TANCREDI, Felice
– Nacque a Massa Marittima nel 1335, ma il luogo, la data di nascita e la sua discendenza non risultano attestati con certezza assoluta.
I manoscritti dell’Archivio di Stato di Siena compilati da Antonio Sestigiani riportano scarne notizie su alcuni personaggi illustri della famiglia, tra i quali sono menzionati il solo beato Tancredi di Giovanni, nato nel 1185 e appartenente all’Ordine domenicano, e lo stesso fra Felice dell’Ordine agostiniano. Da altra fonte si apprende, tuttavia, che Massa fu la località di origine della famiglia e un suo esponente – Pietro di Tancredo – fu accolto tra il 1349 e la seconda metà del XIV secolo nel Supremo magistrato della Repubblica di Siena. I Tancredi fecero in seguito parte del Monte dei nove, possedettero i castelli di Scarlino e di Colonna, oltre a detenere la signoria di Terra Rossa in Maremma. Secondo l’erudito senese Antonio Aurieri, la famiglia di Felice edificò a Siena la torre in Camporegio, che in seguito fu trasformata nel campanile di S. Domenico, chiesa che ebbe altare e sepolcro dei Tancredi.
Tancredi fece in giovane età il suo ingresso come novizio nel convento agostiniano di Massa, dove compì i primi studi. Dal 1356 la sua formazione religiosa proseguì presso l’eremo di Lecceto, il più famoso e mistico degli eremi agostiniani, così chiamato per il folto bosco di lecci che lo contornava e situato nei dintorni di Siena. A Lecceto egli trascorse molti anni della sua vita, nel corso della quale si distinse per modestia, carità cristiana e integrità morale, tanto da essere raffigurato in un affresco del chiostro leccetano insieme ad altri beati dell’Ordine.
Dopo i primi due anni di formazione, il 20 settembre 1358 Tancredi fu chiamato nello Studio agostiniano di Verona dal principale lettore, padre Marco da Piombino, ma non vi si recò, dal momento che il 21 ottobre di quell’anno la disposizione venne revocata e fu fissata la sua nuova destinazione, quale studente nel convento fiorentino. Restò nella città toscana fino al 2 settembre 1359, quando l’allora generale dell’Ordine, padre Matteo da Ascoli, lo volle studente «in loco nostro de Padua de nostra gratia speciali» (D.A. Perini, La fanciullezza di Gesù. Poema inedito..., 1927, p. 13). In seguito visse prevalentemente a Lecceto e, per brevi periodi, anche a Siena.
Mentre si trovava nell’eremo agostiniano, fra Felice ebbe l’opportunità di conoscere Caterina Benincasa e tra il 1374 e il 1375 si unì al gruppo dei suoi discepoli.
Nel 1376 il contrasto sorto tra il pontefice Gregorio XI e la Repubblica di Firenze persuase Caterina a intraprendere il viaggio verso la sede apostolica di Avignone, dove fu preceduta da Tancredi e da altri due confratelli – l’autorevole fra Raimondo da Capua e fra Giovanni Tantucci – appositamente inviati per convincere il pontefice a concedere un’udienza alla mistica senese.
Benincasa desiderava favorire la pace tra il papa e i fiorentini, ma, soprattutto, ambiva a riportare a Roma la Sede apostolica; giunse, pertanto, ad Avignone il 18 giugno 1376 insieme a un gruppo di discepoli che vi soggiornarono fino all’autunno. Tale gruppo annoverò Tancredi e i già citati fra Raimondo e fra Giovanni Tantucci, cui si unirono anche Niccolò di Mino Cicerchia e Neri di Landoccio Pagliaresi.
Caterina e i suoi discepoli lasciarono ben presto Avignone, essendo ella riuscita a convincere papa Gregorio XI a riportare la Sede apostolica a Roma e arrivarono a Varazze il 3 ottobre 1376, da dove si spostarono verso Genova, ospiti di Orietta Scotti. Non è dato sapere se fra Felice fosse tra coloro che contrassero la peste e rischiarono di morire, ma essi, comunque, se pure si ammalarono, guarirono completamente e in breve tempo, tanto da poter giungere a Pisa intorno agli ultimi giorni di novembre. Tra la fine di dicembre e la prima decade del gennaio 1377 il gruppo fece rientro a Siena.
Da quel momento la vita di fra Felice trascorse nell’eremo di Lecceto, dove si dedicò alla preghiera, alla contemplazione e alla stesura dell’unico poema che gli viene attribuito, La fanciullezza di Gesù. Al periodo immediatamente successivo al ritorno dalla Francia risale probabilmente anche l’epistola che gli indirizzò Caterina di contenuto essenzialmente spirituale e tale da attestare «la prosecuzione di un’affettuosa consuetudine, ravvivata probabilmente da qualche incontro» (Cantari religiosi senesi del Trecento, a cura di G. Varanini, 1965, p. 487). Nella sua lettera Caterina espresse il desiderio di vedere fra Felice «fondato in vera e perfetta umiltà» (R. Fawtier, Sainte Catherine de Sienne, II, 1930, p. 214), oltre che impegnato a rendere più intensa la sua fede e quella dei confratelli, a conferma della stima che la mistica senese nutriva per Tancredi, ritenuto discepolo autorevole e devoto.
Le ottave che, in numero di 448, formano il poema di fra Felice traggono per lo più origine dalle Meditazioni della vita di Cristo, opera in prosa di autore ignoto. Tuttavia, le strofe dovevano essere, secondo le intenzioni di Tancredi, molte di più, poiché egli si era proposto di narrare tutta la vita di Gesù. Un’annotazione, vergata dal copista del manoscritto che si conserva presso il Museo Correr di Venezia e inserita dopo l’ultima ottava della Fanciullezza (c. 64v), ci informa che il racconto si interruppe all’episodio della tentazione di Gesù nel deserto a causa dell’improvvisa morte di fra Felice: «Da quinci adietro fece frate Felice da Massa de frati remitani di Sancto Agustino. Non trasse al fine l’uopera per che fo privato da la morte» (Cantari religiosi senesi del Trecento, 1965, p. 489). Tale postilla indica, pertanto, con estrema chiarezza che il titolo del poema non è originale, poiché la descrizione della vita del Cristo va ben oltre la sua fanciullezza, e che la composizione fu opera senza alcun dubbio dello stesso Felice, il quale la elaborò tra il 1380 e il 1385, ma senza la possibilità di completarne la stesura e perfezionare il testo.
Il poema sulla Fanciullezza evidenzia alcune qualità letterarie del suo autore, pur risultando carenti «l’intensità drammatica e la salda struttura narrativa» (Cantari religiosi senesi del Trecento, cit., p. 493) che, viceversa, possono essere apprezzate nella Passione e nella Risurrezione del confratello Niccolò di Mino Cicerchia. L’opera poetica di fra Felice è, infatti, ritenuta abbastanza prolissa, a tratti anche monotona, incapace di far risaltare adeguatamente alcune vicende narrative; ciò nonostante una parte della critica letteraria ha apprezzato Tancredi per le sue capacità di verseggiatore, che lasciano trasparire un livello culturale elevato, in grado di organizzare una buona struttura poetica e di dare regolarità ai costrutti.
È comunque certo che La fanciullezza non raggiunse quella notorietà che poterono vantare altri poemi coevi, appartenenti al medesimo genere letterario: se ne trae conferma dallo scarso numero di manoscritti – soltanto tre – che sono stati tramandati, vale a dire il 1930 (numerazione antica 2336) del Museo Correr di Venezia, l’Urb. Lat. 791 della Biblioteca apostolica Vaticana e il 157 della Biblioteca universitaria di Bologna.
Tancredi morì e fu sepolto a Lecceto il 22 settembre 1385.
Nel complesso, egli è dunque ritenuto dalla critica una figura minore nell’ambito della letteratura religiosa del Trecento, benché non sia collocato «fra gli ultimi poeti del suo secolo» (Cantari religiosi senesi del Trecento, cit., p. 493). Come discepolo di Caterina Benincasa fu, parimenti, una figura di spicco e con un ruolo ben definito, ma non di primissimo piano.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Siena, Manoscritti, A 12, cc. 190-191, A 15, cc. 170rv, A 30III, c. 227; D.A. Perini, La fanciullezza di Gesù. Poema inedito del secolo XIV di Fr. Felice da Massa agostiniano, Firenze 1927; R. Fawtier, Sainte Catherine de Sienne. Essai de critique des sources, I, Les sources hagiographiques, Paris 1921, II, Les œuvres de Sainte Catherine de Sienne, Paris 1930; Fontes vitae S. Catharinae senensis Historici. Il processo Castellano, a cura di M.H. Laurent, IX, Milano 1942, pp. 88 e 335; Cantari religiosi senesi del Trecento. Neri Pagliaresi - Fra F. T. da Massa - Niccolò Cicerchia, a cura di G. Varanini, Bari 1965, pp. 483-536; Thomas Antonii de Senis «Caffarini» Libellus de supplemento Legende prolixe virginis beate Catherine de Senis, a cura di I. Cavallini - I. Foralosso, Roma 1974, p. 387.
A.C. de Romanis, Santa Caterina da Siena e gli Eremitani di Sant’Agostino, in Bollettino storico agostiniano, XXIV (1948), pp. 3-12, 48-55, XXV (1949), pp. 10-15, XXVI (1950), pp. 17-19; K. Walsh, Papal policy and local reform. a. The beginning of the Augustinian observance in Tuscany, in Römische Historische Mitteilungen, XXI (1979), pp. 35-57, b. Congregatio Ilicetana: The augustinian observant movement in Tuscany and the humanist ideal, ibid., XXII (1980), pp. 105-145; K. Walsh, The Augustinian Observance in Siena in the age of S. Caterina and S. Bernardino, in Atti del Simposio internazionale cateriniano-bernardiniano... Siena 1980, a cura di D. Maffei - P. Nardi, Siena 1982, pp. 939-950; Lecceto e gli eremi agostiniani in terra di Siena, Milano 1990; B. Hackett, William Flete, o.s.a., and Catherine of Siena. Masters of fourteenth century spirituality, con prefazione di F. Martin, a cura di J. Rotelle, Villanova 1992, p. 68; M. Sensi, Caterina da Siena e gli eremiti dell’Italia centrale, in Virgo digna coelo. Caterina e la sua eredità. Raccolta di studi in occasione del 550° anniversario della canonizzazione di santa Caterina da Siena (1461-2011), a cura di A. Bartolomei Romagnoli - L. Cinelli - P. Piatti, Città del Vaticano 2013, pp. 257-289.