BUSSI, Feliciano
Nacque a Roma, da antica famiglia viterbese, intorno al 1680. Datosi alla vita religiosa, entrò nell'Ordine dei chierici regolari camillini e nel 1716 fu destinato a Viterbo, ove rimase sino alla morte. La lunga permanenza a Viterbo, fra il XVII e XVIII secolo centro di una vivace, anche se dilettantescamente incerta attività storiografica, volse decisamente gli interessi del B. all'antiquaria e alla storia. Nel 1725 egli stringeva relazione con l'abate Francesco Ficoroni, erudito e collezionista romano, il quale lo indusse a intraprendere una fruttuosa attività commerciale di raccolta e invio a Roma di pezzi archeologici, quadri, manoscritti, che mise il B. in grado di venire a conoscenza sia del patrimonio archeologico della sua città sia della storiografia ad essa relativa. Al progetto, assai presto maturato dal B., della compilazione di una grande storia di Viterbo, devono avere anche contribuito in modo decisivo sia l'esempio di quanto veniva allora facendo l'erudito Francesco Mariani, sia il materiale a lui ceduto dal canonico viterbese M. Scaglioni, sia infine la piena disponibilità del patrimonio archivistico del Comune.
L'Istoria della città di Viterbo, già completata nel biennio 1736-1737, ma poi prolungata sino al 1740, dopo ben dodici anni di ricerche complessive, è composta di due parti, di cui soltanto la prima fu pubblicata (Roma 1742); la seconda parte, rimasta manoscritta e datata 1737, è attualmente conservata nella Biblioteca comunale di Viterbo (sala II C IV, 20). Nella prima parte la trattazione del B., preceduta da un quadro geografico della città e del territorio, è piattamente annalistica e mira unicamente a raccogliere ed esporre il maggior numero possibile di notizie, desunte da ogni categoria di fonti, da quelle archivistiche aquelle cronachistiche (fu lui a rifiutare al Muratori il permesso di pubblicare le più antiche cronache viterbesi, e lo confessa candidamente: Istoria, p. XV), sino alle iscrizioni e alla bibliografia antica e recente. Ma l'erudizione del B. era troppo debole e la storiografia viterbese, in larga parte fondata ancora sui falsi anniani, troppo infida, perché la parte antica (pur riassunta per prudenza in termini brevi) e quella medievale dell'Istoria non ne risultassero largamente inficiate; cosicché nel testo, compilato in un italiano squallido, riaffiorano le pretese favole sulle origini etrusche, la falsa identificazione con Tuscania, la lapide presunta di re Desiderio, e così via; meglio fondate sono naturalmente le sezioni riguardanti il basso Medioevo e l'età moderna, ove il discorso, più fitto e vivace, s'arricchisce di una vasta documentazione di sicura genuinità tratta dall'archivio cittadino, e, col sec. XVIII, della diretta esperienza dell'autore.
La seconda parte della Istoria è costituita da una serie imponente di biografie di uomini illustri viterbesi, distribuite in sei categorie (santità, dignità, lettere, armi, arti, pietà), o anche di personaggi non viterbesi, ma che in Viterbo operarono (e fra questi è compreso anche Leonardo da Vinci); l'arco cronologico interessato, date le premesse poste nella prima parte, è vastissimo, la documentazione assai ampia (vi compaiono anche composizioni poetiche integralmente riportate); ma il tono generale resta stucchevolmente agiografico.
Oltre all'ingenuo campanilismo, il B. contrasse nella sua città un'altra malattia locale, l'etruscomania, che fu alla base di una sua seconda, imponente opera erudita, anch'essa rimasta inedita: i Veterum Etruscorum monumenta in Viterbiensi territorio reperta, conservati nella Biblioteca comunale di Viterbo (sala II C IV, 21).
L'opera consiste praticamente in un catalogo descrittivo di oggetti antichi rinvenuti nel territorio di Viterbo e sbrigativamente considerati tutti etruschi; di ogni oggetto vengono date le misure, la materia, la colorazione, notizie sul luogo di ritrovamento e di conservazione (case private, tabularium cittadino, ecc.) e un accurato disegno a penna; il volume, interamente autografo del B., comprende in tutto centodieci tavole.
Gli interessi del B., che fu in corrispondenza anche con A. F. Gori e con A. G. Capponi, erano vasti e vari, pur se sempre improntati a superficialità e approssimazione. Nel 1729 (Capp. lat. 276, c. 481rv) egli aveva completato una descrizione delle gemme del museo romano Odescalchi, che avrebbe voluto pubblicare, ma che ebbe soltanto limitata diffusione manoscritta; inoltre si dilettava a raccogliere incisioni e disegni di autori antichi, nonché stampati moderni di carattere politico relativi alle vicende dei maggiori Stati europei. Tutto questo materiale deve essere considerato disperso.
Morì in Viterbo il 24 apr. 1741. La prima parte della sua Istoria vide perciò la luce postuma, l'anno appresso la sua morte. Ancora nel 1794 L. de' Medici lamentava con i conservatori del Comune di Viterbo che la seconda parte della maggiore opera del B. fosse rimasta sepolta nell'oblio; ma il suo invito alla pubblicazione non venne accolto.
Fonti e Bibl.: Bibl. Apost. Vat., Capp. lat. 276, 277, 278, 279, 280, 281, passim (vedi G. Salvo-Cozzo, I codici Capponiani della Biblioteca Vaticana, Roma1897, Indice a p. 435); Firenze, Bibl. Marucelliana ms. B VII 6 (due lettere ad A. F. Gori); Viterbo, Bibl. comunale, Misc. II C 1, 36/35 e 36/37 (due lettere del B. al Comune); Ibid., Misc. II C 1, 36/18 (lettera di L. de' Medici); G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 4, Brescia 1763, p. 2461; C. Pinzi, Storia della città di Viterbo, I, Roma 1887, p. XXIV; A. Scriattoli, Viterbo nei suoi monumenti, Roma 1915-20, pp. 439, 440; G. Signorelli, Viterbo nella storia della Chiesa, III, 1, Viterbo 1964, pp. 193 s.; per la falsa lapide di re Desiderio, vedi ora C. Brühl, Studien zu den langobardischen Königsurkunden, Tübingen 1970, pp. 6-7.