femminismo
Per filosofie del femminismo si intende la pluralità di teorizzazioni e pratiche che vanno dalle prime formulazioni del prefemminismo, agli studi sulla costruzione del genere (➔), al pensiero della differenza sessuale, sino alle elaborazioni più recenti, quali l’Anglo-American feminist criticism, le teorie femministe francese e italiana, e da ultimo la Feminist film theory.
Il f. è stato uno dei movimenti del Novecento di più vasta influenza nella vita sociale, politica e culturale a livello mondiale, caratterizzato da dinamicità e pluralità di posizioni e obiettivi. Come movimento teorico, pratico e d’autocoscienza si è affermato nei paesi più sviluppati del mondo occidentale, in centri spontanei d’aggregazione politica e culturale che hanno dato vita a manifestazioni, associazioni, iniziative anche di massa, pure in appoggio ai movimenti antischiavisti, e in tali ambiti negli Stati Uniti e in Gran Bretagna è entrato in uso il termine alla metà dell’Ottocento (Dichiarazione di Seneca Falls, USA, 1848). Soprattutto nelle aree anglo-americana ed europea, in cui affonda le sue radici, il f. è studiato e dibattuto a livello accademico in un’area disciplinare ampia e diversificata, e si è consolidato in filoni di ricerca specifici a carattere interdisciplinare e comparativo. F. e movimento femminista si usano come sinonimi sia per la postulata inscindibilità di teoria e prassi sia per la costitutiva dinamicità del femminismo. Si può dire che al centro del f. ci sia l’idea che le donne, in quanto conformate al ‘genere’ femminile, sono trattate in modo iniquo nella società, organizzata su una bipartizione di generi che avvantaggia gli uomini, impoverendo il mondo delle potenzialità espressive non di un gruppo sociale ma di più della maggioranza dell’umanità. L’accesso delle donne all’uguaglianza in una cultura a dominanza maschile non è comunque mai stato un obiettivo universale del f., anche perché è controverso cosa significhi l’uguaglianza per le donne, come e riguardo a cosa essa vada acquisita, e quali siano gli effettivi ostacoli da superare. Nel 1792 Mary Wollstonecraft scrisse che nascere donne comporta inferiorità, oppressione e svantaggio e che occorre una rivoluzione perché le donne, quale parte della specie umana, operino, riformando sé stesse, per riformare il mondo (Rivendicazione dei diritti della donna). Dell’anno prima è la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina di Olympe de Gouges, ghigliottinata nel 1793. In questione era il riconoscimento di piena umanità, cioè che la donna fosse un’individualità autonoma, razionale e morale. Per cambiare un ordine di cose che non è per natura ma costruito ad arte e trasmesso dall’educazione, occorreva l’impegno delle donne in un processo d’autoformazione e il concorso degli uomini progressisti per l’adeguazione dei diritti. Fin dall’inizio il f. unifica conquiste teoriche e pratiche, pensiero e vita, e manifesta il suo ruolo d’avanguardia riguardo ai rapporti di genere e alla vita umana nel mondo. Un’avanguardia che attinge non all’aristocrazia e al popolo ma al ceto medio, il che costituirà un problema in tutte le fasi dell’evoluzione del movimento. Lo scenario in cui prese avvio il f. era quello dei cambiamenti epocali connessi agli sviluppi impressi alla modernità dalle rivoluzioni industriali, con i loro effetti sul sistema patriarcale, sui processi d’unificazione nazionale e sugli apparati istituzionali e statali. In tale contesto le donne acquisirono consapevolezza che il paradigma patriarcale imponeva loro d’essere ciò che gli uomini non sono (o non intendono apparire) e che per questo, con il supporto delle istituzioni poste a tutela dei privilegi maschili, le relegava nel privato interdicendole dal mondo pubblico e dalla cultura a valore simbolico. L’uguaglianza che si rivendica attiene comunque a ordini e sfere d’attività, non significa mai omologazione all’uomo. Nelle sue varie fasi l’ordine patriarcale mantiene una struttura logofallocentrica che elide la donna senza nominarla, imponendo il discorso dell’universale neutro modellato sul maschile; discorso che è di fatto regolato dalla ‘logica del medesimo’ in quanto la donna vi compare rappresentata dall’uomo. Quando si giungerà con la seconda ondata (➔ oltre) a questa formulazione il f. avrà maturato una più chiara convinzione che i diritti umani attengono a ogni essere umano in quanto individualità autonoma (Martha Nussbaum, Luisella Battaglia, Marisa Forcina), ma il rapporto tra f. e diritti è tuttora problematico (gruppo Diotima, Diana Sartori). Premesso che le donne hanno espresso visioni che oggi possono dirsi femministe assai prima dello sviluppo del discorso femminista della liberazione, la storia del f. non è lineare visti la varietà e l’intreccio di posizioni, avvicinamenti, distanziamenti e separazioni.
Dell’attuale scansione del f. in ondate non è condivisa la loro demarcazione, tanto più se cronologica, dato un approccio alla temporalità incline non a visioni lineari e cicliche ma a forme di ricorsività innovativa, che si riflettono nel rifiuto di una schematizzazione. L’immagine dell’ondata è efficace quando se ne focalizza la vitalità e il dinamismo, per cui l’energia è mantenuta attraverso un rinnovato slancio ‘a partire da sé’, che è quanto ha inteso fare il f. contemporaneo disegnando una storia ‘giocata’ sulla mobilità di scansioni e confini, quindi sui nessi tra istanze, teorizzazioni e azioni diverse e diacroniche. Come nel caso del ‘problema’ della prima ondata, cioè dell’affermazione dell’individualità moderna, che avrebbe trovato sbocco nel suffragismo avviatosi all’inizio del 19° sec., affondando le sue radici nel pensiero illuminista e nella rivoluzione francese. A connessioni e innesti le filosofe femministe della seconda ondata preferiscono la ‘fluidità’, tematizzata soprattutto nel contesto francese (Luce Irigaray) e italiano (gruppo Diotima) trovando antecedenti in scrittrici e poetesse della prima ondata o in femministe ante litteram. Sono approcci diversi che coesistono con i contemporanei topoi del discorso femminista: mescolanza, ibridazione, creolizzazione e meticciato. Oltre alla pluralità e alla delocalizzazione/dislocazione, questi topoi evocano la fluidità del corpo e della sessualità femminile in cui non c’è cesura tra esterno e interno, e su questa peculiare continuità/discontinuità carnale le femministe, anche attingendo creativamente ai miti, si sono espresse in gesti, parole, scritture. La storia del f. trae sostegno dagli studi di storia delle donne, uno dei frutti più felici degli Women studies, e con la correlata storiografia ha dato luogo a controversie, anche perché le due discipline, d’antico dominio maschile, hanno molto concorso all’elisione delle donne dagli ordini simbolici. La scansione in ondate, come la loro articolazione interna, deve tener conto dei diversi orientamenti teorici del f. legati a campi storico-culturali e linguistici diversi. La cartografia, quasi fino all’ultimo passaggio di secolo, mostra in primo piano il f. angloamericano e quello europeo continentale, con la presenza attiva di filosofe francesi e italiane. L’area del f. tedesco (oggi tanto internazionalizzato da non distinguersi come gruppo), riflettendo la tradizione del socialismo e del marxismo, ha una struttura molto ideologizzata e politicizzata in linea con la nuova sinistra, in piena consonanza con il dettato ‘il personale è politico’. Nei paesi di lingua spagnola, dato il prolungato isolamento politico dovuto alla dittatura franchista, si stagliano alcune figure di pensatrici e scrittrici (María Zambrano, Victoria Ocampo) che saranno riconosciute femministe più tardi. Nei paesi del Nord Europa, per le anticipate peculiari acquisizioni di diritti delle donne, il f. ha uno sviluppo celere ma poco originale e si consolida soprattutto nelle sedi accademiche a livello di ricerca e didattica. Al passaggio di secolo lo scenario appare mutato, allargandosi dall’Africa ai paesi dell’America latina e a quelli orientali, in specie l’India. Oltre a coinvolgere le questioni del f. postcoloniale (come le questioni delle donne nere, africane e non, di quelle africane bianche, di prima e seconda generazione, delle emigranti asiatiche, ecc.), questo neo-f. rivisita criticamente i paradigmi del f. storico (Seyla Benhabib), anche scalzandoli, come da ultimo il paradigma della lingua madre che il ‘soggetto nomade’ del f. postmoderno non conosce (Rosi Braidotti). Si tratta di linee di sviluppo più che di fuga, e i soggetti pure nomadi e ‘mascherati’ (Judith Butler) sono donne intenzionate a non farsi condizionare e a decidere liberamente delle loro scelte sessuali. Del f. più recente è in discussione se sia una terza ondata o una coda della seconda e se debba definirsi o meno post-f., certo vi si colgono i segni del nuovo e la ripresa di temi antichi.
La prima ondata dell’emancipazionismo suffragista ottocentesco, su cui gli studi di storia delle donne stanno dando contributi innovativi, si è avviata con una coppia, Harriet Taylor (L’emancipazione delle donne, 1851) e John Stuart Mill (La soggezione delle donne, 1869), non assestata sulla binarietà maschile e femminile costruita in modo che il femminile slitti in seconda posizione. Entrambi sono polarizzati sul paradosso di un’uguaglianza dei diritti ‘monca’ perché non applicabile alle donne. Le loro tesi, liberali in senso radicale e ugualitarie, sfoceranno nella conquista dei più rilevanti diritti richiesti, che il f. di orientamento socialista considera solo formali, in linea con il materialismo dialettico di Engels che lega la subordinazione della maggioranza delle donne alle condizioni economico-sociali (ponendo in questione la portata rappresentativa del suffragismo e il carattere borghese del femminismo). Saranno però i temi engelsiani della messa in discussione della famiglia monogamica e dei rapporti tra uomini e donne nella sfera della sessualità non solo riproduttiva, collegata al desiderio e alla libera scelta amorosa (L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, 1884), a essere ripresi dal f. della seconda ondata. Nel cinquantennio, o fase d’eclisse, che la precede, il f. rielabora l’uguaglianza dei diritti e delle condizioni materiali mettendo a fuoco il tema della differenza. Virginia Woolf e Simone de Beauvoir ridanno linfa alla teoria femminista, mostrando come l’eclisse sia una modalità dinamica d’assenza/presenza. Entrambe parlano dell’alterità della donna, di quella impostale dall’uomo e a lui speculare e di quella interna a sé che ha bisogno d’esprimere. Woolf sembra investire tutto nel privato, ma il privato cui lei guarda è un mondo, non una sfera accanto a quella pubblica, di fatto ridotta a zona di guerra per uomini bisognosi di possesso e controllo: è un modo d’essere umano che muovendo dall’individualità incarnata si apre all’universalità umana. La cura di sé come forma di relazionalità ‘altra’, con lo spazio e il tempo per viverla quale pratica di vita estranea alle pratiche maschili di morte, è liberante ed è politica, e le donne hanno in tale campo dei saperi da coltivare e da trasmettere. Simone de Beauvoir assume la differenza a categoria esistenziale, e la donna, in quanto costretta nel prototipo dell’alterità con la maiuscola, l’Altro dall’uomo, ne mostra l’imprescindibilità. Per recuperare la sua differenza, l’alterità con la minuscola, la donna deve attingere a sé stessa, al proprio desiderio, riattivando la propria progettualità esistenziale tramite la narrazione, riscrivendo la sua storia a un tempo individuale e comune. La pratica della narrazione – in forma di parola e scrittura biografica, autobiografica e fantastica – è un tema costitutivo del f. perché nel richiamare la donna a sé stessa la dispone alla scoperta di sé come altra, non fissando o chiudendo il discorso ma avviando un cammino di autoformazione. Il secondo sesso (1949) si chiude con un’affermazione decisa contro l’omologazione al maschile e a favore della liberazione, ma ciò significa scompaginare l’ordine dei sessi a partire da sé, attingendo a una differenza ancora da scoprire, che impegnerà il f. della seconda ondata. Insorta negli anni Sessanta del Novecento, nel solco dei movimenti antiautoritari e di liberazione, sin da quello studentesco, la seconda ondata è dirompente, ma vive anche fasi di riflusso ricche di nuove elaborazioni. La storia del f. degli anni Settanta/ Novanta, nel suo prolungarsi al passaggio di secolo e al presente, appare percorsa da cambiamenti così forti da prospettare una cesura che sarebbe segnata dall’apparizione del postfemminismo. Questo accentua il carattere di per sé controverso del termine f., laddove sembra più sensato parlare di divergenze del f. postmoderno da alcuni dei sempre mobili parametri femministi. Poco convincente appare anche l’idea di una terza ondata, viste la contiguità temporale e la non univocità della categoria di postmodernità. Il f. filosofico ha peraltro condotto una disanima dei concetti postmoderni, quali differenza e identità, per analizzare la costruzione del soggetto donna e affermare la poliedricità di ogni essere umano comunque sessuato. Infatti, sia l’opera di decostruzione del discorso dell’universale neutro quale soggetto logofallocentrico, sia l’azione di sabotaggio perpetrata sulla tradizione filosofica occidentale per strapparle alcune figure femminili esemplari (Adriana Cavarero), hanno mirato non alla costruzione della casa femminista definitiva fatta a regola, ma all’individuazione di uno spazio relazionale che dia modo al sé di manifestarsi e narrarsi.
Il f., uso a lavorare sempre sul provvisorio e sul frammentario, soprattutto oggi vive trasformandosi, cosa che evoca la messa in gioco sia di controversie sia di possibilità impreviste. Così è accaduto nella seconda ondata con La mistica della femminilità di Betty Friedan (1963), che nell’avviare un movimento di emancipazione/liberazione delle donne di forte risonanza, ha innescato nuove iniziative pratiche e teoriche, innanzitutto sulla questione del potere. Infatti, mentre per Friedan le donne devono rivendicarlo, altri gruppi (per es., il gruppo Feminist, fondato da Ti-Grace Atkinson) lo contestano mettendo in discussione l’asse sessualità, patriarcato, capitalismo, come avviene anche nei gruppi europei di studio e autocoscienza, che scelgono il separatismo per elaborare modalità proprie di pensiero e discorso (Rivolta femminile, Libreria delle donne di Milano, Centro Virginia Woolf, gruppo Diotima). Parlando di f. anglo-americano e f. europeo va tenuto conto delle difformità dei rispettivi contesti socioculturali e delle matrici filosofiche, come nel caso dell’Anglo-American feminist criticism, delle teorie femministe francese e italiana (ciascuna con le sue articolazioni interne). Nell’attuale ampliarsi del raggio d’incidenza del f. si osserva però, con l’usuale rimescolamento delle carte, una maggiore convergenza problematica, in specie sulle questioni etico-politiche, dove la cura, intesa come forma di razionalità pratica, assume il ruolo di categoria fondativa di una nuova etica pubblica, che attraverso il lavoro ‘attento’ sui confini morali dati punta a scalzare i rapporti di disuguaglianza (Iris Marion Young, Joan Tronto, Laura Boella). La seconda ondata è caratterizzata in Francia e in Italia da uno scavo sulla sessualità femminile attraverso la rilettura critica delle teorie di Freud, Foucault, Lacan che porta a elaborare una teoria della differenza sessuale che farà testo per gli sviluppi delle filosofie femministe. Luce Irigaray, rileggendo i testi della tradizione filosofica occidentale, e in specie quelli platonici a fronte di quelli freudiani, mostra la cancellazione dall’intera produzione speculativa della donna e della sessualità femminile: il corpo incarnato è assente dall’ordine simbolico, cioè dal discorso che fa testo. Sul fronte semiotico e della teoria psicoanalitica, Julia Kristeva valorizza le potenzialità segniche della lingua materna quale fonte di espressività poetica, gioiosa, libera e liberante, che emerge dalle maglie del linguaggio maschile sotto forma di trasgressione del significato e del senso normativo. La figura materna assurge a perno di un’elaborazione teoretica ampia e complessa soprattutto con il gruppo Diotima dell’univ. di Verona, il cui «pensiero della differenza sessuale» (accusato di essenzialismo, non solo dal f. di taglio più sociologico e costruttivista) ha avuto larga disseminazione. Rifacendosi all’analisi di Irigaray, esso ha individuato nella madre quale corpo generante il primo referente di un ordine simbolico capace di promuovere saperi incarnati, e da qui una genealogia femminile che prevede forme di separatismo dagli uomini e di affiliazione tra donne (Luisa Muraro). Il f. ha coinvolto con la sua critica e rilettura dei saperi anche l’epistemologia e la storia della scienza (Evelyn Fox Keller), così come rapido sviluppo ha avuto anche l’ecofemminismo. Ma un settore molto vitale a livello internazionale è quello filosofico-religioso, che vede accomunate femministe di varie religioni (Rosemary Radford Reuther, Christine Battersby, Francesca Brezzi, ecc.) impegnate, oltre che nella critica alle istituzioni religiose, in una rilettura dei testi biblici che parla anche di ‘dio-donna’. Nel suo versante più dichiaratamente postmoderno il f., utilizzando le strategie decostruzioniste di Derrida e Deleuze, destabilizza il modello binario inscritto nel maschile e nel femminile performati dal discorso egemone, puntando a valorizzare, con la poliedricità del femminile, la polivalenza della sessualità e il carattere eversivo del desiderio (già impliciti nell’anarchia del corpo fluido femminile delineato da Irigaray), l’uno e l’altro normati sull’eterosessualità (Teresa de Lauretiis, Adrienne Rich). Da qui la scelta di entrare nel gioco dei generi, ‘mascherandosi’ da donne per scalzare i consolidati ruoli di genere e determinarsi come soggetti femministi liberi di scegliere il proprio orientamento sessuale (Judith Butler, e prima Carla Lonzi). Il confronto con i media e le nuove tecnologie caratterizza il f. postmoderno e lesbico, che, mettendo in luce gli aspetti pervasivi e delocalizzanti, ne sfrutta la frammentazione e le discrepanze al fine di sperimentare le possibili trasformazioni della soggettività corporea (come la figura cyborg di Donna Haraway), in vista della liberazione del desiderio, sminuendo il peso delle differenze di genere (Kate Millett, Shulamith Firestone). Ciò incide pure sulla scrittura femminile intesa in senso femminista, cioè come fatto creativo eccedente ogni sua codificazione e in quanto tale non esclusiva della donna (Hélène Cixous). Si parla però anche di una tradizione letteraria femminile che presenta una continuità di immagini e temi mutuati da generazione a generazione, associabile a un costante tessuto relazionale tra le scrittici e i loro contesti sociali di vita (Elaine Showalter). Tutto ciò rimanda a una proliferazione di donne capaci di pensiero, volontà e azione, che attingendo a Hannah Arendt – una delle madri simboliche del f. contemporaneo – si possono raffigurare come il nostro «futuro alle spalle».
Merita un cenno la anglosassone Feminist film theory, nata alla metà degli anni Settanta del Novecento, riflessione sul linguaggio, oltre che metodo di lavoro, di codifica e di decodifica, che si interroga sostanzialmente sul rapporto tra rappresentazione e differenza sessuale: il cinema si fonda sul piacere di guardare e lo perpetua; il cinema è messa in scena di voyerismo e feticismo, dove il maschile è il soggetto della rappresentazione e il femminile il suo oggetto. Differenza sessuale, quindi, intesa non come dato biologico bensì come costrutto culturale, prodotto di una tecnologia di rappresentazione e autorappresentazione. Ispirata alla psicoanalisi e passando per l’analisi testuale, tale ricerca è approdata alla funzione spettatoriale espressa dai concetti di gaze e desire, ossia di interazione tra sguardo e desiderio. Il contributo di maggior peso è dato dall’inglese Laura Mulvey nel suo testo Visual pleasure and narrative cinema (1975).