FELICE
Vescovo di Lucca nella seconda metà del sec. VII, ci è noto grazie ad una charta cessionis da lui stesso emessa il 20 genn. 685 e ad un diploma del re longobardo Cuniperto del 9 nov. 688. F. è il primo tra gli antichi vescovi di Lucca che emerge con tratti scarni ma sicuri da una serie nebulosa di predecessori (da 21 a 23, secondo le interpretazioni), subito dopo un Leto ed un Eleuterio, ricordati unicamente dalle liste di presenza a due concili antimonoteliti, il Lateranense del 649 e il Romano del 680.
Impossibile dire se F. fu il primo o il secondo vescovo di Lucca di questo nome, poiché il vescovo Felice, che è ricordato tra i partecipanti ad un concilio romano del 465, e nel quale alcuni eruditi hanno voluto vedere un predecessore di F., è in realtà indicato nella tradizione manoscritta con lezioni che oscillano tra "Lucensis", "Lunensis" e "Cumiensis" ed è perciò attribuibile, in mancanza di ulteriori ragguagli, ad una delle tre diverse sedi di Lucca, di Luni e di Cuma: si propende oggi ad assegnarlo alla Chiesa di Luni.
In base all'onomastica si è ipotizzato che F. chiudesse a Lucca la serie dei vescovi romano-italici, ai quali presto sarebbero subentrati vescovi di stirpe longobarda, legati alla classe politica e militare dominante. Si noti, in proposito, la possibilità che per un certo tempo (ancora con F.?) - fino a quando i Longobardi non si convertirono al cattolicesimo - coesistessero affiancate una gerarchia cattolica ed una ariana longobarda. La figura storica di F. ci è consegnata in primo luogo dalla citata charta cessionis del 685 pervenutaci in una copia membranacea del sec. VIII: con essa il presule accordava larghi privilegi al monastero dei Ss. Vincenzo e Frediano, istituzione già allora veneranda, risalendo infatti, a quanto si può ricostruire, all'epoca dello stesso s. Frediano (morto nel 588) o a lui immediatamente posteriore. La profonda penetrazione del monachesimo nell'ambiente lucchese e la "singolare coincidenza" che la più antica carta dell'Archivio arcivescovile riguardi proprio un monastero hanno consentito l'ipotesi che possano reciprocamente illuminarsi e la primitiva organizzazione della diocesi - forse ad impianto monastico sul modello irlandese? - e l'origine insulare di s. Frediano (P. Nanni).
Ciò che risulta dai dati del documento è che F. gratificò il cenobio dei Ss. Vincenzo e Frediano con esenzioni spirituali e materiali di non scarso rilievo se si considera che all'epoca il vescovo aveva piena giurisdizione sulla vita e sui beni dei monasteri. F. operava - durante il regno di Pertarito e Cuniperto - di concerto con l'"illustris" Faulo, identificabile, in base a una congettura paleografica, con un maggiordomo regio, cui il "monasterium" doveva un restauro e ricche donazioni, testimoniate da un precedente atto - andato perduto - del medesimo Faulo. Nel dettare "summa cum dulcidinem" il testo al notaio, il chierico Petronace, F. si faceva solennemente assistere dai presbiteri, dai diaconi e dal clero residenti nella "civitas": questi ultimi erano rappresentati da cinque firmatari, che sottoscrissero dopo il vescovo: l'arcipresbitero Giovannace - il primo arcipresbitero della cattedrale di cui ci sia rimasto ricordo - ed alcuni presbiteri - come si crede - del Senato vescovile del tempo - Claro, Teuderace, Candido e Geminiano -. Nel documento F. si rivolge anzitutto all'abate, Babbino, ed ai monaci, precisando per loro gli obblighi di risiedere nel monastero e di pregare per il protettore Faulo ed i suoi discendenti in cambio dei benefici ricevuti. Dichiara quindi di lasciare in perpetuo all'abate la piena disponibilità sui donativi, impegnandosi a non stornarli "ad aliam ecclesiam aut ad alium sacerdotem". Concede poi un segno di natura spirituale della sua benevolenza, permettendo che i monaci si eleggessero autonomamente i propri abati.
È, questa, una testimonianza che getta luce sull'originaria condizione monastica della vita religiosa in quel S. Frediano più comunemente noto come sede di una canonica di sacerdoti regolari a partire dal 1046. Né dal testo di F. né da altre fonti si deduce tuttavia quale fosse la regola allora seguita dai monaci: in linea puramente ipotetica il Guidi ha pensato a quella benedettina. Analogamente rimane oscuro un riferimento alle reliquie "de ipsum corpus sancrum", che, custodite nel cenobio, erano avocate da F. alla propria esclusiva competenza: si crede, anche qui per mera supposizione, che si trattasse delle reliquie del corpo di s. Frediano.
Nel documento, inoltre, F. prescrive all'abate di partecipare con i suoi monaci alle solenni veglie e richiama l'obbligo, che rispecchiava l'antica consuetudine, di offrire ogni anno al clero cittadino una refezione durante il periodo pasquale, nella settimana "in alba". Per il resto lasciava ai religiosi stabile potestà di autogestirsi, di amministrare tutte le offerte e gli averi mobili ed immobili e di custodire la loro regola "et ordinem sanctum".
Da un praeceptum rilasciato da Cuniperto a conferma dei privilegi del medesimo monastero dei Ss. Vincenzo e Frediano in data 9 nov. 688 (secondo il Brúhl, che corregge il 686 dei precedenti editori), risulta una stretta colleganza tra l'azione svolta dal vescovo e la linea politica del re.
Nel complesso, la chartacessionis del685, il praeceptum diCuniperto del 688 e il deperdito atto dell'illustris Faulo costituiscono un trittico, frammentario e incompleto a causa della mancanza dell'atto di Faulo, ma per larga parte ricomponibile, da cui si possono evincere i tratti della personalità di Felice. Il suo episcopato, ancorabile ai dati cronologici del 20 genn. 685 e del 9 nov. 688 e ad un tessuto di storia politico-ecclesiastica non inesplorata, lascia intravvedere un'azione che non dovette mancare di incisività. Nel rapporto instaurato con i monaci dei Ss. Vincenzo e Frediano, F. rivelò doti di segno diverso, mostrandosi all'altezza di affermare le prerogative vescovili e di mediare, al tempo stesso, le esigenze di autonomia del cenobio, non senza l'accorgimento di coinvolgerlo in precisi compiti di assistenza ai fedeli. Nel rinunciare infatti all'amministrazione del patrimonio ed all'elezione dell'abate a favore dei monacì, egli assegnava loro una pratica di grande peso sociale, la cura cioè delle necessarie elemosine, poiché i donativi, suona il testo, erano fatti tpro opes fidelium". Soprattutto non si lasciava sfuggire di mano un ambito rilevante come il controllo delle sacre reliquie il cui culto aveva forse sollecitato la pietas del maggiordomo longobardo e dei sovrani. Tuttavia, affermando il proprio assoluto diritto sulla distribuzione delle medesime, F., oltre a prevenire qualsiasi disordine potesse generarsi per l'attaccamento popolare alle vestigia miracolose dei santi protettori, garantiva al potere dei vescovo quello che certamente era il punto di forza del prestigio del cenobio e rappresentava, in una Lucca mobilitata dal fervore religioso e liturgico, l'incentivo e l'occasione di intensi momenti di vita cittadina.
Fonti e Bibl.: P. Kehr, Reg. pontif. Rom., Italia pontificia, III: Etruria, Berolini 1908, p. 412; Codice diplomaticolongobardo, I, a cura di L. Schiaparelli, Roma 1929, in Fonti per la storia d'Italia, LXII, n. 1, pp. 16-19;III, 1, a cura di C. Brühl, Ibid. 1973, ibid., LXIV, pp. 26-29; D. Bertini, Dissertazioni sopra la storiaecclesiasticalucchese. Dissertazione quarta. Della serie cronologica dei vescovi e dei principali avvenimenti della Chiesa lucchese nei secoli IV, V e VI, in Memorie e documenti per servire all'istoria del Ducato di Lucca, IV, Lucca 1818, pp. 63 ss., 230 s., Dissertazione quinta. Della serie cronologica ... nei secoli VII e VIII, ibid., pp. 271-298; S. Bongi, Inventario del R. Archivio di Stato in Lucca, IV, Lucca 1888, p. 97; A.Guerra-P. Guidi, Compendio di storia ecclesiastica lucchese dalle origini a tutto il secolo XII, Lucca 1924, pp. 54-58;L. Nanni, La parrocchia studiata nei documenti lucchesi dei sec. VIII-XIII, Roma 1948, pp. 2, 11 P. M. Conti, Luni nell'Alto Medioevo, Padova 1967, p. 7;L. Bertini, Ipotesi per la sistemazione dell'Ordo episcoporum del codice 124 della Bibl. capitolare di Lucca, Pisa 1970;F. Schneider, L'ordinamento pubblico nella Toscana medievale. I fondamenti dell'amministrazione regia in Toscana... (568-1268), a cura di F. Barbolani di Montauto, Firenze 1975, p. 202 n. 67;R. Manselli, La Repubblica di Lucca, in Storia d'Italia (UTET), diretta da G. Galasso, VII, Torino 1987, p. 614; G. Zaccagnini, Vita sancti Fridiani. Contributi di storia e di agiografia lucchese medioevale, Lucca 1989, pp. 31 s., 36 e passim;P. B. Gams, Series episcoporum Ecclesiae catholicae, p. 817.