TERMOIONICI, FENOMENI
. 1. Un corpo elettrizzato si scarica quando venga portato a temperatura elevata; in tal caso l'aria che lo avviluppa perde le sue proprietà isolanti. Questo fenomeno, la cui conoscenza risale a circa duecento anni fa, fu in principio studiato da Becquerel, Blondlot, Guthrie, Elster e Geitel, Branly e altri, i quali, mentre riuscirono a metterne in evidenza l'estrema complessità, dovettero limitarsi a riconoscerne la causa nell'emissione di particelle elettrizzate da parte del corpo caldo; il fenomeno fu pertanto chiamato effetto termoionico.
Nel 1883, una celebre esperienza, resa nota da T. A. Edison, aprì la via che condusse a darne un'esauriente interpretazione; Edison poté mostrare infatti in quell'epoca che il filamento delle lampadine a incandescenza emette particelle elettrizzate. Come subito si vede, questo fenomeno è analogo a quello studiato dal Becquerel e dagli altri; però, il suo studio è incomparabilmente più agevole, perché l'emissione avviene nel bulbo della lampada e cioè in uno spazio nel quale è stata praticamente eliminata l'aria. Edison perfezionò poi la sua esperienza, introducendo nella lampada un elettrodo ausiliario (placca) in prossimità del filamento. La lampada prende allora il nome di "diodo". Più tardi Preece e Fleming, inserendo nel circuito una sorgente di forza elettromotrice (ad es., una batteria di pile o accumulatori), notarono che, quando la placca è collegata col polo positivo, e il filamento (o catodo) con il polo negativo, fluisce nel circuito esterno una corrente dal filamento alla placca, mentre non fluisce alcuna corrente nel caso contrario (fig.1, An è la batteria anodica, Ac la batteria per il riscaldamento del catodo, G un galvanometro). I legami che corrono fra l'intensità di questa corrente, i valori della forza elettromotrice (potenziale anodico) e quelli della temperatura del filamento misurata in gradi centigradi assoluti (°K), sono messi in luce dai grafici riportati in fig. 2, che si riferiscono a un caso sperimentale, nel quale il corpo emittente è un filamento di tungsteno riscaldato elettricamente. Si nota su quei grafici che la corrente termoionica è nulla per valori del potenziale anodico negativi, mentre, quando il potenziale anodico cresce oltre lo zero, essa aumenta progressivamente fino a un certo valore massimo Is, detto di saturazione, il quale è tanto più grande quanto più elevata è la temperatura.
I grafici corrispondenti alle varie temperature hanno in comune il tratto ascendente; ciò dimostra che, al disotto della saturazione, la legge, con la quale la corrente termoionica cresce con l'aumentare del potenziale anodico, è indipendente dalla temperatura del corpo emittente. D'altra parte, al disotto della saturazione, la corrente aumenta con tanto maggiore rapidità quando minore è la distanza fra gli elettrodi.
Per giustificare l'annullarsi della corrente termoionica quando il potenziale anodico è negativo, bisogna ammettere che le particelle emesse dal corpo caldo siano cariche negativamente. J. J. Thomson poté nel 1899 identificarle con gli elettroni (v. elettrone) mediante la valutazione del rapporto fra la loro carica e la loro massa e collegare l'emissione termoionica (o più precisamente termoelettronica) con i fenomeni attinenti alla conduzione dell'elettricità nei corpi solidi (metalli). Questi fenomeni sono dovuti a elettroni, i quali, secondo le teorie classiche del Thomson stesso, sono liberi di muoversi in ogni senso, nello spazio vuoto esistente fra gli atomi costituenti il corpo (v. atomo).
Si è tentati di paragonare l'insieme degli elettroni liberi a un gas ordinario, poiché anche i gas vengono concepiti come costituiti da particelle, generalmente non elettrizzate, perfettamente libere; le teorie classiche della conduzione consistono appunto in un opportuno adattamento delle teorie sui gas perfetti fondate da J. C. Maxwell e da L. Boltzmann, il quale adattamento, pur non essendo in tutto soddisfacente, inquadra assai bene la quasi totalità dei fenomeni osservati.
Prendendo come base queste teorie classiche, il Richardson, nel 1901, riuscì a dare una prima spiegazione dell'effetto termoionico e delle modalità che lo accompagnano, riferite in breve in quanto precede. Successivamente, e specialmente per opera di Fermi, Dirac, Sommerfeld e altri, le vedute sulla conducibilità elettrica nei solidi si sono alquanto modificate; le teorie classiche sono state abbandonate e ne sono state elaborate di nuove, secondo le quali il conduttore deve essere ancora considerato come il serbatoio di un gas elettronico; ma questo gas non è più paragonabile a un gas ordinario, in condizioni ordinarie; al contrario, si trova in condizioni così particolari, che viene denominato "gas degenere".
Su queste nuove basi sono state edificate altre teorie sull'effetto termoionico più aderenti ai fatti sperimentali.
2. Ogni elettrone considerato come elemento di un gas ordinario, possiede, secondo le teorie classiche, una certa velocità e conseguentemente una certa energia cinetica; la media delle energie cinetiche di tutti gli elettroni è proporzionale alla temperatura assoluta, e perciò è nulla allo zero assoluto (temperatura alla quale tutti gli elettroni dovrebbero essere in quiete).
Finché gli elettroni sono nell'interno del conduttore (supposto equipotenziale), si ammette, schematizzando alquanto la situazione, che essi non siano soggetti a nessuna forza, cioè siano "liberi". Quando invece gli elettroni si approssimano alla superficie, dobbiamo supporre che su di essi agiscano forze, che tendano ad ostacolarne la fuoriuscita.
Queste forze si possono prospettare, in via puramente schematica, come se fossero originate da una sopraelevazione V0 del potenziale del conduttore rispetto al vuoto; per oltrepassare la superficie del conduttore, gli elettroni devono allora superare la barriera di potenziale V0, spendendo l'energia εV0 (ε = carica dell'elettrone), alla quale si dà il nome di lavoro di estrazione; e potranno effettivamente passare, se la componente della loro velocità, normale alla superficie, supera un certo valore limite u0. Il potenziale V0, che è caratteristico delle varie sostanze, varia da 10 a 20 volt.
Lo sviluppo della teoria del Richardson, che parte dalle premesse suesposte, conduce al seguente legame fra l'intensità della corrente elettronica I che sfugge per unità di superficie del conduttore e la temperatura assoluta T:
dove
avendo indicato con N il numero degli elettroni liberi per unità di volume, con ε con m la carica e la massa di ciascuno di essi con k la costante della teoria dei gas perfetti di Boltzmann, con e la base dei logaritmi naturali. La costante C coincide con il lavoro di estrazione di un elettrone dal metallo.
La corrente di emissione I, per ogni valore della temperatura T, si identifica con la corrente di saturazione Is, che si ottiene, nel modo già detto precedentemente, quando il potenziale anodico è tanto elevato da far sì che tutti gli elettroni espulsi dal conduttore caldo vengano attratti e raccolti dalla placca.
Nel fatto, una formula del tipo di quella ora scritta rende ben conto del legame rilevabile dai dati sperimentali fra la corrente di saturazione e la temperatura assoluta.
3. Il fenomeno che andiamo illustrando fu anche affrontato da un altro punto di vista, il quale, sebbene non illumini il meccanismo dell'emissione, ha il grande vantaggio di richiedere un numero di ipotesi semplificative minore e meno restrittive di quelle necessarie per seguire il metodo del Richardson. Secondo questo nuovo punto di vista, che fu per primo proposto da H. A. Wilson e successivamente sviluppato dal Wilson e dal Richardson, l'emissione degli elettroni da un corpo caldo viene assimilata all'emissione del vapore da parte di un liquido portato a temperatura elevata. Si applicano quindi le leggi fondamentali della termodinamica e si perviene al legame:
dove le lettere hanno il significato precedentemente indicato, e h è una nuova costante, che emerge dalle teorie quantistiche di Plank; la grandezza χ è caratteristica della sostanza dalla quale escono gli elettroni e ha il medesimo significato della C che compare nella (i).
Le due formule (i) e (2), differiscono sostanzialmente in ciò che nella prima l'esponente di T è ½, mentre nella seconda è 2.
Sfortunatamente l'esperienza non consente di decidere quale dei due esponenti sia giusto, poiché i risultati che essa fornisce, denominati dal fattore esponenziale
dell'una o dell'altra, non sono sufficientemente precisi. Tuttavia, poiché le ipotesi richieste dal metodo termodinamico dànno più sicuro affidamento per le ragioni precedentemente accennate, la primitiva teoria di Richardson ne rimase scossa e molti studiosi furono indotti a rivederla sulla base delle nuove teorie della conduzione, che frattanto erano state elaborate.
La tabella seguente contiene dati desunti da esperienze di S. Dushman, Rowe, Ewald e Kidner, compiute sopra un filamento di tungsteno puro, di 0,010 cm. di diametro e 15 cm. di lunghezza, la cui superficie emittente ammonta dunque a 0,474 cmq.:
4. Nelle nuove teorie della conduzione, il gas, costituito dagli elettroni liberi nell'interno del metallo, deve essere considerato, come abbiamo già detto, in stato di "degenerazione".
A questo proposito ci limitiamo a riferire, che, mentre secondo la teoria del Maxwell e del Boltzmann, l'energia complessiva di un gas è proporzionale alla temperatura assoluta e quindi dev'essere nulla allo zero assoluto, secondo la nuova teoria di E. Fermi sullo stato gassoso, ciò non accade: allo zero assoluto il gas deve possedere un'energia diversa da zero (v. statistica, meccanica).
Ciò è illustrato nella fig. 3 nella quale le ordinate rappresentano il numero di elettroni che posseggono energia compresa fra ε ed ε + dε valutata in volt elettroni; intendendosi per volt elettrone, l'energia che deve spendere un elettrone per superare la differenza di potenziale di un volt. Nella stessa figura, la linea a tratto pieno si riferisce al caso del nickel alla zero assoluto: si nota che la F(ε) cresce progressivamente fino a un valor massimo e poi ricade bruscamente a zero; la linea tratteggiata si riferisce al medesimo caso, ma alla temperatura di 1500° gradi assoluti.
In vicinanza dello zero assoluto le due teorie conducono dunque a risultati molto diversi e i dati forniti dall'esperienza sono d'accordo con l'ultima, invece a temperature elevate i risultati praticamente coincidono. Più precisamente, nello sviluppo della teoria del Fermi compare un termine M, il cui valore permette di decidere quando ci si trova nell'uno o nell'altro caso: cioè se
è molto maggior d'uno, siamo decisamente nel primo caso, che viene detto di "degenerazione"; se invece M è molto minore d'uno siamo decisamente nel secondo.
L'esame dei termini che compaiono nel secondo membro della formula precedente mostra che M può essere molto maggiore di uno: a) quando la temperatura T è molto vicina allo zero assoluto b) quando la densità n degli elementi è molto grande; c) quando la loro massa m è molto piccola. La condizione M assai maggiore di 1 è verificata per il gas elettronico nell'interno di un metallo anche alle più alte temperature sperimentali, grazie all'elevata densità e alla piccola massa degli elettroni.
Tenendo conto di questo stato di degenerazione, lo sviluppo matematico della teoria dell'effetto termoionico, conduce alla legge seguente:
dove le lettere già introdotte nella (i) e nella (2) mantengono il significato che avevano allora; inoltre μ è l'energia massima che gli elettroni possono assumere allo zero assoluto (fig. 3) secondo la teoria di Fermi, mentre D è un fattore, minore di uno, chiamato "coefficiente medio di trasmissione" o "trasparenza", derivante dalla circostanza che non tutti gli elettroni, i quali giungono alla barriera di potenziale, esistente fra il corpo emittente e il vuoto, con velocità sufficientemente elevata per oltrepassarla, la oltrepassano effettivamente; infine il fattore 2 emerge dalla considerazione dei momenti meccanici e magnetici dell'elettrone, mentre il termine C − μ coincide con il termine χ della (2).
5. L'esistenza del fattore D nella formula (3) è una conseguenza particolarmente interessante della meccanica ondulatoria.
Si ha ragione di ritenere che la caduta di potenziale fra il corpo emittente e il vuoto si manifesti in uno strato superficiale, specie di guaina, aderente alla superficie del corpo e di estensione apprezzabile; ad es., nel caso dei metalli puri, si crede che il potenziale decresca rapidamente fin quasi a zero in uno spazio brevissimo (10-8 cm.) e si riduca proprio a zero in un ulteriore spazio di estensione maggiore. Se poi sugli elettroni agisce un campo elettrico acceleratore esterno, il potenziale aumenta nuovamente. Ciò è indicato schematicamente in fig. 4, ove il segmento OB rappresenta lo spessore dello strato superficiale o guaina e i valori positivi del potenziale sono rappresentati, come è consuetudine in questo caso, diretti verso il basso. Con un tale andamento del potenziale però, secondo le teorie classiche, tutti gli elettroni che si avviano verso la superficie del corpo con energia superiore al lavoro di estrazione, dovrebbero poter passare e quindi D dovrebbe essere eguale a uno.
Questo risultato non è molto soddisfacente, poiché, come vedremo, i risultati sperimentali richiedono in generale un fattore D minore di 1.
Anche meno soddisfacenti sono i risultati che si ottengono, sempre secondo la meccanica classica, considerando un andamento del potenziale del tipo di quello rappresentato in fig. 5, dove ancora OB rappresenta l'estensione della guaina. In tal caso infatti gli elettroni debbono emergere dal corpo emittente con una distribuzione di velocità che non comincia da zero ma da un valore finito; il che è contraddetto dall'esperienza.
Molto diversa è la situazione quando si affronta il problema con la meccanica ondulatoria. Ciò è stato fatto particolarmente da L. Nordheim e Fowler con i seguenti risultati:
a) quando l'andamento del potenziale è del tipo di quello di fig. 4, D è praticamente eguale a uno;
b) quando l'andamento del potenziale è del tipo di quello di fig. 5 è possibile che anche alcuni elettroni, aventi energia inferiore a quella necessaria a superare tutto il dislivello di potenziale OV0, ma non inferiore a quello sufficiente per superare il dislivello O′V0, riescano a emergere dal corpo. Ne consegue che la distribuzione delle velocità degli elettroni espulsi dovrà cominciare da zero; ma d'altra parte sarà D 〈 1, il che, come abbiamo detto, conduce a un assai migliore accordo con l'esperienza.
Naturalmente, in seguito a queste considerazioni, l'interpretazione della (3) risulta un poco modificata: la costante C non deve essere più intesa come la misura del lavoro necessario per superare tutto il dislivello OV0, ma soltanto di quello necessario per superare il dislivello O′V0. Si può dimostrare inoltre che, a parità di altre condizioni, l'abbassarsi di O′ provoca generalmente un aumento di Is.
6. Confrontiamo questi risultati teorici con i dati sperimentali, riportati nella seguente tabella:
Ci aspetteremmo, ricordando la (3) e il valore di A, che per i metalli puri 2 DA dovesse valere
e conseguentemente fosse D =1, poiché l'andamento del potenziale dovrebbe essere del tipo di quello della fig. 4. Si trovano invece valori generalmente inferiori, con le singolari eccezioni del cesio, dello zirconio e specialmente del platino, per le quali non è stata ancora possibile alcuna giustificazione. Dobbiamo dunque concludere che la superficie dei metalli, usati nel corso delle esperienze, non è mai completamente esente da impurità. Ammettendo infatti la presenza di impurità elettropositive è possibile giustificare non soltanto valori di D minori dell'unità, ma anche valori di χ minori di C − μ, perché allora l'andamento del potenziale è come quello della fig. 5. Ciò porta generalmente, come già è stato detto, a un aumento della corrente di emissione.
Aumentare l'emissione termoionica per quanto è possibile, senza aumentare la temperatura, può essere molto importante anche ai fini pratici; perciò sono stati misurati accuratamente i valori di 2 DA e di χ, che si ottengono depositando strati estremamente sottili (monoatomici) di impurità elettropositive, su elettrodi specialmente di tungsteno. I risultati sono riferiti in questa tabella:
Particolarmente interessanti, nella pratica, sono gli elettrodi di tungsteno toriato che si preparano aggiungendo alla polvere di tungsteno una certa percentuale di ossido di torio.
7. Dobbiamo ora rilevare che l'andamento del potenziale nella guaina che contorna il corpo emittente, riportato in fig. 4 o in fig. 5, si modifica apprezzabilmente, quando il corpo è sottoposto a campi elettrici assai più intensi di quelli che vengono generalmente applicati nelle esperienze ordinarie, quando si desidera soltanto raccogliere sulla placca la corrente di saturazione. Allora la barriera si attenua e la corrente elettronica di saturazione subisce un aumento.
Per valori del campo elettrico eccezionalmente elevati la barriera può essere così ridotta, da aversi una corrente elettronica rilevante anche a temperatura ordinaria, manifestandosi una "scarica fredda".
Sono stati studiati (Schottky) anche altri fenomeni, che influiscono sulla corrente di emissione: per es., la corrente stessa, pur mantenendo rigorosamente costanti nel tempo le condizioni delle esperienze, subisce delle fluttuazioni, dovute principalmente alla struttura granulare dell'elettricità. Queste fluttuazioni vanno sotto il nome di "Schroteffekt" o effetto di mitraglia; mentre altre fluttuazioni, dipendenti da variazioni irregolari nelle condizioni della superficie emittente, vengono denominate "effetto di scintillazione". Un altro punto che è stato accuratamente esaminato è quello riguardante la legge, con la quale si distribuiscono le velocità fra gli elettroni che riescono a emergere dalla superficie del corpo emittente. Anche in questo caso, le spiegazioni più aderenti ai fatti rilevati sperimentalmente si ottengono con l'ausilio della meccanica ondulatoria.
Le informazioni fin qui riportate si riferiscono all'emissione di elettroni da parte dei conduttori solidi. L'effetto considerato potrebbe essere denominato più propriamente termoelettronico che termoionico.
In alcuni casi può aversi invece un'emissione di ioni, tanto positivi quanto negativi; questo avviene, ad es., quando si riscaldano dei sali. La corrente di emissione varia allora con la temperatura, secondo leggi del tipo noto:
la funzione f(T) varia con T in misura molto minore di quanto non faccia l'esponenziale; ω è una costante.
Anche alcuni metalli, portati all'incandescenza in presenza di vapori di metalli alcalini più elettropositivi, possono manifestare un'emissione positiva; ciò accade quando il lavoro di estrazione degli elettroni dalla superficie del metallo riscaldato supera il lavoro necessario per produrre la ionizzazione degli atomi del vapore.
Un'emissione positiva può ottenersi a basse temperature, anche dai metalli ordinarî contenenti impurità; sempre viene rispettata una legge di dipendenza di I in funzione di T del tipo consueto, ma il fenomeno si modifica con l'andare del tempo, con leggi simili a quelle valide nel caso della radioattività.
Finalmente i metalli puri possono manifestare una debolissima emissione positiva, quando siano sottoposti alle temperature più elevate.
Un posto a parte merita l'emissione degli ossidi dei metalli alcalini e alcalino-terrosi, osservata da Wehnelt fino dal 1904. In questo caso però non è possibile esprimere la legge di dipendenza della corrente di emissione della temperatura; in condizioni apparentemente identiche si possono presentare emissioni considerevolmente diverse. Non è stato nemmeno possibile elaborare teorie che possano dirsi compiutamente soddisfacenti.
8. Ritornando ancora una volta alle curve di fig. 2, osserviamo che, con le considerazioni fin qui svolte, è stata presa in esame soltanto la corrente di saturazione, della quale è stato illustrato il legame con la temperatura, alla luce delle diverse teorie dell'effetto termoionico.
Non è stato esaminato il tratto ascendente delle curve stesse e tanto meno è stata data giustificazione del perché tale tratto ascendente abbia un andamento indipendente dalla temperatura, mentre dipende dalla disposizione geometrica degli elettrodi. Ciò è dovuto alle cariche degli elettroni espulsi dal conduttore che alterano la distribuzione del potenziale nello spazio interelettrodico (v. appresso).
Osserviamo infine che, quando il corpo emittente non è un metallo puro, spesso le curve che rappresentano la I in funzione di V non presentano alcun tratto orizzontale, ma appaiono spezzate in un primo tratto rapidamente ascendente e in un secondo tratto che sale assai più lentamente (fig. 6). Ne consegue che la corrente di saturazione non ha un valore ben definito.
La ragione di questo fatto risiede nella circostanza che, sulla superficie emittente, possono aversi delle irregolarità, dei crepacci, contenenti gruppi di elettroni, i quali, quando la tensione anodica, progressivamente crescente, è sufficientemente elevata, vengono espulsi e vanno ad arricchire la corrente anodica.
Bibl.: O. W. Richardson, The emission of electricity from hot bodies, Londra 1916; A. L. Riemann, Thermionic emission, Londra 1934.
I tubi termoionici.
I fenomeni termoionici descritti nella prima parte di questa voce hanno condotto all'attuazione di strumenti - i tubi termoionici - che hanno consentito la risoluzione di alcuni fra i problemi più ardui, che siano stati affrontati dalla tecnica.
Un tubo termoionico (incidentalmente vogliamo notare che in Italia vanno scomparendo le locuzioni: lampada o valvola termoionica) consiste in un recipiente, quasi sempre un bulbo di vetro, contenente nel suo interno il corpo emittente (catodo) e un altro elettrodo principale (placca o anodo), destinato a raccogliere tutti o in parte gli elettroni emessi dal catodo.
Fra questi due, possono essere interposti altri elettrodi (griglie), la cui funzione, che sarà meglio illustrata in seguito, è quella di controllare il fluire degli elettroni.
Quando il tubo è formato con i due soli elettrodi, catodo e placca, si chiama diodo: si chiama triodo, tetrodo, pentodo e così via, quando fra catodo e placca, sono interposte una, due, tre o più griglie.
Affinché possa emettere, il catodo deve essere portato a temperatura più o meno elevata, a seconda delle sostanze di cui è costituito. Si ottiene in pratica questo riscaldamento in due modi: o facendo percorrere il catodo, che assume allora la forma di un comune filamento da lampada ad incandescenza, da una corrente elettrica di intensità adeguata (riscaldamento diretto); oppure depositando la sostanza emittente sopra un sottile tubetto metallico di nickel, lungo il cui asse scorre un filamento conduttore (scaldatore) percorso da una corrente elettrica (riscaldamento indiretto). Il catodo può essere di metallo puro (generalmente tungsteno) oppure rivestito di ossidi e simili (v. 1a parte). La placca e le griglie, a seconda degli scopi che si vogliono raggiungere, vengono sottoposte a potenziali elettrici adeguati e debbono essere costituite da metalli che resistano all'azione della temperatura elevata, che possono raggiungere per effetto del bombardamento elettronico. Nei tubi di grande potenza la placca è raffreddata mediante una circolazione d'acqua. Lo spazio nel quale il catodo, la placca e le griglie si trovano, cioè lo spazio interno al bulbo del tubo, può essere vuoto oppure può contenere gas o vapori metallici.
Esiste dunque una grande varietà di tubi: a riscaldamento diretto e indiretto, a due o più elettrodi, ad alto vuoto oppure con gas o vapori metallici; tubi destinati ad assolvere le più varie funzioni. Però la suddivisione più importante che si può fare è fra i tubi ad alto vuoto e quelli con gas o vapori metallici.
Tubi ad alto vuoto. - Nei tubi ad alto vuoto, la rarefazione dei gas è tanto spinta, che gli elettroni emessi dal catodo, muovendosi nello spazio interelettrodico sotto l'azione dei potenziali elettrici applicati alla placca e alle griglie, hanno una probabilità di imbattersi nelle molecole gassose tanto piccola da poter essere trascurata.
Diodo. - I diodi ad alto vuoto consistono, come già è stato detto, in un bulbo generalmente in vetro, contenente il catodo e la placca.
La placca può essere una lastrina piana posta in faccia al catodo, oppure un cilindro cavo lungo il cui asse è disposto il catodo in forma di filamento o tubetto; e può anche assumere forme diverse.
In fig. 7 è rappresentato l'aspetto di un diodo ad alto vuoto, a riscaldamento diretto, mentre in fig. 8 è data la rappresentazione schematica convenzionale del diodo a riscaldamento diretto e di quello a riscaldamento indiretto.
Le proprietà elettriche del diodo ad alto vuoto, installato in un circuito come quello di fig.1, sono state in parte esaminate nella trattazione generale dei fenomeni termoionici. A quanto fu allora detto, basta qui aggiungere alcune considerazioni sulla presenza dei tratti ascendenti nei grafici di fig. 2. Quando il catodo è freddo e fra esso e la placca è stabilita una differenza di potenziale, si costituisce nello spazio interelettrodico interno al tubo un campo di forze elettriche, che dipende soltanto dalla configurazione e dalla disposizione degli elettrodi; quando invece il catodo viene portato a temperatura elevata ed emette elettroni nello spazio circostante, questi, con le loro cariche negative che costituiscono la cosiddetta "carica spaziale", perturbano l'andamento del potenziale e della forza elettrica.
Lo studio teorico dell'influenza di questa carica spaziale sulla corrente anodica (J. J. Thomson, Child, Langmuir) conduce alle formule:
di cui la prima si riferisce al caso del diodo con elettrodi piani e la seconda al caso del diodo con placca cilindrica. Il significato delle lettere è: per la (4):
per la (5):
Le formule (4) e (5) spiegano in maniera soddisfacente l'andamento della Ia in funzione di Va, quale si rileva sperimentalmente ed è riportato nei grafici di fig. 2. Esse mettono in evidenza l'importanza degli elementi geometrici del tubo e, non contenendo la temperatura, giustificano il parziale sovrapporsi dei tratti ascendenti delle diverse curve; dei tratti orizzontali si è già parlato.
Le curve si chiamano caratteristiche statiche, ed essendo ottenute quando la resistenza del circuito elettrico esterno è trascurabile, vengono anche chiamate caratteristiche interne o di corto circuito.
A differenza dei conduttori metallici, i quali a temperatura costante presentano una resistenza elettrica invariabile, definita come il rapporto fra la tensione applicata agli estremi e la corrente che percorre il conduttore (R = V/I), il diodo presenta una resistenza, che è funzione del potenziale anodico applicato.
Ma nel caso del diodo (e anche in generale nel caso di ogni altro tubo termoionico) si definisce un'altra resistenza, la cui considerazione è molto più importante. Sia Va la tensione applicata al diodo e Ia la corrispondente corrente (fig. 9): il rapporto fra una piccolissima (infinitesima) variazione della Va e la piccolissima variazione che ne consegue nella Ia, precisamente dVa/dIa, è una nuova grandezza, che ha le dimensioni di una resistenza e si chiama resistenza differenziale. Essa coincide numericamente con cotg. β dove β è l'angolo formato dalla tangente geometrica condotta alla caratteristica nel punto P con l'asse delle Va. La resistenza differenziale è infinita per Va 〈 0, decresce progressivamente nel primo tratto curvo della caratteristica (AB, fig. 2) si mantiene costante nel tratto rettilineo (BC) cresce nell'ulteriore tratto curvo (CD) fino all'infinito (da D in poi).
L'ufficio più importante che possono compiere i diodi ad alto vuoto consiste nel raddrizzamento delle tensioni alternative. Si abbia infatti una sorgente di forza elettromotrice alternativa E, che supporremo per semplicità sinusoidale; alimentando con questa forza elettromotrice un circuito comprendente un diodo (fig. 10), la corrente può passare soltanto nei semiperiodi nei quali la placca è positiva rispetto al filamento; essa è dunque pulsante e diretta sempre nello stesso senso, è cioè una corrente raddrizzata.
Disponendo opportunamente di altri diodi, capacità, induttanze, ecc., è possibile anche raggiungere il livellamento della corrente, cioè rendere praticamente continua e costante la corrente raddrizzata.
Un raddrizzamento particolare è possibile anche quando il potenziale della placca è fissato a un valore Va (fig. 11) diverso da zero e si sovrappone a questo potenziale continuo una tensione alternativa di ampiezza E; basta perciò che il tratto della caratteristica che è interessato e che comprende il punto corrispondente al potenziale Va (punto di lavoro) sia curvilineo. Infatti, in tal caso, nella semionda positiva della tensione alternativa l'incremento della corrente anodica è diverso (in valore assoluto) dalla diminuzione provocata nella stessa corrente dalla semionda negativa, e allora il valor medio della corrente anodica differisce dal valore normale che si ha per E = 0 tanto più quanto più grande è la E. È così possibile mettere in evidenza, rivelare, il sovrapporsi alla tensione continua, di tensioni alternative; e ciò anche se queste sono di ampiezza estremamente piccola e hanno frequenze così elevate come quelle che si incontrano nella pratica delle radiotrasmissioni. Dunque il diodo ad alto vuoto può avere un'altra importante applicazione: come "rivelatore".
Però quando le frequenze sono elevatissime, il funzionamento normale del diodo come raddrizzatore o rivelatore risulta alterato o sminuito, da un lato per effetto della capacità elettrica esistente fra i due elettrodi, dall'altro per effetto del tempo, non più trascurabile, che gli elettroni impiegano a superare lo spazio interelettrodico. Per la prima circostanza il diodo si comporta come un condensatore attraverso il quale può transitare una corrente alternativa apprezzabile; per la seconda, può accadere che quegli elettroni, i quali si avviano verso la placca negli intervalli di tempo in cui questa è positiva, siano ancora in cammino quando il potenziale di placca ha cambiato di segno; da quel momento essi cominciano a risentire un'azione repulsiva.
Il diodo ad alto vuoto ad elettrodi cilindrici, con tensione di placca positiva, ha un singolare comportamento, quando si trova sottoposto all'azione di un campo magnetico avente la stessa direzione del catodo o una direzione poco diversa. Gli elettroni emessi dal catodo, che si avviano verso la placca essendo attirati dal potenziale positivo di questa, percorrerebbero traiettorie rettilinee radiali, quando il campo magnetico fosse nullo. La presenza del campo magnetico fa sì che le traiettorie si incurvino, assumendo la configurazione approssimativa di archi di cerchio, giacenti in piani normali al catodo, il cui diametro è tanto più piccolo quanto più elevato è il campo magnetico e più piccolo è il potenziale (positivo) anodico. Al crescere del campo magnetico, il diametro delle traiettorie diminuisce, ma finché resta superiore al raggio del cilindro anodico, si raccoglie nel circuito di placca una corrente costante. Invece per valori del campo magnetico superiori a un certo valore Hc, detto "valore critico", il diametro delle traiettorie diventa inferiore al raggio del cilindro anodico e la corrente di placca è nulla. I grafici di fig. 12 mostrano l'andamento di Ia in funzione di H per diversi valori di Va.
Il diodo sottoposto a tali condizioni prende il nome di magnetron. Il suo comportamento fu studiato per primo dal Hull, il quale attuò anche circuiti appropriati ove il magnetron, pure essendo alimentato da forze elettromotrici continue, poteva erogare correnti alternative a frequenza radiotelegrafica ordinaria; poteva essere cioè usato come generatore di onde elettromagnetiche, in luogo delle disposizioni ormai classiche, che si attuano con i triodi. Tale applicazione non ebbe però seguito per varie difficoltà di indole pratica.
Con disposizioni dei circuiti diverse da quelle proposte dal Hull e di più semplice attuazione, il magnetron si presta invece in modo mirabile alla generazione delle onde elettromagnetiche più brevi, dette comunemente microonde, la cui lunghezza, inferiore al metro, può divenire piccola come quella dei raggi (ottici) dell'estremo ultrarosso (Okabe, Megaw, Posthumus, Hollmann, Ponte, de Fassi, Salom, Giacomini, Todesco, de Pace, Carrara e moltissimi altri).
I tubi a raggi X di Coolidge costituiscono una classe speciale di diodi ad alto vuoto. In tali tubi la differenza di potenziale fra catodo e placca è molto elevata (molte decine di migliaia di volt); gli elettroni vengono grandemente accelerati e bombardano violentemente la placca, la quale allora irradia i raggi X.
Triodo. - Nel triodo ad alto vuoto (de Forest, 1907), un terzo elettrodo, la griglia, è inserito fra il catodo e la placca (fig. 13). La griglia consiste generalmente in una spirale di filo conduttore sottile che avvolge il catodo senza toccarlo. Essa può anche essere attuata altrimenti e cioè come una reticella, una lamina forata e così via.
Alla placca del triodo è impresso generalmente un potenziale positivo relativamente elevato rispetto al catodo, mentre alla griglia è applicato un potenziale negativo o nullo o leggermente positivo. Gli elettroni emessi dal catodo e che si avviano verso la placca, sono costretti ad attraversare le spire della griglia; quando questa è a potenziale Vg negativo o nullo, non raccoglie alcun elettrone e la corrente nel suo circuito è nulla; quando invece la griglia è a potenziale positivo si ottiene una corrente Ig. In ogni caso la corrente anodica Ia è grandemente influenzata, "controllata", dalla tensione di griglia, la quale assolve un compito analogo a quello di una saracinesca in una condotta idraulica.
Ciascuna delle due correnti Ia, Ig è funzione, oltre che dei due potenziali Va, Vg, anche della temperatura del catodo, della configurazione geometrica degli elettrodi del tubo e delle costanti dei circuiti esterni. Per studiarne l'andamento si può ricorrere alla disposizione sperimentale schematicamente rappresentata in fig. 14 nella quale il circuito esterno anodico (pile, strumenti e simili) presenta resistenza trascurabile. Riportando in grafico i valori di Ia in funzione ne di Va si ottiene una famiglia di curve che si dicono caratteristiche statiche o interne o di corto circuito; riportando invece in grafico i valori della Ia in funzione di Vg si ottiene una famiglia di curve, che vengono comunemente dette caratteristiche mutue statiche, o interne, o di corto circuito. Una tale famiglia di curve, per un tubo con elettrodi di tungsteno puro, è riportata in fig. 15.
L'andamento della Ia in funzione delle tensioni Va e Vg limitatamente ai tratti rettilinei delle caratteristiche, può esser espresso con una legge lineare (Vallauri):
dove A, B, C, sono delle costanti.
Nella grande maggioranza dei casi, il triodo viene sottoposto a potenziali variabili intorno a determinati valori di base; tanto il potenziale di placca quanto quello di griglia possono pertanto essere considerati come composti da una parte costante Va, Vg (componente continua o di base) e da una parte variabile va, vg (componente alternativa). L' ampiezza di queste componenti alternative è generalmente piccola in confronto alle rispettive componenti continue. La corrente di placca (e anche quella di griglia) può a sua volta essere scomposta in una parte continua Ia ed in una parte alternativa ia. La formula precedente, per la sola parte alternativa, diventa:
e si suole scrivere sotto questa forma:
La costante g ha le dimensioni di una conduttanza e si chiama conduttanza interna del tubo; il suo inverso ς = 1/g si chiama resistenza interna. Il fattore μ è un coefficiente numerico cui sì dà il nome di amplificazione interna. È stata attribuita a μ, il cui valore è compreso tra alcune unità ed alcune centinaia, questa denominazione, perché uno stesso valore ia nella corrente anodica può essere prodotto tanto dalla sola va (vg = 0), quanto dalla sola vg, (va = 0), purché si abbia vg = va/μ. La vg può essere perciò tanto più piccola della va quanto più grande è μ. Il prodotto S = gμ si chiama pendenza.
Quando nei circuiti esterni al triodo sono presenti elementi come resistenze, induttanze, capacità e simili, le caratteristiche possono essere profondamente modificate e allora si dicono esterne o dinamiche. Ad esempio, si consideri il caso semplice della fig. 16, dove nel circuito anodico è inserita una resistenza R di valore non trascurabile in confronto a ρ e nel circuito di griglia si trova una sorgente di forza elettromotrice alternativa vg, mentre le pile che completano i circuiti di placca e di griglia hanno forze elettromotrici tali che i valori della corrente anodica capitano sempre nella regione in cui le caratteristiche statiche sono rettilinee. Allora si ottiene fra la ia e la vg il legame:
La rappresentazione grafica della ia in funzione della vg è una linea, la cui pendenza gμ(i + gR), è più piccola della pendenza statica S = gμ per l'esistenza del fattore 1/(1 + gR) che è sempre minore di uno. Inoltre il rapporto fra la tensione alternativa va = − Ria che si manifesta ai capi di R e la tensione alternativa impressa alla griglia vg è:
Il fattore R/(R + ρ) è minore di uno, ma si avvicina tanto più a questo valore quanto più grande è R in confronto con ρ. Se R è molto grande (vi sono delle ragioni pratiche che limitano il valore di R adottabile) è possibile ricavare ai capi della R stessa una tensione alternativa va, di ampiezza molte volte maggiore dell'ampiezza della vg; al limite, per R grandissimo, μ volte. Il triodo assolve allora l'ufficio di amplificatore di tensione.
Avendo supposto che la Ia capiti sempre nella regione nella quale le caratteristiche sono rettilinee, l'andamento della va in funzione del tempo è della identica forma di quello della vg; così se vg è una tensione sinusoidale, tale è la tensione va. Invece, nel caso in cui vengano interessate anche regioni nelle quali le caratteristiche non sono rettilinee, la forma della va differisce da quella della vg in misura maggiore o minore a seconda della curvatura delle caratteristiche; se, ad es., la vg è sinusoidale, la va non lo è più, e può essere scomposta in una parte alternativa di valor medio zero e in una parte continua, che si sovrappone al potenziale di placca base. Derivando ai capi di R uno strumento di misura per le sole tensioni continue, esso, per vg = 0, segnerà un certo valore, mentre per vg diverso da zero segnerà un altro valore. In tal modo il tubo si presta a compiere l'ufficio di rivelatore delle tensioni alternative impresse alla griglia, grazie alla curvatura delle caratteristiche di placca; ufficio che può compiere anche in un modo ben diverso, sul quale sorvoliamo.
Se nel circuito anodico, invece di una resistenza R, fosse inserito un circuito complesso, le considerazioni precedenti dovrebbero essere modificate; ma i fatti rimarrebbero sostanzialmente gli stessi.
Il triodo è dunque un prezioso strumento amplificatore (di tensione, e anche di corrente e potenza), e rivelatore: come tale trova larghissimo impiego negli apparati per le radiocomunicazioni.
Il triodo è altresì un convertitore di potenza di corrente continua in potenza di corrente alternata. Consideriamo infatti lo schema della fig. 17. Si rileva: che le tensioni le quali forniscono energia ai circuiti sono continue (ad esempio, pile); che nel circuito anodico sono inserite una capacità C e una induttanza L in parallelo (ed inevitabilmente non potrà mancare una certa resistenza ohmica R; per es., è sempre presente la resistenza dei conduttori); che nel circuito di griglia è inserita una induttanza L′, disposta in tal modo che il coefficiente di mutua induzione fra L e L′ risulti negativo (ciò che praticamente si ottiene avvolgendo le spire di L′ in senso inverso di quelle di L). Ebbene, quando sono rispettate certe condizioni, il circuito formato da L e da C, detto "circuito oscillatorio", è sede di una corrente alternativa (oscillante). Il tubo opera dunque la conversione della potenza fornita dalle pile, che è potenza di corrente continua, in potenza di corrente alternativa.
La frequenza di tale corrente alternativa è fissata dai valori di L e di C; con grande approssimazione (se R è piccola) essa vale
e può essere molto piccola (poche alternanze al secondo) come anche molto elevata (molte decine o centinaia di migliaia o milioni di alternanze al secondo). I limiti superiori per le frequenze raggiungibili sono fissati dalle capacità interne fra gli elettrodi del tubo e dal tempo che gli elettroni impiegano a superare gli spazî interelettrodici; elementi questi che entrano in giuoco appunto e soltanto alle frequenze più elevate.
È importante rilevare che la resistenza differenziale del triodo funzionante come convertitore (si dice anche e più frequentemente, come generatore) è negativa, cioè un aumento nella tensione di placca provoca una diminuzione nella corrente. È un fatto del tutto generale che un elemento di un circuito avente resistenza differenziale negativa possa essere impiegato ad operare una tale conversione. Ad es., anche l'arco elettrico presenta resistenza differenziale negativa e perciò fu usato largamente in tal senso, fino a quando poté essere vantaggiosamente sostituito dai triodi. Anche i triodi presentano direttamente resistenza differenziale negativa quando la griglia è a potenziale positivo convenientemente più elevato di quello della placca, perché allora insorge un fenomeno nuovo: l'emissione elettronica secondaria da parte della placca. Infatti gli elettroni che riescono ad oltrepassare la griglia, attraversandone le maglie con elevata velocità grazie al potenziale che essa possiede, possono arrivare a bombardare la placca, nonostante il suo basso potenziale, con energia sufficiente ad espellerne elettroni in gran numero. Poiché la corrente di placca dipende dalla differenza tra il numero di elettroni che la bombardano nell'unità di tempo e il numero di quelli che in conseguenza l'abbandonano, può accadere che un aumento nel suo potenziale determini in complesso una diminuzione della corrente e viceversa; il tubo presenta allora resistenza negativa.
Il triodo, così usato, prende il nome di "dinatron", e può mantenere una corrente oscillante in un circuito oscillatorio appropriato, direttamente inserito nel circuito anodico.
Il triodo, con una disposizione trovata da Barkhausen e Kurz nel 1920, si presta anche a generare e a rivelare correnti oscillanti di frequenze altrettanto elevate, come quelle conseguibili con i magnetron; può cioè essere usato come generatore e rivelatore di microonde. Le tensioni in tal caso devono essere invertite, cioè la griglia deve essere a potenziale positivo elevato e la placca a potenziale negativo o nullo o soltanto leggermente positivo. Sono proprio i tempi di transito non più trascurabili degli elettroni fra gli elettrodi (tempi che limitano superiormente, come si è già detto, le frequenze ottenibili con i circuiti ordinarî) che conferiscono al triodo tali attitudini.
I complessi problemi attinenti alla generazione, alla rivelazione e alla propagazione delle microonde sono tuttora allo studio (in Italia, principalmente Marconi, Carrara).
Tubi ad alto vuoto a più elettrodi. - Tetrodo. - Il tetrodo è un tubo nel quale fra il catodo e la placca sono disposte due griglie. A seconda degli scopi che si vogliono raggiungere con la nuova griglia (l'antica si chiama griglia di controllo), il tetrodo prende il nome di tubo con griglia schermo, tubo con griglia di campo e così via.
La griglia schermo è disposta fra la griglia di controllo e la placca ed è generalmente mantenuta a un potenziale costante, inferiore a quello della placca. I vantaggi che essa permette di conseguire sono principalmente una notevole riduzione della capacità esistente fra la placca e gli altri elettrodi, perché scherma elettricamente l'una dagli altri (onde il suo nome) e un considerevole aumento nel coefficiente di amplificazione. La resistenza (differenziale) interna del tubo è estremamente elevata (alcune centinaia di migliaia di ohm).
È interessante riportare una famiglia di caratteristiche di un tetrodo [Ia = f (Va)], quando la tensione Vs di schermo è mantenuta costante (fig. 18). Si nota una regione in cui le caratteristiche sono discendenti: in tali condizioni la resistenza differenziale è negativa e quindi il tubo può senz'altro essere usato come convertitore o generatore. La causa della resistenza negativa è ancora, come nel dinatron, l'emissione secondaria da parte della placca per il bombardamento elettronico.
Il tubo con griglia di campo ha invece la griglia addizionale inserita fra il catodo e la griglia di controllo e mantenuta a potenziale leggermente positivo. Essa è destinata a influire sulla carica spaziale degli elettroni avviluppanti il catodo.
Non faremo cenno degli altri modi con i quali può essere impiegata la seconda griglia.
Pentodo. - Il pentodo differisce dal tetrodo a griglia schermo per l'inserzione, fra questa griglia e la placca, di una terza griglia mantenuta a potenziale nullo, il cui scopo è quello di sopprimere l'effetto dell'emissione secondaria della placca (onde il suo nome di griglia di soppressione) e quindi di eliminare dalle caratteristiche Ia = f (Va) i tratti discendenti e la resistenza negativa. Caratteristiche di questo tipo di tubo sono riportate in fig. 19.
Esodi, ottodi e simili. - Esistono in commercio tubi con un numero di griglie superiore a quattro (cinque, sei); ed anche con un numero di placche superiore ad una (bianodo e simili). Essi sono destinati a compiere uffici che normalmente dovrebbero essere assolti da più di un tubo.
Tubo di Braun ad alto vuoto. - Un tubo singolare a più elettrodi, la cui importanza va continuamente crescendo, è il tubo di Braun. In esso la placca P, posta molto vicina al catodo (fig. 20) è forata e il catodo è costituito da un filamento F e da un cilindretto cavo K, mantenuto allo stesso potenziale del filamento. Un sottile fascio di elettroni (raggi catodici), sospinti dal potenziale di placca, sfugge dal forellino a grande velocità e si dirige verso uno schermo fluorescente, dove produce una piccola e netta macchia fluorescente. Le traiettorie degli elettroni sono normalmente rettilinee, ma possono facilmente venire alterate dalle azioni di campi elettrici e magnetici. A tale scopo sono generalmente disposte nell'interno del tubo due coppie di laminette metalliche M1 M2, M1′ M2′, che costituiscono le armature di due condensatori, le cui giaciture sono ad angolo retto fra loro. Il fascetto catodico è costretto a percorrere lo spazio interno ai due condensatori. Esternamente al tubo possono trovarsi gli avvolgimenti B1 B2 destinati a produrre il campo magnetico.
Quando alle armature dell'uno o dell'altro dei due condensatori (o di ambedue) è applicata una differenza di potenziale, la macchia luminosa sullo schermo fluorescente risulta spostata da A0 in A. Un fatto analogo accade per effetto del campo magnetico. Se le differenze di potenziale applicate ai condensatori o il campo magnetico sono variabili col tempo, la macchia si muove e disegna sullo schermo una linea, il cui andamento dipende dall'effetto combinato delle variazioni dei campi elettrici o del campo magnetico.
Si comprende pertanto come un tale tubo, opportunamente usato, possa essere un potente e prezioso strumento d'indagine dei fenomeni più varî, dipendenti dal tempo, che avvengono nei circuiti elettrici. La sua importanza è attualmente accresciuta perché esso viene largamente usato nei tentativi di risolvere il problema della televisione.
Tubi a catodo caldo in gas o vapori. - La presenza della carica spaziale, rende assai elevata la resistenza interna del diodo ad alto vuoto e pertanto, quando si vogliano erogare dal tubo correnti intense (che non possono però superare il valore di saturazione), occorre applicare tensioni anodiche assai elevate. La potenza dissipata in calore sulla placca assume allora valori notevoli, che abbassano il rendimento del tubo e impongono l'attuazione di procedimenti adeguati di raffreddamento. Per diminuire la resistenza interna si può invero ridurre la distanza fra gli elettrodi e aumentare la superficie del catodo; ma, per questa via, si raggiungono ben presto limiti non sorpassabili.
È possibile però ridurre grandemente l'effetto della carica spaziale in modo ben diverso: introducendo nel tubo un gas o un vapore con potenziale di ionizzazione limitato, a bassa pressione. La presenza del gas o del vapore modifica prof0ndamente il meccanismo della conduzione nell'interno del tubo; infatti, se il potenziale anodico è sufficientemente elevato, gli elettroni emessi dal catodo acquistano rapidamente una velocità sufficiente a ionizzare per urto le molecole dell'aeriforme; nell'interno del tubo si trovano allora elettroni, ioni positivi e molecole neutre e si può dimostrare che la presenza di tali corpuscoli rende il comportamento del tubo analogo a quello di un diodo ad alto vuoto nel quale la distanza fra anodo e catodo sia estremamente ridotta. Vengono così eliminati gli inconvenienti che si rilevano nell'impiego dei diodi ad alto vuoto illustrati in principio.
In taluni tubi viene immesso il gas argon, alla pressione relativamente elevata di circa 5 cm. di mercurio. Il catodo, generalmente di tungsteno, viene riscaldato a una temperatura molto superiore a quella che potrebbe tollerare se si trovasse in un ambiente ad alto vuoto, e ciò senza inconvenienti, grazie alla presenza delle molecole gassose, che si oppongono alla evaporazione del metallo; l'emissione elettronica è pertanto molto notevole.
La presenza del gas a pressione relativamente alta impone d'altro canto due limitazioni all'impiego del tubo: esso infatti non può sopportare una tensione inversa (catodo positivo rispetto alla placca) molto elevata (non oltre 200 volt) né essere percorso da correnti eccessivamente forti, che potrebbero compromettere la vita del catodo. Per ridurre tali limitazioni, l'argon viene sostituito dal vapore di mercurio. Il tubo contiene allora nel suo interno del mercurio liquido e quindi è invaso dal vapore saturo, alla pressione che corrisponde alla temperatura del punto più freddo (principio della parete fredda). Ad es., quando il punto freddo è a 75° centigradi, la pressione del vapore è 0,055 mm. di mercurio e il tubo può sopportare una tensione inversa di circa 10.000 volt; per pressioni più piccole, tale valore aumenta. A così basse pressioni il riscaldamento del catodo non può essere tanto spinto, quanto è consentito nel caso del tubo con argon, perché l'evaporazione non ne è contrastata. Perciò, allo scopo di ottenere forti emissioni, si usano frequentemente catodi a ossidi, invece che di tungsteno puro.
Per migliorare ancora i rendimenti e aumentare le possibilità d'impiego, fra il catodo e l'anodo dei tubi di questa classe, è stata interposta una griglia. L'efficacia della griglia è però ben diversa da quella nel triodo ad alto vuoto; disponendo del suo potenziale, si può soltanto impedire l'iniziarsi dei processi di ionizzazione e quindi il transito della corrente, ma una volta che tale inizio abbia avuto luogo, la griglia non ha più alcuna influenza sul valore della corrente anodica.
Bibl.: U. Ruelle, Principi di radiotecnica, Milano 1928; C. Rimini, Elementi di radiotecnica generale, Bologna 1935; J. H. Morecroft, Electron tubes and their application, New York 1933; M. Barkhausen, Elektronen-Röhren, Lipsia 1935; F. L. Chaffee, Theory of thermionic vacuum tubes, Londra 1933.