fendere [ fesse, pass. rem. III singol.; fesso, partic. pass.]
Verbo di uso esclusivamente poetico, adoperato - per lo più in senso proprio - nella comune accezione di " lacerare ", " spaccare ", o, al figurato, di " attraversare "; è frequente l'uso del participio passato, con valore sia predicativo che attributivo.
Nel sogno che D. fa nel girone degli accidiosi Virgilio mette a nudo le turpitudini della femmina balba (XIX 7) fendendo [cioè " stracciando ", " lacerando "] i drappi che la coprivano (v. 32). In altri due luoghi, anche del Purgatorio, il verbo è riferito alla roccia o alla pietra, che attraverso le loro strette fenditure permettono l'ascesa della montagna: XIX 67 tal, quanto si fende / la roccia per dar via a chi va suso, / n'andai, " idest quantum scala durat ", Benvenuto; " Per tutto quel tratto di apertura che fa la ripa per formare scala a chi va sopra ", Lombardi (si noti il ‛ si ' passivante e l'uso del presente che tuttavia indica l'azione nel suo effetto, non nel suo svolgimento: " si trova, è spaccata " ); e X 7 Noi salavam per una pietra fessa, dove l'Ottimo osserva che D. " dice ‛ fessa ' la strettezza... Ed è tutta opposita alla via che vogliono li superbi, li quali la vogliono larga e spedita d'ogni impedimento; egli vogliono che ogni uomo dea loro luogo " (il costrutto è " alla latina: per la fessura d'una pietra ", Siebzehner-Vivanti; e così già nell'Andreoli: " per l'apertura di un masso ". Cfr.questo passo con If XIX 75 Di sotto al capo mio son li altri tratti / ...per le fessure de la pietra piatti, dove si allude ai fóri [v. 14] in cui sono immersi i simoniaci).
Fatta eccezione per questi tre luoghi, le altre occorrenze del verbo in senso proprio, quasi tutte dell'Inferno, alludono, con valore più o meno preciso e con diverse gradazioni d'intensità, a lacerazioni fisiche, nel corpo umano o di animali. Così, nel caso delle furie (Con l'unghie si fendea ciascuna il petto, IX 49), il verbo vale " graffiare ", sia pur violentemente, fino a produrre profonde escoriazioni (per la stessa linea semantica si arriva alle ferite molto più gravi, vere e proprie lacerazioni, prodotte dalle agute scane delle cagne nei fianchi del lupo e dei lupicini: XXXIII 36); ma nella bolgia dei seminatori di scisma f. indica, con estremo realismo, autentiche ‛ spaccature ' che hanno letteralmente " diviso in due " il corpo dei dannati, con quella rigida osservanza del contrapasso esplicitamente dichiarata da Maometto dopo la presentazione di Ali, / fesso nel volto dal mento al ciuffetto (XXVIII 33): E tutti li altri che tu vedi qui, / seminator di scandalo e di scisma / fuor vivi, e però son fessi così (v. 36; alla prima di queste occorrenze può essere accostata quella di Fiore CCX 10 lo mise giù tutto stenduto, / e si l'avrebbe fesso insino a' denti; solo apparentemente simile a questi, invece, il passo di Rime LXXVII 7: Forese ha la faccia fessa solo in quanto " è sfregiato nella faccia ", come spiega il Barbi; e cfr. le pp. 355-357 del commento Barbi-Maggini). Non meno realisticamente precisa l'immagine di Guido di Monfort, che fesse in grembo a Dio / lo cor di Arrigo di Cornovaglia (If XII 119), pur se qualcuno (Chimenz) intende qui " trafisse " (o " ferire ", Casini-Barbi) piuttosto che " spaccò " (Porena, Mattalia; " scindit cor ", commenta efficacemente Pietro; " aperse violentemente col coltello " il Boccaccio). La stessa immagine si ripresenta alla fantasia del poeta che, esasperato dalla durezza della donna amata, si augura di vedere Amore fender per mezzo / lo core a la crudele che 'l mio squatra (Rime CIII 53, e si noti la maggior precisione conferita dal complemento avverbiale).
Meno drammatiche, perché non esplicitamente connesse all'idea del sangue, si presentano le immagini del canto dei ladri, là dove 'l serpente " divide " in forca (If XXV 104) la coda, a formare le gambe dell'uomo in cui si sta trasformando - Togliea la coda fessa la figura / che si perdeva là, v. 109 -; o dove la lingua che Buoso avëa unita e presta / prima a parlar, si fende (v. 134), " si biforca " come quella del serpente di cui va assumendo le sembianze, mentre la forcuta / ne l'altro [Francesco Cavalcanti] si richiude (vv. 134-135).
Senza particolare rilievo, quanto al verbo, il passo di Pg XVI 99, dove unghie fesse è metonimia per indicare gli animali dal piede forcuto, quelli di cui agli Ebrei era lecito cibarsi (Deut. 14, 7; Lev. 11, 26). Ma è molto importante il significato dell'espressione ('l pastor... / rugumar può, ma non ha l'unghie fesse): s. Tommaso afferma che " fissio ungulae significat distinctionem duorum testamentorum; vel Patris et Filii; vel duarum naturarum in Christo; vel discretionem boni et mali. Ruminatio autem significat meditationem Scripturarum, et sanum intellectum earum " (Sum. theol. I II 102 6 ad 1). Su questa base, i commentatori hanno inteso che i " praesentes pastores... non habent ungulas fissas in discernendo et dividendo temporalia a spiritualibus " (Pietro, Landino, poi Casini-Barbi, Scartazzini-Vandelli, Chimenz); o, analogamente, che " lo Papa e lo Vescovo... all'opere ch'elli fa non dimostra lo desiderio suo diviso, ma pure unito a le cose del mondo " (Buti, Vellutello, poi Sapegno). Benvenuto vede simboleggiata in unghie fesse la ‛ operatio ', contrapposta al ‛ loqui ' (rugumar); mentre secondo il Lombardi D. avrebbe usato quelle espressioni " invece di dire che potevano bensì i prelati de' suoi tempi predicar dottamente il distacco dai beni temporali, ma non movere altrui col proprio esempio " (è l'interpretazione preferita dal Tommaseo). In sostanza, in questi versi " Si pone il problema dottrinale della duplice guida del mondo: il papa e l'imperatore, e del loro reciproco rapporto. Il poeta combatte contro la teoria ierocratica... che rivendica al pontefice un dominio anche sul temporale ", teoria che " contrastava all'altra tradizionale che considerava le due autorità l'una complemento dell'altra " (Fallani).
Ancora con qualche attinenza al senso proprio, ma decisamente orientata verso il figurato, in un contesto anch'esso metaforico, è l'immagine di Pd XXIII 68 non è pareggio da picciola barca / quel che fendendo va l'ardita prora, / né da nocchier ch'a sé medesmo parca (" ‛ paregium ' est quando unum brachium maris [est] elongans se multum a terra et a lictore ", Serravalle; " Et hic nota quantum metaphora sit propriissima ex omni parte sui, quia assimilat materiam altam mari magno et profundo; ingenium velox barcae... poetam vero scribentem nautae naufraganti ", Benvenuto. Per la questione testuale, cfr. Petrocchi, ad l., e Introduzione 240-241): all'idea del " tagliare " - e cfr. il virgiliano " infindunt... sulcos " (Aen. V 142), cui rimanda il Tommaseo - si sovrappone, dominandola, quella dell'" attraversare " (nel caso specifico, " fendendo si pone per navicando ", dice il Buti). In quest'ultima accezione il verbo è adoperato in Pg V 38 e XIV 131, dove si parla dei lampi che ‛ fendono ' l'aria, cioè che si vedono " strisciare pe 'l sereno aere " (Lombardi). Ma anche in questi casi non è in tutto estranea al verbo l'idea del " tagliare ", pur trattandosi di un elemento come l'aria: cfr. ancora Pg VIII 106 Sentendo fender l'aere a le verdi ali [degli angeli], / fuggi 'l serpente; XXIX 111 [il grifone] tendeva in sù l'una e l'altra ale / tra la mezzana C le tre e tre liste, / sì ch'a nulla, fendendo, facea male (si noti il costrutto assoluto).
Un po' diversi i due luoghi di Pg XVI 25 e III 96, nei quali il soggetto - grammaticale o logico - del verbo è D. stesso, col suo corpo uman ( III 95): nel primo, trattandosi del fummo, del " grosso aere " (Ottimo) che avvolge gl'iracondi e che D. " attraversa ", " divide ", " scilicet cum corpore, quod ceteri spiritus non faciunt " (Benvenuto), si ritorna a un'immagine di una certa corposità; l'altro, invece, riconduce all'assoluta impalpabilità del lume del sole che in terra è fesso, " rotto " dal corpo e quindi dall'ombra che esso proietta (cfr. vv. 88-89 Come color... vider rotta / la luce in terra...). v. anche FESSO.