FELICE
Scarse le notizie relative a questo vescovo di Porto, il cui nome e la cui attività pastorale sono ricordati quasi esclusivamente negli scritti di papa Gregorio I. Sappiamo, grazie a quanto afferma questo pontefice (Dialogorum libri, IV, 52, p. 311), che egli, "in Sabinensi provincia ortus", nella Sabina aveva ricevuto la sua prima educazione. Ignoriamo tuttavia la città in cui vide la luce, il nome dei suoi genitori, l'origine e le condizioni della sua famiglia, la data esatta della sua nascita, che deve comunque porsi intorno alla metà del sec. VI. Ignoriamo altresì quando e dove abbia abbracciato la vita ecclesiastica: non possiamo pertanto indicare la diocesi, del cui clero entrò a far parte, percorse i diversi ordini e completò la sua formazione culturale e religiosa. Quando viene ricordato per la prima volta dalle fonti, nel 590, per un episodio relativo all'azione da lui promossa in occasione dell'epidemia di peste, che desolò in quell'anno l'Italia, egli appare già alla testa dell'importante diocesi suburbicaria di Porto.
La Chiesa di Portus Traiani, fondata, secondo la tradizione, nella prima metà del sec. III da s. Ippolito, estendeva la sua giurisdizione a comprendere anche gli insediamenti urbani di fronte a Roma, sulla riva destra del Tevere (l'attuale Trastevere) e l'isola Licaonia, l'odierna Isola Tiberina. Il suo presule svolgeva un ruolo di particolare importanza, accanto al pontefice, nella gestione degli affari ecclesiastici ed aveva un posto preminente tra i suffraganei della Sede apostolica. Ciò nonostante, la sequenza delle successioni episcopali sulla cattedra di Porto non ci è ben nota. L'ultimo vescovo di Porto, di cui si abbia notizia anteriormente a F., è Casto, di cui si sa che partecipò alle sinodi romane del 501, del 502 e del 504, sotto il pontificato del papa Simmaco.Il 5 luglio 595 F. partecipò alla sinodo regionale convocata dal papa per discutere e deliberare su diversi argomenti di ordine liturgico e disciplinare. L'assemblea, costituita da ventitré vescovi, titolari di sedi direttamente suffraganee di quella romana e da "omnibus, Romanae Ecclesiae presbyteris", si riunì nella basilica vaticana, "coram sacratissimo beati Petri apostoli corpore", sotto la presidenza del pontefice, "adstantibus diaconibus et cuncto clero". Fu lo stesso Gregorio I che promulgò, al termine dei lavori, il "decretum ad clerum in basilica beati Petri", il documento solenne indirizzato alla Chiesa di Roma ed alle sue suffraganee, che conteneva le nuove norme allora stabilite e che fu controfirmato in calce da lui e dagli altri padri sinodali. Tra le sottoscrizioni di questi ultimi appare anche quella di F.: "Felix, episcopus civitatis Portuensis".
A F. Gregorio I indirizzò una lettera e una "cartula donationis", che ci sono state conservate dal Registrum epistolarum di quel papa. La prima (IX, 45), dell'ottobre del 598, non contiene riferimenti personali. Dopo aver comunicato che il "gloriosus" Gregorio, già "praefectus praetorio per Italiam", si proponeva di costruire "propriis sumptibus" una basilica in onore dei martiri ed aveva espresso il desiderio, che gli fossero perciò concesse sante reliquie, il pontefice chiede al presule di voler consentire alla pia petizione, inviando "sanctuaria beatorum Martyrum in diocesis Vestrae locis quiescientium". Il testo della missiva, stringato e formale viene ripetuto in altre lettere che, in quello stesso mese ed allo stesso scopo, il papa inviò ai vescovi di Sorrento. di Terracina, di Napoli, di Nocera, di Ostia e di Formia.
La "cartula donationis" (IX, 98) reca la data del gennaio 599 e si riferisce ad un giovane schiavo di origine sabina e di circa diciotto anni, un certo Giovanni, già appartenuto alla Chiesa romana e già dipendente della massa Flaviana (un'azienda agricola della Sabina), che il papa aveva da tempo donato "iure directo", allo stesso vescovo di Porto. Ben diverso è, rispetto alla lettera del 598, il tono usato da Gregorio I in questa "cartula": più familiare e pieno di affettuosa sollecitudine, nonostante si tratti di uno strumento attestante un'azione giuridica, scritto ed autenticato da un notaio. Nella "narratio", infatti, il papa afferma di essersi indotto al dono grazioso per senso di colpa nei confronti del presule, "Caritatis vestrae gratia provocati", dopo essere venuto a sapere della circostanza che F. non disponeva di aiuti domestici.
F. era ancora attivo nel 601, quando partecipò alla sinodo romana del 601. Dopo questa data le fonti a noi note non fanno più menzione di lui.
Sacerdote di buona cultura, di austeri costumi e di profonda pietà, F., come vescovo di Porto, dovette rappresentare per i suoi contemporanei il modello esemplare del pastore di anime. Come sembra doversi dedurre da alcuni particolari riferiti dalle fonti, egli seguiva personalmente, con paterna sollecitudine i singoli componenti del suo clero e del suo popolo, nell'ansia di promuoverne il progresso religioso e morale e di sostenerli nelle difficoltà della vita. Ma dovette anche avere care la ricerca della solitudine, la pratica dell'ascesi, la meditazione teologica e la riflessione sul problema della catechesi popolare. Da qui l'affetto e la considerazione che dimostra per lui Gregorio I, il quale lo definì "vir vitae venerabilis", lo ebbe certamente tra i suoi familiari e i suoi diretti collaboratori, e lo presentò, nel quarto libro dei Dialogi, come partecipe o autorevole testimone di eventi sovrannaturali, di cui egli, in qualità di pontefice, secondo la mentalità ed i modi pedagogici ed espressivi propri della sua epoca, si serve per trasmettere, rendendole immediatamente comprensibili ai più, alcune delle principali verità di fede sui "Quattro Novissimi" - le quattro realtà ultime, cioè, incontro a cui va, per la teologia cattolica, ogni uomo, nell'economia della provvidenza divina, al termine della sua vita terrena: la morte, il giudizio particolare, il paradiso e l'inferno. Infatti, anche attraverso un episodio straordinario, di cui F. era stato partecipe e che aveva comunicato al papa, Gregorio I insegnava la dottrina secondo cui può accadere che le anime, quando stanno per abbandonare il loro corpo mortale, "aliquando..., per revelationem, futura cognoscunt, aliquando..., divinitus affiatae, in secretis caelestibus incorporeum oculum mentis mittunt" (IV, 27, p. 265). Più avanti, introducendo quella parte dei Dialogi volta a correggere la diffusa credenza che "animabus aliquid prodesse, si mortuorum corpora in ecclesiis fuerint sepulti", proprio con un caso sovrannaturale e terribile, pure comunicatogli da F., Gregorio I esponeva pregiudizialmente la dottrina ortodossa della Chiesa, la quale insegna che, per la salvezza etema, è indispensabile essere morti in grazia di Dio e che pertanto "hii, quibus demissa peccata non fucrint, ad evitandum iudicium sacris locis post mortem adiuvari non valent", non eviteranno il giudizio di condanna anche se i loro corpi, "post mortem" sono stati inumati in luoghi sacri (IV, 58, pp. 311 s.).
Infine, quando approfondiva la dottrina ortodossa sul purgatorio, che insegna l'esistenza di un luogo di pena temporanea, in cui le anime dei defunti in peccato veniale o con qualche debito di pena vengono purificate e rese degne della visione di Dio, il papa iniziava la sua esposizione proprio con un altro episodio sovrannaturale pure riferitogli da F., episodio attraverso il quale spiegava e giustificava la dottrina del "suffragio", per la quale i fedeli hanno la possibilità di soccorrere e, anche, di liberare le anime dei morti dalle pene del purgatorio grazie alle preghiere, alle opere buone e, soprattutto, alle messe fatte celebrare con quella intenzione (IV, 59, pp. 315 ss.).
Non sembra possibile convenire con la letteratura storica, che, accogliendo l'ipotesi avanzata dal Saba nel 1929, identifica in genere in F. quel vescovo FELICE ricordato in alcune lettere di Gregorio I del 594 e del 595 (Reg. epistolarum, IV, 23-27; V, 2 e 28), del quale sappiamo che, anteriormente al maggio del 594, ricevette il compito di amministrare - insieme con un Ciriaco, inizialmente qualificato come "servus Dei" e in seguito come "abbas" - una delicata missione in Sardegna. Non è dato di stabilire a quale sede fosse preposto questo omonimo di F., dato che viene sempre ricordato dal papa solo con i generici appellativi di "frater et coepiscopus", di "episcopus", o con la locuzione altrettanto vaga di "umis ex Italiae episcopis", e sempre senza indicazione della diocesi, di cui egli era il presule. Ciò contrasta con la prassi seguita da Gregorio I quando si indirizza a F., quale essa risulta dal suo epistolario. Inoltre nelle lettere in cui si parla della missione svolta in Sardegna da questo vescovo di ignota sede, non si trovano riscontri che servano a collegarlo con il vescovo di Porto suo contemporaneo - a parte, ovviamente, l'identità del nome. Quest'ultimo, però, non è elemento decisivo: almeno altri quattro vescovi italiani di nome Felice risultano attivi, oltre a F., in quello scorcio del sec. VI.
Scopo della missione, che il vescovo omonimo di F. doveva svolgere in Sardegna, era quello di accertare la situazione generale dell'isola sia dal punto di vista sociale sia dal punto di vista ecclesiastico e religioso. Secondo quanto è dato ricavare dall'epistolario di Gregorio I, inoltre, Felice, dopo l'assoggettamento dei Barbaricini ad opera del duca di Sardegna Zabarda, ricevette dal papa l'altro e forse più impegnativo incarico di promuovere l'evangelizzazione di quelle genti ancora pagane, che i Vandali avevano espulso dall'Africa settentrionale e che si erano stanziate sulle montagne della Barbagia, intorno a Cagliari (Procopii Caesarensis De bello Vandalico, II, 13). Di lui e di questa sua nuova missione così scriveva il pontefice nella lettera indirizzata, il 1º giugno 595, all'imperatrice Costantina: "multos gentilium ad Fidem - Deo cooperante - perduxit" (Reg. epist., V, 38, p. 324).
Fonti e Bibl.: Gregorii papae IRegistrum epistolarum, V, 57, IX, 45; IX, 98, in Mon. Germ. Hist., Epistolae, a cura di P. Ewald-L.M. Hartmann, Berolini 1887-1899, I, pp. 362 ss.; II, pp. 72 s., 107 s.; Eiusd. Dialogorum libri IV, a cura di U. Moricca, in Fonti per la storia d'Italia... Medio Evo, LVIII, Roma 1924, pp. 267 s., 311 s., 315 ss.; I. Palazzi, Fasti cardinalium..., I, Venetiis 1703, p. 27; F. Ughelli-N. Coleti, Italia sacra..., I, Venetiis 1717, col. 111; E. Argiolas, La Sardegna al sec. VI ed il pontificato di s. Gregorio Magno ..., Roma 1904, pp. 242-246; A. Saba, IlPontificato romano e la Sardegna medievale, I, Roma 1929, pp. 3 s.; F. Lanzoni, Le diocesi d'Italia dalle origini al principio del sec. VI (a. 604), Firenze 1927, p. 117; G. Braga, Ciriaco, in Diz. biogr. degli Ital., XXV, Roma 1981, pp. 785 s.; J. Richards, Il console di Dio. La vita e i tempi di Gregorio Magno, Firenze 1984, pp. 119 s., 174, 345-348; P. F. Kehr, Italia pontificia, II, p. 18, n. 1; X, pp. 374 s., nn. *6-10; 410, n. 7.