SCIFONI, Felice
– Nacque a Roma il 21 settembre 1802 da Giacomo e da Caterina Labusier.
Per volere del padre, notaio capitolino, Felice ricevette la prima istruzione in casa, per essere poi avviato agli studi universitari in diritto. Nonostante fosse destinato a ereditare l’ufficio notarile paterno, fin da giovane mostrò un grande interesse per le lettere. La passione per il teatro e per le opere di Vittorio Alfieri lo spinse a scrivere, tra il 1826 e il 1829, la tragedia Pandolfo Collenuccio, che a Roma ebbe un certo riscontro di pubblico.
Durante gli anni universitari, nel fervore cospirativo dei primi anni Venti, si avvicinò al mondo della carboneria, cui presto aderì. Inserito nei circoli letterari romani, come l’Accademia Tiberina, poté coltivare l’amore per le lettere e i sentimenti liberal-patriottici, che ebbe però cura di tenere nascosti alla famiglia. Nonostante fosse poco interessato alla carriera notarile, non deluse le aspettative del padre e intorno al 1827 cominciò a lavorare nello studio di famiglia.
Allo scoppio dei moti rivoluzionari del 1830-31, partecipò ai vari progetti insurrezionali intrapresi a Roma, e dopo il fallimento del tentativo di piazza Colonna, nel febbraio del 1831, Scifoni, che probabilmente già occupava una posizione di rilievo all’interno della carboneria romana, assunse un ruolo sempre più centrale all’interno dell’universo liberale.
Soffocato il moto, non passò molto tempo prima che venisse arrestato; il 27 agosto 1831 fu portato a Castel Sant’Angelo, per essere immediatamente trasferito nel forte di Civita Castellana. Le autorità pontificie riconobbero nel notaio romano uno dei capi delle agitazioni nella capitale e lo condannarono a dieci anni di carcere. Nel 1836 aveva già scontato cinque anni, quando gli venne offerta la possibilità di commutare il carcere in esilio, in Brasile.
Prima di partire per il Sudamerica gli fu concesso di tornare a Roma per sistemare i suoi affari e in quella circostanza sposò la pittrice Idda Botti. Con lei partì per l’esilio, ma arrivato a Livorno, anziché imbarcarsi fece in modo di restare in Toscana stabilendosi a Firenze.
Nonostante i continui controlli della polizia e le ristrettezze economiche, i coniugi Scifoni riuscirono, dopo qualche anno, a stabilizzare la loro situazione: Idda si dedicò alla pittura, realizzando opere su commissione e divenendo poi insegnante privata della principessa Matilde Bonaparte; Felice, nient’affatto interessato a riprendere la detestata attività notarile, si consacrò al lavoro intellettuale, collaborando con l’editore toscano David Passigli.
In quel periodo si distinse per opere di grande erudizione come una traduzione commentata del Lelio o dell’amicizia di Cicerone, e il Dizionario biografico universale, la cui compilazione lo impegnò per diversi anni fra il 1840 e il 1849.
Alla gioia della nascita del figlio Anatolio nel 1842, seguì due anni dopo il dolore per la perdita della moglie.
Nel periodo dell’esilio toscano, come lui stesso avrebbe ricordato in un testo di memorie, intitolato Rimembranze, scritto negli anni Settanta, smise di dedicarsi attivamente alla politica, complice il clima di apertura del Granducato, ma rimase comunque in contatto con molti patrioti, tra cui Enrico Mayer e Pietro Sterbini. Già su posizioni repubblicane, fu forse in quel periodo che si allontanò dalla carboneria per avvicinarsi a Giuseppe Mazzini.
Nel 1847, in seguito all’editto di perdono emanato da Pio IX nei confronti dei condannati per reati politici, tornò a Roma con il figlio, e qui incominciò un nuovo periodo di attivismo politico. Si inserì negli ambienti più progressisti, come il Circolo popolare, e fu membro della guardia civica, all’interno della quale assunse il grado di ufficiale. Dal luglio del 1848 cominciò inoltre a lavorare come minutante nella segreteria del Comune di Roma.
In qualità di segretario del Circolo popolare romano svolse un ruolo di primo piano nella critica fase di passaggio che seguì alla morte di Pellegrino Rossi e che portò alla convocazione dei comizi per l’elezione dell’Assemblea costituente a suffragio universale maschile. Nel gennaio del 1849 prese parte, con Giuseppe Gabussi, Carlo Arduini e altri esponenti di area repubblicana, alla commissione incaricata dal ministro dell’Interno Carlo Armellini di organizzare le elezioni per il collegio di Roma.
Alle elezioni del 21 e 22 gennaio, Scifoni risultò eletto alla Costituente con 9859 suffragi nel collegio elettorale di Roma, e votò a favore della Repubblica nella seduta dell’8 febbraio. Frequentò assiduamente le sedute dell’Assemblea, ma intervenne solo sporadicamente nei dibattiti. Nell’aprile del 1849 fu eletto consigliere del Comune di Roma, incarico che preferiva a quello in Assemblea, percependolo come più vicino alla cittadinanza.
Durante l’assedio di Roma da parte dell’esercito francese, fu designato dalla Costituente a presiedere le operazioni di difesa nel rione Monti. Ultimo atto di Scifoni come deputato fu la sottoscrizione dell’atto di protesta contro l’invasione transalpina, mentre in qualità di consigliere comunale fece parte della commissione municipale che trattò le condizioni della resa con il generale Nicolas-Charles Oudinot.
Nel luglio del 1849 riprese, dunque, la via dell’esilio, recandosi in Francia. Con lui viaggiarono anche altri protagonisti dell’esperienza rivoluzionaria romana, come Francesco Sturbinetti e Luigi Pianciani.
Spostatosi ormai su posizioni apertamente mazziniane, continuò anche in esilio a interessarsi della lotta per l’indipendenza italiana ma, arrivato in Francia, i suoi sforzi si concentrarono soprattutto sulla ricerca di un impiego che gli permettesse di mantenere sé e il figlio, rimasto a Roma, presso la famiglia Botti.
Grazie all’aiuto di personaggi influenti, come la principessa Matilde Bonaparte e madame Hortense Cornu, nel 1850 ottenne un incarico di viceconomo presso il liceo di Vendôme. Nonostante la sistemazione risultasse molto vantaggiosa, Scifoni decise di lasciare l’incarico quando, nel 1852, Napoleone III impose il giuramento politico a tutti gli impiegati pubblici. Il patriota romano, già ideologicamente contrario alla forma del giuramento politico, come aveva avuto modo di esprimere all’interno della Costituente, trovò inammissibile giurare fedeltà all’uomo che aveva distrutto il sogno repubblicano a Roma. Tornato a Parigi, affrontò un periodo di grandi difficoltà economiche, che riuscì a superare grazie all’aiuto degli amici e a qualche lavoro in ambito editoriale, come quello offertogli dall’editore torinese Maurizio Guigoni, per la compilazione di una Storia delle arti del disegno in Italia. Anche se il volume non vide mai la luce, ottenne da Guigoni un lavoro come collaboratore nella sua casa editrice, che gli permise finalmente di tornare in Italia.
A Torino poté richiamare a sé il figlio, avviandolo agli studi di arte, secondo i desideri del ragazzo, e aderì, nel 1854, alla Società dell’emigrazione italiana, all’interno della quale operavano anche altri ex colleghi della Costituente romana, come Ariodante Fabretti e Ottavio Coletti.
Fedele al credo repubblicano, non condivise l’entusiasmo di molti suoi compagni d’esilio per l’iniziativa del Piemonte contro l’Austria nel 1859, giudicandola una guerra dinastica, lontana dall’interesse nazionale e dai valori del 1848-49. Nello stesso anno si espresse pubblicamente contro il potere temporale del papa in un opuscolo intitolato Roma e il Pontificato romano (Torino 1859), con cui rispondeva allo scritto di Niccolò Tommaseo Il papa e l’imperatore (s.l. 1859).
A Torino ebbe anche modo di avvicinarsi alle teorie del magnetismo e dello spiritismo, in voga in quegli anni in Europa.
Nel 1868 si trasferì in Toscana per avere maggiori opportunità lavorative nel campo dell’insegnamento privato; si trovava bloccato a Firenze, per via di una grave forma di artrite, quando, nel settembre del 1870, a Roma cadde il governo pontificio. Ne ricevette notizie dettagliate dal figlio, che lo invitava a tornare nella città natia, dove oltretutto un comizio all’anfiteatro Flavio l’aveva eletto tra i membri della giunta comunale provvisoria, elezione poi annullata dal generale Raffaele Cadorna.
Riuscì a rientrare a Roma alla fine di settembre del 1870, e il 2 ottobre partecipò al plebiscito di annessione al Regno d’Italia; votò a favore, considerando la monarchia sabauda preferibile al governo del papa.
Poco dopo il suo rientro a Roma venne reintegrato nel suo vecchio incarico di computista al Municipio; trasferito poi alla sezione Istruzione pubblica, nel 1873 fu nominato presso la biblioteca del Municipio, mantenendo l’incarico fino alla morte, avvenuta nella capitale italiana il 6 febbraio 1883.
Opere. Il riconoscimento felice. Farsa per musica a sei voci di Felice Scifoni romano, Roma 1821; Biografia di Luigi Vestri, Firenze 1841; Biografia di Francesco Ferruccio, Firenze 1847; Degli asili aperti all’infanzia e particolarmente di quei di Firenze, Firenze 1847; Appendice al dizionario di geografia universale, Torino 1860; Memorie. Dei più antichi monumenti dell’arte e della civiltà nell’Italia, in Il Politecnico, XV (1862), pp. 259-268; Specchio statistico rappresentante la bilancia politica del globo nel 1862, Torino 1862; Lo Spiritismo, Torino 1866; Storia dell’Italia antica fino alla fine della Repubblica Romana, I, Letture popolari, Firenze 1871.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Roma, Tribunale della sacra consulta, b. 112, Causa contro F. S. (ristretto processuale); Archivio Luigi Pianciani, b. 44; Miscellanea di carte politiche e riservate, b. 88; Roma, Archivio storico diocesano, parrocchia di S. Nicola in carcere, Battesimi, anno 1802; Museo centrale del Risorgimento, Manoscritto 247, Rimembranze; Santa Maria a Monte (Pisa), Archivio personale di Enrico Mayer, b. 3, f. 17; documenti amministrativi relativi ai suoi incarichi al Municipio di Roma sono conservati presso l’Archivio Capitolino, Titolario postunitario, 1883, b. 25, f. 19.
A. Vannucci, I martiri della libertà dal 1794 al 1848, III, Milano 1880, pp. 130-133; L. Carpi, Il Risorgimento italiano. Biografie storico-politiche di illustri contemporanei, III, Milano 1884, pp. 456 s.; P. Bettoli, Figure scomparse, in Natura ed arte, V (1895-1896), 11, pp. 895-897; A. Linaker, La vita e i tempi di Enrico Mayer, I, Firenze 1898, pp. 167 s.; U. Pesci, I primi anni di Roma capitale, Firenze 1907, p. 388; G. Leti, La rivoluzione e la Repubblica Romana (1848-1849), Milano 1913, ad ind.; G. Mazzoni, L’Ottocento, Milano 1913, ad ind.; R. del Piano, Roma e la Rivoluzione del 1831, Imola 1931, ad ind.; M. Monachesi, Italiani in esilio (1849-1860), in Ad Alessandro Luzio gli Archivi di stato italiani. Miscellanea di studi storici, II, Firenze 1933, pp. 197-215; E. Michel, S. F., in Dizionario del Risorgimento nazionale, a cura di M. Rosi, IV, Milano 1937, pp. 241 s.; D. Demarco, Una rivoluzione sociale. La Repubblica romana del 1849 (16 novembre 1848-3 luglio 1849), Napoli 1944, ad ind.; F. Della Peruta, Mazzini e i rivoluzionari italiani. Il ‘partito d’azione’ 1830-1845, Milano 1974, ad ind.; G.B. Furiozzi, L’emigrazione politica in Piemonte nel decennio preunitario, Firenze 1979, ad ind.; F. Bartoccini, Roma nell’Ottocento, Bologna 1988, ad ind.; M. Bocci, Il Municipio di Roma tra riforma e rivoluzione, Roma 1995, ad ind.; D. Armando, Costruire la sovranità popolare. Le commissioni municipali romane e le elezioni per la Costituente del 1849, in Laboratorio dell’ISPF, IX (2012), 1-2, pp. 117-164.