BREME, Ferdinando Arborio Gattinara duca di Sartirana marchese di
Nacque a Milano il 30 maggio 1807 da Filippo e dalla sua seconda moglie Marianna d'Hallot des Hayes dei conti di Mussano. Fece a Milano i primi studi. Dopo la tragica morte del padre, annegato nel Ticino, si trasferì a Torino con tutta la famiglia Breme, compreso lo zio Ludovico, che assunse l'impegno di curare la sua educazione. Nella capitale subalpina il B. strinse relazioni con vari artisti e si dedicò con crescente impegno alla pittura.
Sin dal 1830 il B. cominciò ad occuparsi anche di ornitologia e di entomologia: scrisse un Essai monographique et iconographique de la tribu des Corsyphides (Paris 1842) e una Monographie de quelques genres de coléoptères hétéromères appartenant à la ttibu des Blapsides (Paris 1842); in quindici anni di studi e di viaggi raccolse due ricche collezioni, una di uccelli e una d'insetti, entrambe notevoli per valore scientifico. Offrì la prima in omaggio al sovrano, che la fece collocare alla Mandria, una delle sue residenze, e donò la collezione entomologica alla R. Accademia delle scienze (è ora conservata nel Museo di storia naturale di Torino). Per questi meriti, il B. fu nominato membro di varie società scientifiche europee.
A trent'anni, aspirando a una vita culturalmente più vivace di quella offertagli dalla capitale subalpina, il B. si trasferì a Parigi con la moglie, la cugina Luigia Dal Pozzo della Cisterna, sposata il 25 genn. 1827, e i figli. Il soggiorno francese giovò, attraverso le relazioni con eminenti personalità letterarie ed artistiche, a rendere più concreto il suo amore per l'arte e a stimolare la sua vocazione.
Nel 1846 egli inviava, per la prima volta, alla mostra della Società Promotrice delle belle arti di Torino, fondata quattro anni prima dal conte Cesare della Chiesa di Benevello e da un gruppo di colti amici piemontesi, due pastelli: Veduta di Dieppe e Tramonto del sole in riva a un lago. Appena tornato a Torino, esponeva alla Promotrice due quadri di Paese, nel 1852 un Paesaggio d'invenzione, nel 1853 tre quadri intitolati anch'essi Paese d'invenzione, nel 1854 una Veduta del Monte Bianco da Chamonix e una Veduta di Portovenere, entrambe "dal vero".
Nel 1848 il B., il cui soggiorno in Francia era stato funestato dalla morte della moglie e di una figlia diciottenne, tornò in Piemonte. Nel 1849 fu nominato senatore: partecipò assiduamente ai lavori parlamentari, ma i suoi interessi più vivi continuarono a rivolgersi al mondo dell'arte più che a quello della politica. Gli venne affidata la presidenza della Promotrice, che egli tenne fino all'anno 1865, dando straordinario incremento alla società con l'istituzione di premi in denaro e con la costruzione di un edificio per le esposizioni nell'allora via della Zecca (oggi via Verdi); nel 1855, con decreto sovrano, otteneva la presidenza effettiva, se non nominale, dell'Accademia di Belle Arti (Accademia Albertina), con il compito di "studiare e proporre radicali riforme e miglioramenti da introdurre nell'insegnamento". A quest'ufficio il B. si dedicò, con vivissimo impegno, fino, alla morte, malgrado i nuovi incarichi e le nuove incombenze: nel 1858 entrò nella corte di Vittorio Emanuele II come maestro delle cerimonie e introduttore degli ambasciatori; nel 1860 fu nominato prefetto di palazzo e gran maestro delle cerimonie; nel 1865 gli furono affidate la maggior parte delle attribuzioni amministrative che erano state del defunto conte Giovanni Nigra e la supervisione delle belle arti nella Real casa.
Nella storia della cultura artistica italiana il B. lasciò una sua impronta, dovuta alla attività svolta nell'ambito della Accademia di Belle Arti ed estesa, dopo il 1860, su piano nazionale: collaborò alle riforme dell'Accademia di Brera di Milano e riordinò le Accademie di Belle Arti dell'Emilia e l'Istituto artistico di Napoli (1864). "Di Breme nella sua riforma - scrive lo Stella - diede larga parte allo spirito dei tempi, rompendo i rigori gerarchici nell'insegnamento, concedendo a ciascuna scuola un grado di autonomia sufficiente alla libertà intellettuale dei professori e degli allievi... ebbe l'intelligenza di comprendere che nessuna autorità avrebbe avuto in quel momento il diritto di decidere sulla bontà di uno piuttosto che di un altro indirizzo; che la sola tolleranza liberale poteva praticamente risolvere, mediante il risultato degli studi, quale scuola corrispondeva meglio al movimento dell'arte moderna".
L'opera rinnovatrice compiuta all'Accademia Albertina di Torino (cattedre affidate allo scultore V. Vela, al pittori E. Gamba, G. Ferri, A. Gastaldi, la segreteria al pittore e scrittore C. F. Biscarra) lega il nome del B. a quello di uno dei maggiori pittori italiani dell'Ottocento, Antonio Fontanesi. Il gentiluomo piemontese aveva sempre ammirato l'artista emiliano, che lo aveva ammaestrato nella tecnica da lui prediletta dell'acquaforte probabilmente durante ripetuti incontri a Ginevra, e, combattendo l'incomprensione della critica e del pubblico, aveva acquistato o fatto acquistare alcuni stupendi dipinti e disegni a carbone, esposti alla Promotrice nel '57, nel '61, nel '63, nel '67. Ripetutamente si era adoperato presso i ministri della Pubblica Istruzione, perché fosse data al Fontanesi una cattedra d'insegnamento della "pittura di paesaggio" in una Accademia italiana, preferibilmente all'Albertina; ancora nel 1865 trovava ostacoli perché "lo stipendio del Professore di paese non è impostato in bilancio" (lettera indirizzata al B. dal capo della divisione alle Belle Arti, G. Rezasco, in Bollea). Finalmente dopo la nomina, avvenuta nell'anno 1868, a direttore e insegnante di figura (!) all'Accademia di Lucca, il 3 genn. 1869 il Fontanesi otteneva, la cattedra di paesaggio all'Albertina di Torino. "L'ultimo regalo del Breme" (questi era morto qualche settimana dopo) brontolarono gli accademici retrogradi che irridevano alla pretesa del Fontanesi d'insegnare agli allievi a capire "la poesia del vero", ma questo insegnamento, convalidato dall'esempio pittorico del rivoluzionario paesaggista, ebbe una influenza enorme su almeno una generazione di pittori piemontesi e, di riflesso, su vaste correnti della pittura italiana tra la fine dell'Ottocento e il principio del Novecento.
Mentre raccoglieva preziose ceramiche, che poi donò a Firenze, il B. seguitava a dedicarsi personalmente, con successo, all'acquaforte: alcune sue incisioni comparvero negli albi della Promotrice e nel periodico L'arte in Italia;ilpresidente della Società degli acquafortisti di Parigi le lodava per "la fermeté du dessein et l'énergie de la pointe". Infatti il B., che ebbe anche il merito d'instaurare all'Albertina una scuola d'incisione, occupa un posto non trascurabile tra i grafici italiani del secolo scorso. Altro suo merito fu il restauro della bellissima villa torinese sul corso di Francia, fatta costruire e decorare dall'architetto J. Maggi sul principio del sec. XVIII dal tesoriere ducale Aimone Ferrero, e perciò detta "La Tesoriera"; acquistatala in piena decadenza verso la metà del sec. XIX, il B. la dotò di un magnifico giardino di piante rare, d'un ammirevole arredamento e di una ricca biblioteca. Chiamata anche "villa Sartirana", passò per via ereditaria alla casa ducale di Aosta, che la vendette nel 1962 ai gesuiti; dovrà entrare in possesso del comune di Torino.
Nel 1867 il B. fu insignito del titolo di duca di Sartirana da Vittorio Emanuele II, in occasione del matrimonio di Amedeo d'Aosta con Maria Vittoria Dal Pozzo della Cisterna, nipote della sua defunta moglie. Morì il 21 genn. 1869 a Firenze, dove aveva seguito la corte in seguito al trasferimento della capitale. Con il figlio Alfonso (1831-1903), che fu anche egli valente acquafortista, si estinse la discendenza maschile della famiglia.
Fonti e Bibl.: L. di Breme, Lettere, a cura di F. Camporesi, Torino 1966, ad Indicem; Le lettere di Vittorio Emanuele II, a cura di F. Cognasso, Torino 1966, ad Indicem;Torino, Biblioteca Civica: Cenno storico intorno alle opere del marchese F. di B. (senza data e senza autore); G. Casati, commemorazione, in Atti parlamentari,Senato, tornata del 25 febbr. 1869; F. Vigliada, F. A. G. Cenni biografici, Firenze 1869; A. Barbiellini Amidei, Un gentiluomo piemontese dell'Ottocento, Torino 1943.
Per la parte artistica v. anche: C. F. Biscarra, F. di B. duca di Sartirana, in L'arte in Italia, I(1869), p. 470; A. Stella, Pittura e scultura in Piemonte, Torino 1893, pp. 162-78; M. Calderini, A.Fontanesi,pitt. paesista, Torino 1901, pp. 87, 94 ss., 120, 134 ss.; L. C. Bollea, A. Fontanesi alla R. Accad. Albertina, Torino 1932, pp. 9-16, 21 s., 27, 30 s., 36, 38; A. Dragone-J. Conti, IPaesisti piemont. dell'Ottoc., Milano 1947, pp. 4, 36, 56, 64, 178, 255; Fontanesi e il suo tempo, a cura di C. A. Petrucci, Roma 1954, pp. 7, 11; L'Acquaforte ital. dell'Ottoc., a cura di A. Davoli, Reggio Emilia 1955, pp. 7 s.; Incisori Piemontesi dell'Ottocento, a cura di A. Dragone, Torino 1958, pp. 11, 29; M. Bernardi, A. Fontanesi, Torino 1968, pp. 20, 45, 64; E. Gribaudi Rossi, Cascine e ville della Pianura torinese, Torino 1970, pp. 119 s.