertesca, un comitato, composto in prevalenza di elementi democratici per chiedere la concessione di riforme al granduca. Fu appunto in via Lambertesca che fu promossa la manifestazione a palazzo Pitti del 12 sett. 1847. Legato in amicizia con Antonio Mordini, dal quale più tardi si distaccò, e con Leopoldo Cempini, il B. rappresentò in quel momento una delle punte avanzate del partito riformatore. Scoppiata la guerra, per le non felici condizioni di salute non poté prendervi parte, ma sovvenne largamente con i propri mezzi i volontari che più tardi raggiunse sul campo.
Le successive vicende toscane non lo trovarono consenziente. Collaboratore della Rivista indipendente,diretta dal Cempini e poi soppressa nel periodo guerrazziano, egli non approvò il ministero MontaneW-Guerrazzi, né la successiva opera dei triumviri dopo la fuga del granduca, e neppure quella del dittatore Guerrazzi, anche se fu pronto a prestare la sua opera per la costituzione di una guardia cittadina diretta a mantenere l'ordine pubblico. Ma, decisamente ostile alla dinastia lorenese, disapprovò anche l'operato della Commissione governativa, succeduta al Guerrazzi, e il richiamo del granduca, né si unì agli approcci dei moderati nel vano tentativo di stabilire una collaborazione, sotto certe garanzie, con il ministero Baldasseroni. Si ritirò in campagna e riprese studi ed esperimenti di agricoltura. Nel 1850 fu nominato socio corrispondente dell'Accademia dei Georgofili e nel 1855 fu promosso tra gli effettivi. Scrisse in questi anni articoli sul periodico letterario-scientifico Lo Spettatore su temi di economia rurale, e partecipò alla polemica, svoltasi in seno all'Accademia dei Georgofili nel 1855, sul problema della mezzadria, circa la quale espresse forti riserve sulla sua utilità per il perfezionamento e il progresso dell'agricoltura.
Non aveva abbandonato però la politica. Un viaggio compiuto nel 1850 nel Belgio, in Svizzera, in Piemonte e in Lombardia con lo scopo di ampliare le sue conoscenze sull'allevamento del bestiame e di studiare la possibilità di creare - ciò che poi fece - un caseificio nella sua tenuta, gli diede modo di conoscere Vittorio Emanuele II e di avere colloqui con Massimo d'Azeglio. Tornato in Toscana, fu il promotore della commemorazione dei morti di Curtatone e Montanara organizzata il 29 maggio 1851 nella chiesa di S. Croce. Come è noto, l'opposizione del governo e la repressione della polizia dettero a quella manifestazione un valore e una risonanza superiori al suo effettivo contenuto e contribuirono al distacco fra la popolazione e la dinastia. Il B. fu arrestato e condannato a sei mesi di confino nella sua tenuta di Val di Nievole; ma appena rientrato in Firenze riprese l'attività politica, impiantò una tipografia clandestina nel suo palazzo e incominciò a diffondere scritti sovversivi. La tipografia non fu scoperta, ma il B., accusato di diffondere manifesti sediziosi, fu arrestato ancora, processato e condannato a sei mesi nella fortezza di Piombino (1852). La condanna fu commutata in un anno di esilio. Si recò dunque con la famiglia a La Spezia, poi a Torino dove ebbe modo di venire in contatto con Cavour, La Farina e d'Azeglio. Per i propri studi di agricoltura andò poi a Parigi, in Belgio, in Olanda e in Inghilterra, e quando ritornò in Toscana riprese, ma cautamente, i contatti con l'opposizione liberale. Era ormai convinto che la politica seguita dal governo sardo fosse la migliore, e accettò perciò l'incarico, particolarmente 1 adatto al suo temperamento di organizzatore, di promuovere anche in Toscana la Società nazionale, di cui divenne capo attivissimo. Ebbe mano felice nella scelta dei collaboratori, contribuì con la diffusione di stampati clandestini all'evoluzione in senso nazionale dell'opinione pubblica toscana, raccolse e sussidiò con i propri mezzi numerosi volontari per il Piemonte, si assicurò la collaborazione del gruppo repubblicano staccatosi da Mazzini (Dolfi e Cironi) e, con l'aiuto di Stefano Siccoli, ottenne l'adesione dell'esercito toscano al movimento nazionale. Fu dunque uno dei principali esponenti della famosa rivoluzione fiorentina del 27 apr. 1859, promossa da lui e dagli altri compagni - in netto contrasto con la parte moderata - con lo scopo di rovesciare la dinastia lorenese e ottenere l'unione della Toscana al Regno di Sardegna.
Nominato, dopo la rivoluzione, gonfaloniere di Firenze (carica che conservò fino al 1864), prestò tutta la sua collaborazione alla politica unitaria del Ricasoli. Fu, nel luglio 1859, tra i fondatori del giornale La Nazione, deputato all'Assemblea dei, rappresentanti della Toscana (agosto 1859), e l'anno seguente deputato di Montecatini alla VII legislatura. Nel maggio i 860 si recò a Torino e riprese a lavorare attivamente per la ricostituita Società nazionale e per l'invio di aiuti all'impresa garibaldina. Sostituì infatti il La Farina nella presidenza, allorché questi andò in Sicilia. Nominato senatore nel 1862, non poté partecipare attivamente ai lavori dell'Assemblea. Gravemente malato e divenuto quasi cieco, dedicò le ultime energie allo studio delle riforme degli istituti di beneficenza.
Morì a Firenze il 15 giugno 1869.
Fonti e Bibl.: L'archivio del B. è andato disperso; si conservano alcune lettere alla Biblioteca del Risorgimento di Firenze e altre sparse nei carteggi di contemporanei. Per le vicende politiche del B. si veda Archivio di Stato di Firenze, Prefettura Segreta,1851, aff. 107; 185-254, aff. 265; 1859, aff. ISO, 171, 179, 180, 326. Manca uno studio critico sulla figura dei B. Bisogna ricorrere alle necrologie, di scarso valore, pubblicate sulla Nazione e sulla Gazzetta di Firenze del 17 giugno 1869; ai profili di M. Tabarrini (F. B.,in Vite e ricordi d'Italiani illustri,Firenze 1884, pp. 163-173), di C. Catanzaro (Il marchese F. B.; ricordo al Popolo fiorentino,Firenze 1889), di A. Lombardi (F. B. Note e ricordi,con pref. di P. Puccioni, Firenze 1889) e di Yorick [P. Ferrigni] (F. B.,in Uomini e fatti d'Italia, Firenze 1921, pp. 90-96). Non del tutto precise le notizie fornite da T. Sarti, Il Parlamento subalpino e nazionale,Roma 1896, pp. 92 s. L'opera più completa (condotta su documenti dell'archivio familiare e con giustificabile tendenza elogiativa) è quella della figlia M. Gioli Bartolommei, Il rivolgimento toscano e l'azione Popolare,Firenze 1905. Sulla partecipazione del B. al movimento del 27 aprile si vedano le interessanti osservazioni critiche di R. Della Torre, L'evoluzione del sentimento nazionale in Toscana,Milano 1915, passim. Sull'opera Prestata dal B. alla Società nazionale si vedano le lettere pubblicate da M. Puccioni, Il Risorgimento italiano nell'opera, negli scritti, nella corrispondenza di P. Puccioni, in Rass. stor. del Risorgimento, XVI (1929), pp. 201-217; XVII (1930), pp. 431-469. Giudizi sul B. si trovano nella corrispondenza del ministro di Francia (Le relazioni diplomatiche fra la Francia e il Granducato di Toscana, a cura di A. Saitta, Roma 1959, II, parte I e vol. III, passim);per l'attività giornalistica cfr. B. Righini, I periodici fiorentini (1597-1950), Firenze 1955, 1, pp. 14, 354; 11, pp. 54, 109, 112; qualche notizia sulla partecipazione del B. alla fondazione della Nazione, in La Nazione nei suoi cento anni,1859-1959, Firenze 1959, passim.