CAPITONE (Amuccio, Auruccio o Aurucio), Feliciano
Nacque intorno al 1515 (per G. Eroli nel 1511; ma questa data non regge se è vero quanto scrive il Boncambi [in Viri illustres...] che il C. morì "di età di LXII anni in circa") nell'omonimo castello della terra di Narni.
Il C. è più conosciuto sotto il nome di Capitone (o Capitoni) che sarebbe stato usato per la prima volta da un suo parente, Matteo Auricci (Auruccio) "de Capitonibus", in un documento del 1499.È probabile che i suoi antenati fossero originari di Todi: in questo senso si esprime il Leoni negli Annales del convento di Todi (in Viri illustres...).
Il C. prese l'abito dei servi di Maria nella chiesa della Madonna delle Grazie di Narni "in puerili aetate constitutus", secondo un documento riportato nei Viri illustres. Il Boncambi afferma che egli aveva allora "16 anni in circa": dovrebbe esser dunque entrato in religione negli anni 1530-31. Dopo questo periodo abbiamo notizie di lui nel maggio 1542 quando, già baccelliere, fu eletto "in publicum religionis scribam". Ciò avvenne nel capitolo generale di Faenza , in cui divenne generale A. Bonucci. Nel maggio 1545 fu nominato - come risulta dal Regestum di A. Bonucci - "baccalaureus conventus" nello Studio del convento di Padova. Per incarico del Bonucci, allora a Trento in attesa dell'apertura del concilio, il C. si recò alla fine di ottobre 1545 a Ferrara per restituire alla Congregazione dell'Osservanza il convento di S. Maria della Consolazione, atto che segnò una tappa fondamentale nella riconciliazione fra l'Osservanza e l'Ordine. Eletto il 22 aprile del 1547 "baccalaureus conventus" di Bologna dai definitori della provincia di Romagna, il C. venne nominato dal Bonucci nel giugno dello stesso anno vicario provinciale nella provincia del Patrimonio sino alla celebrazione del capitolo generale: nel documento relativo il nome del C. è preceduto per la prima volta dal titolo di "magister". Nel capitolo della provincia del Patrimonio tenutosi a Foligno il 15 giugno 1547 ebbe anche la carica di reggente dello Studio del convento di Perugia. Definitore generale nel capitolo generale tenutosi a Budrio il 23 apr. 1548 - nel quale il Bonucci fu riconfermato nella suprema carica dell'Ordine -, fu nominato il C. ad un mese dalla morte di questo, il 6 luglio 1553, da Giulio III, visitatore generale dell'Ordine insieme a S. Bonucci e Zaccaria Faldossi sino al capitolo generale che ebbe luogo a Verona il 12 luglio 1554. Eletto procuratore generale nel capitolo generale tenutosi a Verona nel 1560, carica in cui successe a S. Bonucci, lo ritroviamo alla fine del suo mandato (20 maggio 1564) nel convento di S. Marcello in Roma (dove era priore lo stesso S. Bonucci) con l'ufficio di teologo del cardinale Alessandro Farnese, protettore dell'Ordine. Il Tozzi afferma che fu proprio per questo motivo che il C. "officium Procuratoris dimisit". Nello stesso periodo il C. fu nominato professore di teologia alla Sapienza di Roma. Il 3 apr. 1566 Pio V gli affidò l'arcivescovado di Avignone, vacante per la rinuncia del card. Alessandro Farnese. Nella bolla si parla dello "zelo religioso", della "limpidezza di vita" e dei "buoni costumi" del Capitone. Prima di puntualizzare la sua attività nella diocesi di Avignone in cui giunse il 7 sett. 1566, va ricordata la non trascurabile dimensione della predicazione. Egli predicò nel duomo di Capua nel 1549 e in quello di Todi nel 1551. A causa del grande successo ottenuto dal C. anche nel duomo di Perugia, il legato papale raccomandò che si chiamasse a predicare il C. nella città di Foligno, cosa che avvenne per decisione presa dai Priori e dal Consiglio nel 1554, durante l'episcopato di Isidoro Chiari. La predicazione del C. destò così grande entusiasmo che il Consiglio maggiore decise il 1º maggio 1555 di conferirgli la cittadinanza onoraria. Fu questa forse l'espressione di un desiderio per una eventuale successione del Chiari, allora gravemente infermo? Delle sue doti di predicatore il C. diede prova anche durante il suo governo episcopale, come è testimoniato dall'incisivo discorso sull'origine e l'efficacia del giubileo tenuto nel 1576 e pubblicato da P. Ruffa (Avignone 1576).
Nominato, arcivescovo, il C. non aveva denari "per far passar le Bolle dell'arcivescovato d'Avignone". Per questo si rivolse ai Priori della città di Narni, chiedendo un prestito di 1.000 scudi. Avendone ricevuti soltanto 200, non poté pagare la tassa che si trascinò per più di un anno. Egli dovette pertanto inchinarsi a chiedere "un dono gratuito" al capitolo di Avignone. Dei 200 scudi si trova ancora notizia nelle Riformanze di Narni all'indomani della morte del C.: segno che il C. non li aveva rifusi o non era stato in grado di restituirli. Sui redditi dell'arcivescovado di Avignone gravava infatti una pensione annua di 2.000 scudi d'oro in favore del cardinal Farnese, suo protettore.
Il 21 giugno 1567 il C. proibì l'esercizio della "nuova religione pretenduta riformata". In seguito ad un breve di Pio V, dell'agosto 1569, visitò le chiese della città e del Contado Venassino. Il 27 sett. 1572 partì per l'Italia e, stando all'Itinerariodi Tiburzio Scosta, marito di una nipote del C. che l'accompagnò nel viaggio, ritornò ad Avignone il 29 luglio del 1572 (una copia de l'Itinerario è riportata in Viri illustres).
Durante l'assenza del C., il card. d'Armagnac tentò (di concerto col Capitone? In un appunto, non datato, ma certamente del 1572, esistente in Legazione Avignone, 2, f. 171 dell'Archivio Segreto Vaticano si dice: "l'arcivescovo d'Avignone, per giustissime cause, vuol lasciare quella Chiesa") di succedergli nella sede di Avignone. Ciò è chiesto espressamente dall'Armagnac in una lettera del 27 maggio 1573 in cui si dice tra l'altro che il C. avrebbe dichiarato "di non poter residere qui se non con gravissimo pericolo della sua vita, essendoli questo aeria si contrario". Ma, cosa strana, proprio il 27 maggio 1573, si scriveva da Roma al card. d'Armagnac, e ciò potrebbe far pensare che il C. o non si trovasse proprio d'accordo col cardinale o che fosse costretto ad agire così: "L'arcivescovo d'Avignone per satisfare a l'obligo di bon prelato et al debito che ha con Dio et con la chiesa sua, se ne vien'hora a la sua residenza, et sarebbe anco venuto molto prima se non fosse stato impedito in curarsi d'una infirmità, et in alcune altre sue occorrenze familiari" (ibid., 3, f. 64).
Nel giugno 1576 il C. lasciò nuovamente Avignone alla volta dell'Italia e morì, stando al Boncambi, il 25 dicembre a Capitone e fu, ivi sepolto nella chiesa di S. Andrea due giorni dopo.
Alla data del 25 dicembre sembra ostare una nota delle Riformanze di Narni: "die 7 januarii s'intende che l'arcivescovo d'Avignone è morto questa notte". Di contro sta però il fatto che il successore del C., card. d'Armagnac, fu nominato il 6 genn. 1577. Secondo Gallia christiana novissima che non cita per altro alcuna documentazione a questo proposito "correva voce che il C. fosse stato avvelenato dal suo cameriere ugonotto".
Per quanto concerne i sinodi diocesani e provinciali che sarebbero stati celebrati dal C. si ha grande discordanza: secondo le asciutte indicazioni del Mansi, Martiri, Petit, durante il suo episcopato si sarebbero tenuti un sinodo provinciale (1567) e cinque sinodi diocesani (1568, 1569, 1574, 1575, 1576); per Gallia christiana novissima tre sinodi provinciali (1567, 1574, 1575) e quattro diocesani (1566, 1568, 1569, 1576); per il Grechi, infine, solo tre sinodi provinciali (1567, 1569, 1574), e tre diocesani (1566, 1568, 1576).
Quanto si può escludere è che il C. abbia tenuto un sinodo diocesano nel 1566, essendo esso stato celebrato "sub Alexandro Farnese, archepiscopatus Avenionensis administratore". Sarebbe altrettanto da escludere come celebrato almeno con la presenza del C. il sinodo diocesano del 17 ott. 1576, considerato che il C. partì da Avignone nel giugno. Per quanto concerne il sinodo provinciale del 1567 posto che sia stato veramente celebrato in esso, stando al Mansi, Martin, Petit e alla stessa Gallia christiana novissima, sarebbero stati promulgati i decreti sinodali del 1566: si sarebbe trattato dunque di un atto puramente formale. In effetti, l'unico concilio provinciale tenutosi durante l'episcopato del C. sembra sia stato quello del 1575. Non si potrebbe spiegare altrimenti un passaggio della premessa del C. agli statuti sinodali, dal quale emerge come non solo mancassero sinodi provinciali dei predecossori ma, indirettamente, che dallo stesso C. non ne fosse stato celebrato alcuno. Del resto ciò può essere almeno in parte confermato da una lettera delle segreteria di Stato al vescovo di Carpentras in data 23 maggio 1573: "Ho ricordato a l'Arcivescovo la celebratione del Concilio Provinciale, la totale executione del Concilio Tridentino" (Legazione Avignone, 35 f. 63).
I decreti del concilio provinciale del 1575 (il cui originale si trova presso l'Archivio della ex Congregazione del Concilio) sono per altro di estremo interesse per cogliere le dimensioni della pastorale e della politica di riforme perseguite dal Capitone.
I primi 15 capitoli dei 62 in cui si articolano gli statuti sinodali affrontano le questioni più urgenti in rapporto agli eretici. Più organicamente elaborato si presenta il secondo filone di temi incentrato sui sacramenti (capitoli 16-30). Seguono tre capitoli (1-33) che possono esser considerati una vera e propria trattazione della figura del vescovo ideale secondo una tipologia che trova riscontro, nello stesso arco di tempo, pur nella personale impostazione del C., nelle omelie di I. Chiari (pubbl. a Venezia nel 1565-67) e negli scritti dedicati allo stesso argomento da Bartolomeo de Martyribus, Ludovico di Granata, Pier Francesco Zini, il cui Boni pastoris exemplum era presente nella biblioteca del C. (Legazione Avignone, X, f.151v). Quanto è qui delineato parte dalla constatazione della inettitudine della massima parte dei vescovi al loro servizio episcopale, desiderato in vista degli onori e delle ricchezze e non per una se pur "minima solicitudo" del bene delle anime (giudizio questo espresso dal C. nella premessa e censurato dalla Congregazione del Concilio). I capitoli 34-55 sono dedicati a chierici, monaci e suore: in essi si propone un modello ideale di vita e di azione. Ma accanto alla grande apertura che questo sinodo dimostra da parte del C., accusato per altro dal clero di Avignone (come risulta dalla protesta allegata ai decreti del sinodo dalla Congregazione del Concilio) di aver calpestato, senza aver prima consultato il clero, i privilegi ad esso concessi dai pontefici, si nota un atteggiamento decisamente duro nei confronti degli ebrei residenti nella provincia ecclesiastica (cap. 58). E pensare che il 6 apr. 1569 il C. aveva "ardito" - così il Pastor - intercedere per gli ebrei della sua diocesi, ottenendo risposta negativa dal papa che si era richiamato alla testimonianza del vescovo di Carpentras, secondo cui da anni nessun decreto aveva procurato maggior letizia nel Venassino quanto la bolla contro gli ebrei.
Nel periodo avignonese il C. lavorò ad una grossa opera (Explicationes catholicae locorum fere omnium Veteris ac Novi Testamenti,quibus ad stabiliendas haereses nostra tempestate abutuntur haeretici) che fu pubblicata postuma a Venezia nel 1579 da un suo discepolo, fra' Gaudioso Florido da Perugia, per incarico del cardinal Farnese. Un'altra edizione, che riproduce fedelmente quella veneziana, uscì a Colonia nel 1581. Se, come osserva l'editore, il C. esamina passi vetero e neotestamentari dei quali si servivano gli eretici del suo tempo per sostenere le loro dottrine, è pur vero che l'opera si presenta con un respiro più ampio, positivo, quasi una summa dogmatica, ecclesiologica, sacramentaria, poggiante, oltre che su una base solidamente biblica, su una approfondita diretta conoscenza della tradizione patristica e delle decisioni conciliari, non solo tridentine.
Il lavoro (di cui è stata considerata sino ad oggi soltanto la dimensione ecclesiologica, che va per altro approfondita) è articolato in tre sezioni: la prima è dedicata alle "explicationes" di 76 brani veterotestamentari; la seconda comprende l'esegesi di 96 brani evangelici e degli Atti; la terza abbraccia 114 explicationes di testi tratti dalle epistole neotestamentarie e dall'Apocalisse, laddove all'Epistolaai Romani e alla I ai Corinti da sole ne son dedicate ben 52. Un decimo delle "explicationes" è dedicato a controversie intraecclesiali: esse vertono sulla concordanza di passi scritturistici discordanti fra loro almeno sul piano letterale. Anche se in quest'opera si riscontrano, ma molto raramente, posizioni dure e intolleranti ("gli eretici vanno puniti col ferro e col fuoco"; stretto rapporto fra eretico e demonio), il C. evita lo spirito acre, l'argomentazione aggressiva come pure ogni forma di superlativismo dogmatico. Le Explicationes, apprezzatedal Bellarmino, erano note anche in campo riformato come mostra il Dorscheus che le cita nel suo MysariaMissae (Argentorati 1644, pp. 71, 74).
In complesso si può dire che il C., creatura di A. Bonucci e del cardinal Alessandro Farnese, fu uomo di viva e aperta cultura teologica. Ottimo conoscitore della Bibbia, sensibile lettore dei Padri (decine erano le edizioni delle loro opere in suo possesso), non disdegnò la lettura di Aristotele e Platone e neppure di classici come Cicerone, Svetonio, Plinio. Nella sua biblioteca figurava anche una edizione delle commedie di Terenzio. Oltre questi orizzonti culturali forse ovvi, ce ne sono altri più vicini alla produzione letteraria del suo tempo. Doveva aver letto l'Enchiridion di Erasmo, il Cortegiano del Castiglione, l'Orlando Furioso dell'Ariosto. Non aveva dimenticato gli Elegantiarum del Valla, la Cosmographia del Münster e neppure - in questo ambito egli doveva avere una particolare inclinazione - tutta una serie di libri di musica con in testa un esemplare di L'antica musica de Nicolò vicentino, come si legge nella Copia delli libri del C., elenco conservato in Legazione Avignone, X, f. 147v.Ebbe forse la sfortuna di diventare arcivescovo di Avignone, con una salute malferma, in un periodo estremamente difficile, all'indomani del concilio di Trento, nel mezzo delle guerre di religione che travagliavano la Francia e si ripercuotevano anche nel possesso pontificio della provincia di Avignone, con un'autonomia di governo insidiata dalla vicinanza del potente cardinale Georges d'Armagnac, che riuscì a diventare suo successore, e da un cardinale legato, vicario generale del papa e della Sede apostolica "in spiritualibus et temporalibus", che si chiamava Carlo di Borbone.
Fonti e Bibl.: Archivio Segreto Vaticano, Legazione Avignone, I, ff. 30, 60-66; II, ff. 2, 92, 121, 1711 209; III, ff. 63 s.; X., ff. 147-153; Roma, Congreg. del Clero, Fondo concili, n. 12 della ex Congregazione del Concilio; Roma, Arch. Gen. Dell'ord. dei servi di Maria, Regesta Priorum Generalium, 27, Reg. Gen. Aug. Bonucci de Aretio, ff. 61, 96, 105, 106 ss., 136; Ibid., 29, f. 6; Ibid., Viri illustres Ord. S.B.M.V.;Ibid., C. Palombella, Cathalogus scriptorum antiquorum ord. B.M.V… anno domini MDCCL, pp. 758, 760 s.; Arch. di Stato di Bologna, S. Maria dei Servi, 182/6272, f. 17v;Arch. di Stato di Foligno, Reformationes della città di Foligno,Archivio priorale, 53, ff. 122 ss.; 55, ff. 23-26;Arch. di Stato di Narni, Riformanze del Comune di Narni dall'anno 1563 al '67, f. 30; Annalium Sacri Ordinis Servorum B. Mariae Virginis, II, Lucae 1721, pp. 130, 132, 143, 147, 150, 165 ss., 195, 256;J. D. Mansi-J. B. Martin-L. Petit, Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio, XXXVIa, Parisiis 1911, pp. 97 s., 107-110, 115 s.; XXXVIbis, ibid. 1913, pp. 5 s., 611 s., 615 s., 621 s., 991 s.; J. H. Albanès-U. Chevalier, Gallia christiana novissima, VII, Avignon-Valence 1920, cc. 592-599 (cfr. tutta una serie di documenti edi rinvii a fonti archivistiche); Memorabilium Sacri Ordinis Servorum B.M.V. breviarium, a cura di A. F. Piermei, III, Romae 1931, pp. 244, 280;IV, ibid. 1934, pp. 19, 136, 151, 294 s.;Ph. Tozzi, De scrittoribus Ordinis Servorum B.M.V., a cura di P. Branchesi, Bologna 1964, pp. 37 s.; J. M. Koenig, Bibliotheca vetus et nova a prima mundi origine, Altdorf 1678, p. 164(attribuisce al C., equivocando - ma lo stesso fa il Tozzi, p. 38, che si rifà al Le Long, 2, 266 - un'opera In Acta Apostolorum et Epistolas canonicas, da attribuire invece a G. B.-Feliciani); A. M. Markel, Speculumvirtutis et scientiae seu viriillustres Ordinis Servorum B.M.V., Norimbergae et Viennae 1748, pp. 115 s.;G. Caraffa, De professoribus Gynmasii Romani liber secundus, Romae 1751, p. 460;F. M. Renazzi, Storia dell'Univers. degli studi di Roma..., II, Roma 1804, p. 170;G. Eroli, Biogr. di monsignore F. C., Roma 1855;F. Lauchert, Die italienischen Gegner Luthers, Freiburg i.Br. 1912, pp. 681 s. (il C. è qui chiamato "Felicianus Amuccius de Narnia"); L. v. Pastor, Storia dei papi, VIII, Roma 1929, pp. 232, 270; IX, ibid. 1929, p. 370;N. Spano, L'Università di Roma, Roma 1935, p. 26; A. M. Rossi, Manuale di storia dell'Ordine dei Servi di Maria..., Roma 1956, pp. 54, 87, 800; M.-M. Grechi, Eclesiologia de frei Feliciano de Narni O.S.M. arcebispo de Avinhão (1515-1576), in Studi storici d. Ord. d. Servi di Maria, XIV (1964), pp. 231-260; Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., XI, coll. 862 s.; G. Gulik-C. Eubel, Hierarchia catholica..., III, Monasterii 1923, p. 141; H. Hurter, Nomenclator literarius..., III, pp. 51 (sub voce Felicianus Amuccius), 84 (sub voce Felicianus Capito).