PERIGLACIALI, FENOMENI
. Fenomeni di morfologia terrestre causati dal gelo, cioè dalla trasformazione dell'acqua dallo stato liquido a quello solido e viceversa. Il termine deriva dal fatto che tali fenomeni si verificano soprattutto nelle regioni situate all'esterno dei ghiacciai, sia attuali sia d'un tempo passato, oltre che nelle regioni che sono o che furono a clima freddo in genere; venne perciò proposto di sostituire questo termine con quello più esatto di fenomeni paraglaciali o, ancor meglio, crionivali, intendendo con ciò l'azione non solamente del ghiaccio ma anche della neve. Ad ogni modo è esclusa dal termine l'azione diretta dei ghiacciai.
Lo studio di questi fenomeni ebbe inizio solo con l'esplorazione sistematica delle fredde regioni siberiane, e si sviluppò ampiamente quando si poté constatare che gran parte di essi si osservavano anche sulle Alpi e, poi, in altre zone montane della Terra. Ulteriormente si sviluppò lo studio degli stessi fenomeni intervenuti durante i periodi glaciali del quaternario, in regioni anche molto basse, ma che furono fredde, e di cui sono evidente spia i fenomeni da gelo.
Si possono classificare questi fenomeni nelle seguenti categorie:
I. Forme derivate dal frantumamento e dalla corrosione delle rocce (fr. gélivation e nivation). - Tali ad esempio i circhi dell'alta montagna che per quanto connessi anche con l'azione glaciale vera e propria, almeno per la formazione della spianata, secondo alcuni sono più direttamente connessi con il disgregamento parietale e il conseguente arretramento dei versanti d'un alto bacino torrentizio, emergenti dai campi di neve, ad opera del gelo. È innegabile che, esteso così il campo dei fenomeni periglaciali, ad analoga classe appartiene il disgregamento delle vette in clima gelivo, e quindi la forma di queste, sia pure in rapporto con la struttura; e per conseguenza anche la formazione dei ghiaioni e dei mari di pietra alle falde delle alte pareti rocciose che furono o che tuttora sono in attività di disgregamento da gelo. Così alcuni ripari in roccia si possono considerare di eguale origine, soprattutto se alla base vi è o vi fu un velo d'acqua che per capillarità possa essere salito per fessure della roccia e gelando l'abbia disgregata fino ad una non rilevante altezza. Invece, si ritiene dai più che l'origine dei laghetti alpini di una certa estensione non sia dovuta all'azione esclusiva o prevalente del gelo, e tanto meno quella dei laghi prealpini. È tuttavia certo che si possono formare delle piccole conche simili a doline in roccia non carsificabile, come graniti e gneiss, per azione chimica dell'acqua nivale; ma anche qui, in generale, in corrispondenza di preesistenti fratture beanti, di diaclasi o di altre soluzioni di continuità nella roccia, allargate dal gelo e poi più ampiamente dalla neve (fr. cryokarst, pseudokarst, ecc.).
Nei terreni di regioni che furono molto fredde nei periodi glaciali del quaternario, si osservano spesso delle spaccature verticali a cuneo (fr. fentes en coin), profonde fino a 10 metri e più, dovute al gelo, e riempite di materiali diversi: alquanto comuni nelle pianure e colline dell'Europa centrale.
II. Forme dovute a rigonfiamento del suolo. - Il rigonfiamento del suolo, dal gelo, è sensibilissimo nei terreni a granulometria fine (argille, ecc., con aumento fino al 40%), meno negli altri; e può essere massiccio o a lenti, a noduli, ecc. Nel terreno delle regioni a basse temperature, dai 20-30 m di profondità in giù (e nella Siberia settentrionale fino a 500-600 m di profondità), il suolo è sempre gelato (ingl., ted. permafrost; russo merzlota; svedese t′j???le; fr. pergelisol, ecc.), mentre al di sopra è gelato (fr. mollisol) solo nel periodo freddo. Nelle nostre regioni temperate si ha solo un mollisol periodico. Chiamasi criopedologia lo studio dei suoli gelati, e crioturbazioni i movimenti del suolo derivati dal gelo. I fenomeni più caratteristici sono:
1. - Pingos: cioè delle cupole di terreno innalzantisi per formazione di ghiaccio sottostante e che, venuto meno questo, si trasformano in laghetti o paludi circolari dai bordi leggermente rialzati; comuni in Alaska e Siberia, rari nelle Ardenne e nell'Europa centrale, a quanto pare non sono stati finora osservati sulle Alpi.
2. - Pipkrakes: sottile strato granuloso di suolo secco che riveste un sottile strato (5 cm) di ciuffi di cristalli fibro-aciculari di ghiaccio disposti verticalmente. Si trovano un po' dovunque, e d'inverno anche in regioni temperate e basse.
3. - Suoli poligonali (reticolati, a ghirlanda, ecc., e in genere, chiamati suoli strutturali): è uno dei fenomeni più caratteristici, anche sulle Alpi tra i 2700 e i 3000 m. Il suolo argilloso superficiale, estremamente pianeggiante, si presenta a poligoni separati da fessure le quali si conservano beanti oppure sono colmate di erbe o di ciotoli, offrendo l'aspetto di tante piccole aiole contigue. Dimensioni varie: diametro da 20 cm a 1-2 m. Quanto all'origine si pensò da taluni ad un fenomeno di convezione verticale dell'acqua di imbibizione a temperature diverse con corrispondente trasporto e separazione dell'argilla e dei ciotoli; ma sembra più accettabile l'ipotesi del gelo localizzato in alcuni punti nello strato d'argilla, con assorbimento centripeto d'acqua (= formazione delle fessure), inturgidimento del poligono d'argilla formatosi, e scivolamento di pochi ciotoli, se vi sono, verso la periferia (= riempimento delle fessure con ciotoli). I poligoni sono leggermente turgidi e non concavi, come invece quasi sempre accade nei poligoni dei fondi lacustri fangosi essiccati; e la profondità delle fessure che limitano i poligoni o gli anelli raramente supera i 30-40 cm. Scarsi nelle montagne granitiche o gneissiche (che danno origine piuttosto a terreni sabbiosi), certo abbondano maggiormente nelle montagne aventi un substrato calcareo, marnoso o comunque capace di dare origine ad argilla.
4. - Suoli pieghettati (= crioturbazioni, ecc.): sempre per azione dilatante del gelo in ambiente ristretto e compresso. Sono fenomeni alquanto comuni nei terreni di regioni che furono molto fredde nei periodi glaciali del quaternario, come si è visto per le spaccature verticali a cuneo nei suoli e terreni quaternarî (Ardenne, Europa Centrale, altipiani ferrettizzati lombardi, Campagna romana, ecc.).
5. - Suoli a cuscinetti erbosi: fenomeno alquanto comune anche ad altitudini inferiori ai 2000 metri. Sono piccoli monticelli, alti non più di 30-40 cm, erbosi, emisferici o anche ovali o rettangolari, talvolta asimmetrici, riuniti in gruppi su pascoli o torbiere a pendenze deboli o nulle. Nella formazione della convessità certo entra il gelo, dimostrato dalla presenza di suolo ghiacciato nel nucleo inferiore, ma certamente anche il lento slittamento del suolo superficiale e l'accumulo di terriccio in punti caratteristici; infatti la convessità è costituita eminentemente da terriccio nero il quale nelle depressioni tra cuscinetto e cuscinetto ha spessore molto minore; e ad aumentare la relativa altezza parzialmente interviene anche l'erosione dei rigagnoli primaverili.
III. Forme dovute a disgelo. - Il disgelo dà origine quasi sempre a scivolamento di terreno, cioè a soliflusso, oltre ai laghetti derivati dai pingos di cui si è detto, e alle conche e ai laghetti dovuti al disgelo locale di lenti di ghiaccio situate sotto una colata di pietre.
Si hanno allora: pietraie, su pendio o valloncello, in movimento; colate di fango o di pietre e fango (con velocità annua di discesa da cm 0,20 a m 1 e più); colate di pietre, talora così ben conformate da sembrare colate glaciali, costituite però di grossi pietrami, chiamate anche rockglaciers, con velocità di discesa da 0,50 a 2 e più metri all'anno; suoli erbosi in gradinata: pendii erbosi costituiti di lunghi gradini orizzontali che sembrano tanti sentieri (e talvolta lo sono veramente), ritenuti anche sentieri tracciati da animali pascolanti (donde il termine francese: pieds de vache), ma quasi sempre dovuti piuttosto a ondulazioni causate da scivolamento di un suolo terroso erboso su pendio alquanto ripido, poggiante su un substrato impermeabile, durante lo sgelo della falda acquifera superficiale; alle nostre latitudini si notano soprattutto dai 1800 metri in su, ma si possono verificare anche a 600-800 metri.
Altre forme hanno minore importanza, e alcune solo indirettamente sono legate a gelo; per esempio: i lastricati naturali dell'alta montagna, dovuti a compressione della neve; cordoni di pietre, simulanti morene, dovuti allo scivolare dei detriti da disgregamento parietale su pendii di neve; cesellature e levigature, derivate dall'azione di venti freddi; depositi eolici con materiale proveniente dalle fanghiglie glaciali deposte; ecc.
Dal secolo scorso, cioè da quando i ghiacciai sono entrati in una notevole fase regressiva, pare che la fenomenologia p. sia aumentata d'intensità, e questo per la minore nevosità nell'alta montagna e il ritardo delle nevicate e perciò per la scarsezza di protezione nivale sul suolo nel periodo dei primi freddi. Vedi tav. f. t.
Bibl.: A. Cailleux e G. Taylor, Cryopédologie, Parigi 1954; J. Tricart, Cours de géomorphologie: IIª parte, Géomorphologie climatique: Fasc. I, Le modelé des pays froids, 1° Le modelé périglaciaire, Parigi, s. d. (ma quasi certamente 1955); G. Nangeroni, Neve - Acqua - Ghiaccio, ecc. (C. A. I., Milano 1954); Studi dei fenomeni crionivali, articoli di R. Albertini, R. Amedeo, T. C. Capello, F. Donà, V. Giacomini, A. Giorcelli, G. Nangeroni, C. Origlia, A. Pietracaprina: Pubblicazione n. 11 della Fondazione per i problemi montani dell'Arco Alpino, Milano 1955; Biulletyn Peryglacjalny, pubblicato dall'università di Łodz (Polonia). Per fenomeni periglaciali del quaternario nell'Italia centrale, vedi anche A. C. Blanc, Ricerche sul quaternario laziale, in Quaternaria, II, Roma 1955.