femmina (femina)
Frequenti le attestazioni del termine in senso proprio e allegorico nelle opere di D., con la sola eccezione delle Rime.
L'usuale senso di " donna " è presente, nella sua indeterminatezza, due volte nelle opere minori del poeta: Cv I IX 5 coloro che l'hanno fatta [la letteratura] di donna meretrice; e questi nobili sono principi, baroni... e molt'altra nobile gente, non solamente maschi, ma femmine, e III IX 4 sorella è detta quella femmina che da uno medesimo generante è generata (con curiosa cadenza giuridica: cfr. Digest. l. 38 tit. 10 n. 10 " Frater per utrumque parentem accipitur, idest aut per matrem tantum, aut per patrem aut per utrumque, idest ex utroque parente eodem... Soror similiter numeratur ut frater "). Più numerose le simili occorrenze nella Commedia: If IV 30 turbe... / d'infanti e di femmine e di viri; XX 41 Tiresia, che mutò sembiante / quando di maschio femmina divenne (per cui cfr. Met. III 324 ss.). Altrove la parola tende ad assumere un valore spregiativo ( Pg VIII 77 Per lei assai di lieve si comprende / quanto in femmina foco d'amor dura, e XXIII 95 la Barbagia di Sardigna assai / ne le femmine sue più è pudica; ma cfr. gli esempi di Vita Nuova, Convivio e Purgatorio riportati più oltre), reso più evidente dalla contrapposizione a ‛ donna ' (v.) in Vn XIX 1 se io non parlasse a donne... e non ad ogni donna, ma solamente a coloro che sono gentili e che non sono pure femmine. Con connotazione decisamente spregiativa in If XVIII 66 femmine da conio, comunque s'interpreti conio.
In altri casi la voce designa una " donna " determinata, tramite antonomasia, allusione o contesto individuante. Così in Vn XXVI 2 Diceano molti, poi che passata era: " Questa non è femmina, anzi è uno de li bellissimi angeli del cielo " (Si allude a Beatrice); in Cv II V 2 femmina veramente e figlia di Ioacchino e d'Adamo, la perifrasi designa Maria Vergine, chiamata anche (IV V 5) femmina ottima di tutte l'altre. In If XVIII 89 l'ardite femmine spietate che tutti li maschi loro a morte dienno, sono, sulla scia di Stazio (Theb. V 300 ss.), le donne di Lenno; in Pg XXI 2 compare la femminetta / samaritana (per cui cfr. Ioann. 4, 6 ss.); altrove (XXIX 26) si allude a Eva. La f. di cui parla Bonagiunta (XXIV 43) è la Gentucca lucchese cara a Dante.
A un significato allegorico ci porta la femmina balba, / ne li occhi guercia, e sovra i piè distorta, / con le man monche, e di colore scialba, del sogno di D. (Pg XIX 7). Tutti i commentatori, antichi e moderni, sulla base di quanto il poeta fa dire a Virgilio (Vedesti... quell'antica strega / che sola sovr'a noi... si piagne, vv. 58-59), sono portati a scorgervi il simbolo della " mondana felicità imperfetta e falsa " (Buti), della concupiscentia punita nei suoi aspetti di avarizia, gola, lussuria nelle tre cornici che D. si accingeva a salire. Gli stessi attributi allegorici della mostruosa creatura ne sarebbero conferma: " in quo balbutiatu denotat affectionem gulae; in obliquitate oculorum, luxuriae; in impedimento manum et pedum, avaritiae " (Pietro). Per le fonti dell'immagine, si possono porre in prima linea il testo biblico (Prov. 7, 10 ss.), ove leggiamo: " Et ecce occurrit illi mulier ornatu meretricio / praeparata ad capiendas animas, / garrula et vaga, quietis impatiens / nec volens in domo consistere pedibus suis: / nunc foris, nunc in plateis, nunc iuxta angulos insidians ", e poi un luogo delle Vitae Patrum (V v 23) ove si parla di una " mulier Aethiopissa, foetida et turpis aspectu, ita ut foetor eius sufferre non posset ", che tenta ‛ opere diabolico ' un monaco a cui " dicebat... ‛ Ego sum quae in cordibus hominum dulcis appareo, sed propter oboedientiam tuam et laborem quem sustines, non me permisit Deus seducere te, sed innotuit tibi foetorem meum ' ". Passi a cui potrebbero aggiungersi la visione iniziale del De Consolatione di Boezio o la descriptio della meretrice di Giovanni Crisostomo. Per lo stile verbale della rappresentazione, non è da trascurare il possibile influsso della vituperatio antifemminile, ben viva nella pratica letteraria del Medioevo e di cui ci ha lasciato testimonianza Matteo di Vendôme nella sua Ars versificatoria (in E. Faral, Les arts poétiques du XIIe et XIIIe siècle, Parigi 1962, 131).
La variante di forma ‛ femina ', sempre in senso proprio, compare solo nel Fiore: LIX 7, LXI 5, LXXII 14, CLVII 1 e 11, CLXI 1, CLXIII 9, CLXVII 5, CLXVIII 3, CLXXIX 10, CLXXXII 10, CLXXXVIII 3, CXC 1, CXCI 3, CCXIX 4.
Bibl. -Sul significato teologico degli appellativi di D. a Maria: G. Poletto, La Vergine madre nelle opere e nel pensiero di D., Siena 1905, 74 ss., ed E. Auerbach, Studi su D., trad. ital. Milano 19662, 263 ss. Sulla femmina balba di Pg XIX 7: F. Romani, Il canto XIX del Purgatorio, Firenze 1902, 14; G. Fabris, Il secondo sogno di D. nel Purgatorio, in " Giorn. d. " XXVI (1923) 97-109; E. Bodrero, Il canto XIX del Purgatorio, in Studi, saggi ed elogi, Padova 1941, 275 ss.; G. Toffanin, Sette interpretazioni dantesche, Napoli 1947, 29-34 (con importante discussione di fonti); H. Rheinfelder, Drei Purgatorionächte, in " Deutsches Dante-Jahrbuch " XXVII (1948) 81-89; G. Bonfante, Fémmina e Donna, in Studia Philologica et Litteraria in honorem L. Spitzer, Berna 1956, 77-109; M. Marti, Il canto XIX del Purgatorio, Torino 1962, 7-18; L. Tonelli, Il canto XIX del Purgatorio, in Lett. dant. 1041 ss.; G. Paparelli, Purgatorio XIX, in Lect. Scaligera 703 ss.