VENEZIAN, Felice
– Nacque a Trieste il 3 agosto 1851 da Samuel Vita, agente di commercio, e da Amalia Heymann, in una famiglia benestante di religione ebraica. Aveva una sorella, Elvira, nata nel 1849 e, ancora bambino, rimase orfano di padre.
La fede irredentista lo assorbì già nell’ambito familiare: era nipote di Giacomo Venezian, nel 1849 tra i difensori della Repubblica Romana, morto in seguito alle ferite riportate nell’assalto a villa Barberini; il cugino Giacomo Venezian jr. (v. la voce in questo Dizionario) venne arrestato da studente nel 1878 per alto tradimento e riparò poi da Trieste in Italia, dove continuò l’attività di sostegno al movimento irredentista.
Adolescente frequentò il Talmud Torah, studiò al ginnasio tedesco e poi in quello italiano, appena costituito (1863); aderì fin da giovane alla massoneria e si iscrisse a giurisprudenza presso l’Università di Innsbruck, dove entrò in contatto con altri patrioti suoi coetanei.
In quegli anni apprese la stenografia con il sistema Gabelsberger-Noë, partecipando nel 1869 alla fondazione della prima Società stenografica italiana e nel 1870 presso l’Università di Innsbruck conseguì l’abilitazione all’insegnamento di quella disciplina. Si laureò in legge nel 1872.
Sposò a Trieste, il 21 settembre 1878, Iole Emma Maffei (1860-1945) con la quale ebbe due figli: Adelmo, nato nel 1879 e morto bambino, e Fabio (nato nel 1887).
Nel 1882 risulta iscritto al secondo corpo elettorale della città di Trieste come avvocato. Aderì al Partito nazional-liberale e nel 1882 venne eletto nel Consiglio comunale, dove rimase per venticinque anni diventando nel frattempo il capo indiscusso del suo Partito e del movimento irredentista triestino e adriatico.
Venezian fu dunque tra le personalità più significative di un nuovo gruppo dirigente che agì in un contesto internazionale critico verso il movimento irredentista e segnato dall’entrata dell’Italia nella triplice Alleanza.
A Trieste l’irredentismo si caratterizzò per una significativa componente massonica e per un’impronta nazionalista fortemente antislava contrapposta alla crescente immigrazione di sloveni e croati. La difesa dell’italianità divenne tutt’uno con l’egemonia esercitata dalla borghesia liberale nel governo della città e si articolò su più fronti, alternando momenti di lotta aperta a tattiche più sottilmente politiche: bisognava cercare di mettere sempre in scacco il governo, ma contemporaneamente non compromettere lo sviluppo mercantile e imprenditoriale, non impedire lo sviluppo del porto, riuscire a strappare «al bilancio dello Stato tutti i milioni necessari alle mille e mille esigenze dell’emporio, conciliare il culto degli ideali con la cura degli interessi pratici» (Tamaro, 1924, p. 504).
Di carattere imperioso e intransigente, Venezian affermò la sua autorità innanzitutto nella cerchia dell’élite politica triestina, attirandosi l’appellativo di ‘duce’. Fu strenuo sostenitore – anche con accenti strumentali e propagandistici – della centralità della questione scolastica e della battaglia per la costituzione di un’università italiana a Trieste, i principali temi attorno ai quali si compattò nel suo insieme la borghesia triestina. Nel 1883 divenne presidente della Società ginnastica e nel 1885 fondò la società Pro Patria, tramite la quale si propose di costituire un baluardo culturale e politico allo Schulverein, l’associazione pangermanista che sosteneva la diffusione delle scuole tedesche nei territori di lingua italiana dell’Impero; la Pro Patria venne sciolta dal governo nel 1890, ma l’attività proseguì con l’istituzione, nello stesso anno, della Lega nazionale.
Nei suoi interventi in Consiglio comunale si distinse per l’opposizione al radicamento in città del gruppo slavo e al tentativo di istituire asili e scuole in lingua slava nei quartieri di più forte immigrazione. Fece parte dell’area socialmente conservatrice del movimento irredentista e vide nel progressivo allargamento della base elettorale e nella crescita del movimento socialista una minaccia per gli equilibri conquistati dall’élite liberale nel tessuto economico, culturale e politico della città.
Nel 1894 creò la loggia massonica Alpi Giulie, con il proposito di farne un luogo propizio al consolidamento di legami e amicizie personali che aiutassero a superare le divergenze tra le componenti moderate e quelle mazziniane-democratiche del patriottismo triestino, minacciato da conflitti divisivi: «Ecco perché nel fondare la loggia mi valsi di elementi presi ad arte tanto fra le persone determinanti, che fra il rumoreggiante gruppetto dei cosiddetti radicali» (Levi, 2006, p. 167). La loggia divenne centro di ogni cospirazione anti austriaca e dell’organizzazione del partito liberale: con Venezian «l’irredentismo entra nel programma della massoneria italiana: fatto notevole, che preludeva alla campagna interventista nella quale l’istituzione avrebbe impegnato ogni sforzo negli anni seguenti» (Gratton, 1987, p. 24).
Fu unito da una lunga amicizia a Ernesto Nathan, che conobbe a Venezia nell’agosto del 1892 durante un congresso della società Dante Alighieri; in lui trovò un appoggio prezioso, ideale e materiale, per sostenere in Italia la causa delle terre irredente: «tu sei il solo – m’intendi il solo – nel quale io riponga completa fiducia, il solo che mi s’imponga per superiorità da me riconosciuta. Ma intorno a te è tutto un deserto di parolai, di dilettanti di governo, di egoisti e di vigliacchi [...] c’è tuttavia – per virtù tua – un centro nel quale io fondo molte speranze: ed è la Massoneria» (Levi, 2006, p. 157). I due intrattennero un ampio carteggio, che testimonia del lavorio clandestino volto sia a mantenere viva la coscienza nazionale, a reperire i fondi necessari al movimento, a generare un flusso di informazioni fra Trieste e i rappresentanti delle istituzioni italiane, sia a preparare il terreno in vista di eventuali scosse nei rapporti internazionali che rendessero possibile e giustificabile una prospettiva insurrezionale.
Dopo la riforma elettorale del 1896, che in Austria introdusse la quinta curia a suffragio universale maschile, guidò il partito nella scelta di abbandonare la tattica dell’astensione elettorale in favore della partecipazione alle elezioni politiche e fu il principale artefice dell’elezione di Attilio Hortis e di altri cinque deputati liberali al Parlamento di Vienna nel marzo del 1897. Nello stesso anno il partito filoaustriaco fu sconfitto anche nelle elezioni municipali e il Comune divenne il centro propulsore della difesa dell’italianità.
Già nel 1885 Venezian aveva reciso i legami religiosi con la comunità israelita, da tempo ben integrata nella società triestina, così come fecero altri dirigenti ebraici del movimento liberal-nazionale, tra i quali l’amico Teodoro Mayer, direttore del quotidiano Il Piccolo; fu una sconfessione a scopo politico che non significò il disconoscimento delle proprie origini e tradizioni, una scelta legata alla militanza e alla volontà di affermare una sola fede, quella nell’Italia laica e liberale. Quando negli anni tra i due secoli si moltiplicarono, sulla stampa e in manifestazioni pubbliche, gli episodi di antisemitismo, Venezian rivendicò le sue radici ebraiche, come fece ad esempio nella seduta consiliare del 29 ottobre 1896: «Quantunque io abbia pubblicamente e ufficialmente abiurato la religione dei miei vecchi, pure non mi offende se mi si chiama ebreo e ciò per l’onore in cui tengo i miei maggiori, che furono uomini rispettabilissimi e degni di ogni estimazione» (Cusin - De Filippo, 1991, p. 425).
Ritenne tuttavia che spettasse ai socialisti il compito di fronteggiare e combattere apertamente una propaganda antisemita che colpiva sia questi ultimi sia i protagonisti dell’irredentismo. Come scrisse a Nathan «il sorgente antisemitismo triestino significa la guerra mossa a me da tutti gli elementi che o non vogliono subire la mia persona, o, peggio, non vogliono l’idea che reputano impersonata in me. Il socialismo è il solo partito che possa distruggere la lue antisemitica – fenomeno nato dall’invidia e dalla gelosia. Ma per la causa nostra, meglio non ricorrere a tale alleanza. E il socialismo a Trieste significa lento lavorio di distruzione della coscienza italiana» (Catalan, 1997, p. 354).
Nel 1901 Venezian venne chiamato a far parte della giunta del Grande Oriente massonico, incarico che accettò malgrado le preoccupazioni che potesse distoglierlo alla sua attività a Trieste.
Nonostante la stanchezza e la malattia che negli ultimi anni piegarono le sue forze, continuò ad adoperarsi per la causa irredentista e a tessere le relazioni tra patrioti ‘regnicoli’ e irredenti, alternando momenti di speranza a momenti di grande sconforto; «non essere sfiduciato dell’avvenire» scrisse a Nathan nell’agosto del 1904, «gli uomini attualmente al Governo saranno trascinati dalla necessità a curare gli ideali della patria. Ci penserà l’Austria [...] Giolitti può non pensarci; Bissolati può non volerlo: e la guerra tra tre o quattro anni ci sarà ugualmente» (Levi, 2006, pp. 193 s.). Le elezioni politiche del maggio del 1907, le prime a suffragio universale maschile, a Trieste si tennero in un clima di grande tensione e disordini di piazza; i socialisti si affermarono nei collegi a prevalenza operaia e in quelli rurali prevalse il candidato slavo, mentre in città i liberali andarono al ballottaggio con i socialisti. Venezian, colpito anche personalmente dalla sconfitta, decise per l’astensione: «L’ingiustizia da noi subita non tarderà a essere espiata dai soverchiatori e da chi lor presta mano: a noi altri doveri incombono, altre speranze risplendono, lungi dal parlamento di Vienna» (Tamaro, 1924, p. 552).
In una delle ultime lettere pregò Nathan, come sindaco di Roma, di recuperare e conservare una lapide che ricordava il primo luogo di sepoltura dello zio Giacomo Venezian al cimitero dell’Aventino.
Morì l’11 settembre 1908 e fu sepolto con onoranze solenni, avvolto nel tricolore.
La sua scomparsa fu commemorata a palazzo Giustiniani, sede del Grande Oriente d’Italia, da Achille Levi, che in quell’occasione attaccò apertamente la Triplice alleanza come un vulnus nei confronti di tutto il popolo italiano.
Fonti e Bibl.: E. Rivalta, Mentre il tempo matura. Commemorazione di eroi, Bologna 1918, passim; A. Tamaro, Storia di Trieste, Roma 1924, passim; S. Gratton, Trieste segreta, Trieste 1987, ad ind.; E. Apih, Trieste, Roma-Bari 1988, ad ind.; A. Millo, L’elite del potere a Trieste. Una biografia collettiva 1891-1938, Milano 1989, ad ind.; S.G. Cusin - G. De Filippo, Nucleo ebraico e società triestina tra il 1850 e il 1900, in Il mondo ebraico, a cura di G. Todeschini - P.C. Ioly Zorattini, Pordenone 1991, pp. 402-429; T. Catalan, Una scelta difficile: gli ebrei triestini fra identità ebraica e identità nazionale (1848-1914), in Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento, XXIII (1997), pp. 335-357; F. Conti, Storia della massoneria italiana. Dal Risorgimento al fascismo, Bologna 2003; A. Levi, Ricordi della vita e dei tempi di Ernesto Nathan, a cura di A. Bocchi, Pisa 2006.