GIANI, Felice
Figlio di Giulio Domenico e di Angela Maria, nacque il 17 dic. 1758 a San Sebastiano Curone, feudo imperiale del principe Doria, oggi in provincia d'Alessandria.
Lasciato il Piemonte, studiò a Pavia sotto la guida del pittore C.A. Bianchi e dell'architetto Antonio Bibiena; la ricostruzione del primo periodo pavese resta problematica tanto più che il G. stesso - attraverso il taccuino autobiografico redatto a partire dal 1802 e conservato a San Sebastiano Curone presso R. Giani - fece coincidere l'avvio della propria formazione con il suo arrivo nel 1778 a Bologna, dove fu allievo di D. Pedrini, U. Gandolfi e dell'architetto V. Mazza. L'anno seguente vinse il premio per la seconda classe di figura all'Accademia Clementina con il Battesimo di Cristo (Bologna, Accademia di belle arti); quindi, nel 1780, lasciò Bologna per Roma dove venne alloggiato nel palazzo del principe A. Doria Pamphili, suo primo protettore, a via del Corso.
A Roma il G. entrò nello studio del pittore P. Batoni; si avvicinò inoltre a G.A. Antolini e a C. Unterperger, in quegli anni impegnato a "replicare" le logge di Raffaello in Vaticano per rimontarle nell'Ermitage di Caterina II a San Pietroburgo.
Lo studio delle logge sollecitò il G. all'analisi diretta dell'antico, a cominciare dalle decorazioni della Domus Aurea e delle terme di Tito. I suoi numerosi disegni attestano la maturazione raggiunta e una formazione che, avviata sulla cultura tardobarocca, aderì alla poetica di J.J. Winckelmann e di R. Mengs, declarata nel disegno del 1784 Il Genio delle belle arti privilegia la pittura alla presenza degli dei (Roma, collezione privata: Ottani Cavina, 1979, fig. 9) nel quale reminiscenze manieriste e parmensi sostanziano una composizione ormai dichiaratamente neoclassica.
Nel 1783 con Cristo caccia i mercanti dal Tempio si aggiudicò ex aequo il secondo premio per la prima classe di pittura del concorso bandito dall'Accademia di S. Luca, dove si conserva il dipinto; l'anno seguente, grazie a Sansone e Dalila (Parma, Pinacoteca nazionale), ottenne il secondo premio dell'Accademia di Parma. Faldi (p. 235) cita come prima impresa romana alcune decorazioni in palazzo Doria, sebbene tale notizia non trovi riscontro nei dipinti che ornano gli ambienti del palazzo di via del Corso.
Nel nono decennio del Settecento si collocano numerose opere che meglio rendono ragione sia delle sue frequentazioni, a cominciare dal pittore romano G. Cades, sia delle relazioni intrattenute con quella cultura cosmopolita che bene si riassume nella figura di Angelica Kauffmann (per le complesse problematiche legate alla cultura europea di fine secolo si rinvia all'ampio lavoro di A. Ottani Cavina, 1999). A questi anni (1780-1786 ca.) risale la decorazione dell'appartamento neoclassico di palazzo Chigi, sul lato verso piazza Colonna (Faldi, 1952).
Nel 1786, su invito del quadraturista bolognese S. Barozzi, si recò a Faenza per decorare la galleria dei Cento Pacifici, ai cui lavori, portati a termine nel gennaio del 1787, prese parte anche lo scultore Antonio Trentanove. Sempre nel 1787 il Barozzi chiamò il G. anche per la decorazione della galleria di palazzo Conti a Faenza, progettato da G. Pistocchi su commissione del conte Francesco.
La narrazione pittorica della galleria, ove il Barozzi impalcò ariose architetture secondo un gusto aggiornato, comprende Elio che concede a Fetonte di guidare il carro del Sole, allegorie e scene di sacrifici sul soffitto. All'interno del palazzo il G. intervenne in due tempi: presso il Cooper Hewitt Musem di New York - che insieme con il Gabinetto nazionale dei disegni e delle stampe di Roma è l'istituzione dove si conservano molti dei numerosissimi disegni eseguiti dal G. - si trovano gli studi preparatori per le decorazioni, riferibili però al tardo Settecento, che l'artista realizzò in due sale del palazzo.
Nel 1787 il G. risulta essere di nuovo a Roma, dove risiedette fino al 1794. Nel 1788 si conclude l'esecuzione degli encausti eseguiti sotto la direzione di Unterperger a imitazione delle logge di Raffaello per la galleria dell'Ermitage (sala degli Specchi) allestita da G. Quarenghi. Nel 1789, anno in cui si recò a Bologna perché eletto accademico della Clementina, fu impegnato a Roma nella decorazione della cappella di A. Asprucci a villa Borghese, quindi nelle due sale della palazzina di G. Vasanzio (attuali sale XII e XIII della galleria Borghese). Data al 1789 anche la decorazione di palazzo Altieri a Roma, "vero manifesto del suo nuovo corso nell'ambito della decorazione d'interni" (Ottani Cavina, 1979, p. 4), che costituì per il giovane G. un'occasione di arricchimento su reperti antiquariali e di confronto con artisti di alto livello.
La ristrutturazione di un'ala del palazzo al piano nobile fu affidata all'architetto G. Barberi, mentre la decorazione dell'appartamento neoclassico - commissionata ad artisti come G. Cades, B. Gagnereaux, V. Camuccini, lo scultore V. Pacetti e lo stesso Barberi - venne portata a termine per le nozze (1793) di Paluzzo Altieri con Marianna di Sassonia.
Se si esclude il gabinetto ovale nell'appartamento neoclassico del principe Paluzzo Altieri, la cui decorazione è stata espunta dal catalogo delle opere del G. (Ottani Cavina, 1999, p. 558), cinque sono gli ambienti da lui decorati. A cominciare dalla sala dei Trionfi, presumibilmente la prima a essere dipinta dal G. con soggetti datati 1789 (Trionfo di Venere e Amore); il salone degli Specchi, ove sono documentate al G. le otto tele di soggetto paesaggistico; sulla volta della sala del Mosaico (gabinetto nobile), entro sottilissime cornici a stucco, il G. eseguì giovani con cornucopie e festoni, mentre delle pitture lungo le pareti gli spettano solo le parti figurate e gli oggetti; la saletta Rossa, ove sono del G. solo i putti reggifestone su fondo rosso pompeiano, nonché la tela con Venere e Psiche; la saletta Azzurra, nella quale il grande tondo centrale con Paride ed Elena è una delle migliori realizzazioni del pittore nell'appartamento degli Altieri.
Nel 1790 il G. fondò l'Accademia de' Pensieri insieme con l'amico M. Köck, con il quale abitava in palazzo Corea presso il mausoleo d'Augusto, che divenne sede della nuova istituzione (Servolini, 1952-53, p. 38).
Nella Roma di fine Settecento il sistema dell'insegnamento artistico - rappresentato dalla scuola di Batoni, dalle accademie di Francia nel palazzo Mancini al Corso e del nudo in Campidoglio - manifestava i primi segni di crisi. Nel periodo compreso fra il 1787, anno della morte di Batoni, e il 1793, quando fu chiusa l'Accademia di Francia, emerse l'Accademia del G., intesa non come scuola, bensì come incontro di personalità artistiche che avevano alle spalle un tirocinio maturato presso diversi maestri o accademie. Il G. promosse una nuova accademia a Faenza, ove rientrò nel 1794. Verso il 1796, tuttavia, il capitolo accademico romano poteva ritenersi concluso.
Durante il soggiorno a Roma il G. compì un viaggio a Napoli (Acquaviva - Vitali, 1979). L'esigenza di raccogliere una documentazione sicura sul soggiorno partenopeo è connessa alla necessità di chiarire l'origine di alcuni disegni facenti parte di un Liber studiorum del G. conservato alla Biblioteca dell'Istituto nazionale di archeologia e storia dell'arte di Roma.
Si tratta di disegni che per soggetto e stile sono stati divisi in quattro gruppi, l'ultimo dei quali è composto per lo più da copie di dipinti parietali rinvenuti a Pompei, verosimilmente eseguiti all'inizio degli anni Novanta, forse nel 1792, quando il soggetto pompeiano era largamente diffuso anche in Europa ed era entrato nel repertorio della decorazione neoclassica. L'alta qualità del materiale grafico lascia supporre un'esperienza diretta del pittore sugli originali, eccezionale a quella data se si considera la gelosia dei Borboni e i divieti che impedirono per anni ad artisti e viaggiatori di trarre disegni dal vero. Nel primo gruppo di disegni figurano motivi quali trofei, armature, grottesche e candelabre, che ricorrono nell'opera dell'artista non senza analogie con le decorazioni di palazzo Altieri; altri invece recano precisi riferimenti alle successive figurazioni delle sale con architetture dell'appartamento neoclassico di palazzo Chigi.
Nel Liber studiorum il G. dimostra una profonda comprensione della pittura antica, un'elevata qualità grafica, una tecnica veloce e leggera che bene traduce lo stile compendiario della pittura pompeiana. Non solo un repertorio di immagini, dunque, bensì l'evolvere dello stile dell'artista in un crescendo di eleganze e raffinatezze, verso una sempre più approfondita conoscenza della pittura antica.
Nel giugno del 1794 avviò in proprio i lavori per la decorazione (progettata nel 1792) di alcune sale della galleria di palazzo Laderchi a Faenza, che l'architetto bolognese F. Tadolini eresse su commissione del conte Ludovico. In quell'occasione il G. organizzò una propria bottega (Gasparoni) della quale fecero parte, tra gli altri, Gaetano Bertolani (da allora al suo fianco in molte imprese) e lo scultore A. Trentanove, che venne in seguito sostituito dai fratelli F. e G.B. Ballanti Graziani (1802). L'équipe lavorava su precise indicazioni del G. che progettava l'ornato, gli stucchi, l'intero arredo. I lavori in palazzo Laderchi - comprendenti tra l'altro il tema di Amore e Psiche nella volta della galleria, il Trionfo della Pace nell'omonima saletta e la Danza delle Ore nel gabinetto d'astronomia - sono documentati dai pagamenti ricevuti dal G. a Venezia nei primi mesi del 1795.
Nel 1794 il G. eseguì alcuni disegni, raccolti in un quaderno di 22 fogli, nel corso di un viaggio intrapreso con alcuni compagni andando da Faenza a Marradi (Briganti, ripr. pp. 181-185). Agli anni immediatamente successivi, forse al 1796-97, risalgono disegni quali le Dame all'inginocchiatoio - dal tratto incisivo e potente che, nell'essenzialità dell'immagine, ha suggerito il riferimento a F. Goya - e il più "giacobino" Il Tempo e la Verità levano la maschera alla Superstizione (Roma, Gabinetto nazionale dei disegni e delle stampe).
Nel 1796 il G. si recò a Jesi per decorare la volta del teatro della Concordia (ora Pergolesi) eseguendovi Storie di Apollo e alcune figure allegoriche che, poi completamente ridipinte da Giuseppe Vallesi, sono testimoniate anche da due disegni autografi conservati presso la Biblioteca comunale; responsabile degli ornati fu Bertolani che partecipò anche al coevo intervento nell'attuale palazzo municipale di Jesi dove il G. dipinse La morte di Virginia nell'omonima sala, accompagnando l'episodio centrale con decorazioni allegoriche alle quali non sono estranee reminiscenze da Gandolfi, da Cades e da C. Giaquinto (tondo con la Pubblica Felicità incorona la Giustizia). Nel 1797 eseguì la decorazione di palazzo Piazza a Perugia.
Sul volgere del Settecento potrebbero essere state realizzate anche le decorazioni di casa Tassinari a Faenza (Acquaviva - Vitali, 1976). Presso il Gabinetto nazionale dei disegni e delle stampe di Roma si conservano due bozzetti relativi alle sale di Flora e dell'Aurora; mentre presso il Cooper Hewitt Museum si trova il disegno preparatorio per la scena nella sala di Bacco, poi realizzata con parziali modifiche. Il ciclo di casa Tassinari è stato ritenuto opera giovanile, stante l'assenza di quelle stilizzazioni e di quell'accentuata tensione anatomica che caratterizzerà successivamente le sue figure dall'equilibrio precario.
In parallelo all'attività feconda di decoratore, il G. portò avanti la pratica del disegno. Realizzò le immagini per le incisioni di Francesco Rosaspina che corredano il volume di Versi di G.B. Giusti uscito per i tipi di Bodoni a Parma nel 1801; e, nello stesso anno, iniziò l'insegnamento alla scuola di disegno di Faenza. Il taccuino di lavoro iniziato nel 1802 consente di seguire con precisione la cronologia dell'attività del G.; esso documenta i pagamenti e i tempi, ma non i dipinti da cavalletto, peraltro rarissimi. Ebbero origine a partire da quell'anno i grandi cicli decorativi di Faenza, nei palazzi Naldi e Milzetti. Il conte Francesco Naldi fece decorare (nel 1803 e nel 1809) l'appartamento nobile del palazzo: il G. dipinse a tempera sette stanze ornate da stucchi, forse eseguiti da Trentanove, e due salette al piano terra.
La sequenza delle sale al piano nobile, continuamente inventate negli schemi spaziali, la ricchezza delle soluzioni che coinvolgono arredi e interno, fanno di questo percorso uno dei più suggestivi del G.; esso si conclude in un'"alcova ellittica di alessandrina eleganza", la cui raffinata tipologia non ha eguali nella produzione dell'artista e rivela un autore i cui riferimenti culturali furono di vastissimo raggio. I due bozzetti preparatori raffiguranti Marte e Rea Silvia e Rea Silvia sepolta viva (Roma, collezione privata) suggeriscono le linee percorse dall'artista, soprattutto il Seicento di Annibale Carracci, di Nicolas Poussin, di Pietro Berrettini da Cortona (Ottani Cavina, 1979, pp. 34 s.). Come attesta il taccuino, nel 1809 intervenne nelle sale terrene (di Ercole e della Musica, ornate da finti tendaggi alle pareti) facendo largo uso dei collaboratori; al G. spetta la scena con Ercole al bivio.
La decorazione di palazzo Naldi sigla il momento più creativo della sua produzione. Quasi contemporaneamente prese avvio il ciclo di palazzo Milzetti. Ideato e realizzato tra 1792 e 1805, tra gli altri, da G. Pistocchi e G.A. Antolini, l'edificio pervenne al conte Francesco Milzetti che commissionò al G. la decorazione del proprio appartamento al piano terreno; l'opera venne eseguita tra l'ottobre del 1802 e il 1803; la decorazione delle sale al piano nobile, allestite in occasione delle nozze con la nobile bolognese Giacinta Marchetti degli Angiolini, risale invece al 1804-05.
I numerosi disegni preparatori (Ottani Cavina, 1979) riconducono al G. anche la progettazione dell'apparato plastico, in particolare i fogli con Episodi legati al mito di Fetonte per la sala ottagonale (1802) al piano nobile, relativi ai grandi pannelli realizzati in stucco. Il G. svolse un ruolo direttivo a capo della sua bottega nella quale era presente Bertolani, che con lui divise i guadagni; la magistrale regia del velocissimo G. favorì la felice integrazione fra cammeo figurato, ornato e arredo. Più volte è stata sottolineata la sua straordinaria capacità di progettare integralmente gli spazi attraverso la definizione dei partiti decorativi e plastici in una serrata omogeneità di lessico e di materiali. Nella sala delle feste al piano nobile, detta anche galleria d'Achille, la decorazione sulla volta ribassata sviluppa il tema delle vicende dell'eroe omerico con uno stile compostamente neoclassico entro una stretta gabbia decorativa. Pochissimi i riquadri figurativi con scene tratte dall'Iliade, ma tutti di grande dimensione. Una concezione unitaria e grandiosa supporta la decorazione della volta e delle pareti della galleria, improntata al tema dell'eroismo nelle scene figurate e allusiva all'impegno militare del committente nei ricorrenti motivi marziali. L'amore è il tema dominante nel boudoir della contessa: qui il G. reinventò lo spazio e convertì l'ambiente (un angusto parallelepipedo) in una stanza poligonale il cui tema iconografico è strettamente connesso alla destinazione d'uso del vano: il G. vi dipinse, infatti, Trionfi di Eros e disegnò le Quattro stagioni, che poi tradusse nell'illustrazione pittorica con l'allegoria dei quattro elementi. È il trionfo del "gabinetto di ritiro", il bagno, in anni di grande attenzione ai servizi in ossequio alle moderne nozioni dell'utile e del sociale. Sulle pareti del bagno, decorate nel gusto ercolanense, in un capolavoro di perfezione formale il G. narra storie mitiche con, in primo piano, Eros trionfante. La qualità dell'ornato di questo ambiente intimo, chiuso in sé, dai colori vivissimi, è ulteriormente sottolineata dall'arredo.
È già stato puntualmente rilevato come nell'iter del G. si fissi una fase intensamente francese, sia per committenza, sia per destinazione delle opere, sia, infine, per integrazione a un milieu ufficiale che promosse la grande decorazione dei palazzi imperiali in Francia come in Italia; e il 1803 è l'anno di un ipotizzato primo viaggio in Francia, forse per interessamento dell'architetto Antolini (Ottani Cavina, 1977). La notizia del primo soggiorno a Parigi è confermata dalle tavole del Musée Français (Paris 1803-09)di Robillard Péronville e P. Laurent che presentano 16 incisioni ricavate da suoi disegni eseguiti in loco. Da questo momento la vicenda operativa del G. si svolse sotto il segno di un destino imperiale che lo portò a Milano e nel 1805 a Bologna dove fu impegnato nei lavori dei palchi nel teatro del Corso e per quelli dell'arco trionfale fuori porta S. Felice per l'ingresso di Napoleone a Bologna.
In seguito al successo riscosso in palazzo Milzetti, il G. debuttò a Bologna con la decorazione di palazzo Aldini (1805), all'interno del quale una validissima schiera di decoratori - da A. Basoli a P. Fancelli a V. Martinelli - approntò una preziosa antologia dell'arredo neoclassico. Sulle pareti del piccolo gabinetto di palazzo Aldini il G. dispiegò motivi architettonici desunti dal secondo stile pompeiano, in una esibita vicinanza stilistica con le decorazioni del gabinetto d'Amore di palazzo Milzetti. Il rilancio della tecnica dell'encausto fu probabile stimolo alla "rarefazione virtuosa del ductus pittorico" che il G. elevò a indicibili eleganze (Matteucci, 1979, pp. 315 s.).
Numerosi altri furono gli interventi nelle dimore bolognesi, alcuni dei quali eseguiti in case di non particolare spicco monumentale e oggi difficilmente rintracciabili, commissionati dalla nuova borghesia napoleonica. Tra i committenti, gli Aldini, i Marescalchi, i Lambertini Ranuzzi, i Baciocchi, le cui dimore sono registrate nelle principali guide della città. A Bologna lavorò anche nei palazzi Giusti (1806) e Martinetti (1810).
A Venezia il G. collaborò con Antolini nel quartiere reale delle Procuratie nuove. È questa l'unica sua commissione documentata in Laguna, di recente ribadita dalla Ottani Cavina (1999, pp. 626, 628) che, sulla base della registrazione nel taccuino, fissa al 1807 l'intervento decorativo nelle sale dell'antica Libreria Marciana destinate a residenza del viceré d'Italia.
Per quanto concerne il ciclo veneziano, è G.A. Moschini che nella Guida per la città di Venezia del 1815 ricorda l'appartamento dipinto a fresco dal G. "per ciò che pertiene alle figure" (Pavanello), mentre gli ornati spettano a Bertolani. Si tratta delle decorazioni tuttora in essere nella sede indicata da Moschini, l'appartamento "che trovasi in seguito alla già biblioteca", nelle cui sale il G. dispiegò temi tradizionalmente impiegati in simili imprese: Nettuno (prima stanza), Apollo e il trionfo della Sapienza, le Virtù (rispettivamente seconda e quarta stanza), le Arti (quinta stanza), Flora, Eros con divinità (alcova).
In particolare nella seconda stanza, ove il tema del Trionfo risulta iconograficamente identico a quello affrescato nel palazzo di Spagna a Roma, il G. dispiega un fregio con cariatidi e ornati di forbita eleganza che dichiara la rinuncia alle grandi figurazioni a favore di una tramatura leggera di motivi, in una felice sintonia con Bertolani. Alcuni disegni pubblicati di recente (Stefani, pp. 154 s.) riproducono i quadri di F. Menzocchi a contorno del pannello centrale dipinto da F. Salviati in palazzo Grimani a S. Maria Formosa e ne visualizzano la disposizione (Hochmann, pp. 58 s.).
Nel primo decennio del XIX secolo fu attivo anche a Roma di nuovo con Coccetti. Da questo, che ebbe nuovamente a fianco nell'appartamento neoclassico del palazzo dell'ambasciata di Spagna a Roma (1806-07), il G. derivò i primi stimoli all'invenzione di partiti decorativi maggiormente archeologizzanti (Matteucci, 1979, p. 311): spettano al G. le decorazioni del grande appartamento, ove le tempere del salone di mezzo, che reca sul soffitto il Trionfo di Cerere, evidenziano le straordinarie capacità del pittore, ora teso a sciogliere le corpulenze cortonesche proprie dei Trionfi di palazzo Altieri in un'elegante grafia lineare, verso una astrattiva stilizzazione. Lungo le pareti sono disposti sei pannelli attraverso i quali il G. rappresentò episodi tratti dal Primo navigatore, l'idillio di S. Gessner: Faldi mise in relazione il soggetto dipinto nel palazzo romano con la conoscenza della Lettera sulla pittura di paesaggio di Gessner, che potrebbe avere suggerito al G. più di un'idea per le ambientazioni entro cui inserire le azioni dei personaggi.
A ridosso delle sale dipinte a olio su carta in palazzo di Spagna (uno dei suoi cicli decorativi più raffinati), tre prestigiose imprese siglano il catalogo delle opere del G. a Bologna, a Roma e in Francia; e tutte all'insegna di quell'organicità della progettazione di interni da lui sempre tenacemente perseguita in una soluzione unitaria, elegante, preziosa, raffinata. A Bologna le occasioni di impostare in modo globale il progetto decorativo non furono molte, nonostante il pittore abbia qui operato con sorprendente intensità fino al 1822. Unica eccezione, il palazzo del conte Ferdinando Marescalchi che ben presto assurse a modello della residenza di élite di nuovi démi-dieux dell'amministrazione napoleonica. L'iter operativo del cantiere è corredato da numerosi riferimenti nel taccuino del G., dal 14 gennaio al 31 ott. 1810 (Matteucci, 1971-73, p. 735).
L'appartamento al piano nobile dell'antico palazzo affrescato da P. Tibaldi e da G. Reni doveva riflettere la cultura aggiornata e cosmopolita di F. Marescalchi, uomo colto e brillante, la cui carriera politica lo aveva visto impegnato tra l'altro a Parigi in veste di ministro delle Relazioni Esterne della Repubblica Italiana. Nel 1811 il proprietario riaprì le sale decorate dell'elegante dimora; nello stesso anno un secondo contratto con il G. aggiunse altri due ambienti alla commissione. Attualmente sono cinque le stanze riferibili all'intervento del G. e della sua équipe (Bertolani per gli ornati dipinti e il ticinese M. Trefogli per gli stucchi, tra gli altri): le camere di Bacco, Apollo, Diana e, probabilmente, quella di Minerva, oltre alla sala da pranzo, l'unica ad avere mantenuto la decorazione originale sulla volta e sulle pareti, di cui si conservano gli studi preparatori. La decorazione della sala da pranzo, dove poté impostare globalmente l'intero partito decorativo, è giustamente ritenuta il momento più alto della sua attività bolognese (Ottani Cavina, 1979, pp. 55 s.; 1989, p. 70). Una finissima trama di stucchi monocromi sulla volta costituisce lo sfondo dal quale aggallano le tempere coloratissime che alternano grottesche a scene figurate relative agli episodi contenuti nel primo libro dell'Eneide, cui fa seguito il Convito di Enea e Didone nell'ovato centrale. Il tema, altrove trattato dal G. nelle varianti legate ai miti di Psiche, Teseo e Ulisse, esalta la funzione della sala. Lo schema rettangolare del vano, annullato dall'inserzione di sei colonne binate in stucco marmorizzato disposte in alternanza ai pilastri lungo un tracciato ellittico secondo una brillante idea dello stesso G., si completa nella sofisticata eleganza della volta la cui tipologia in ovale è comune ad altre sale da pranzo bolognesi dell'epoca.
Nel 1811 il G. divenne accademico di S. Luca. Le decorazioni di palazzo Severoli a Faenza, eseguite nello stesso anno, documentate anche da disegni dal segno graffiante e nervoso, attestano la piena maturità raggiunta (Vitali - Dearborn Massar, p. 25).
Dopo il successo delle imprese pittoriche bolognesi - decorazioni nei palazzi Marescotti (1807), Zanolini, Tattini, Lazzari, Leoni (1811: Acquaviva - Vitali, 1979, p. 212) - il G. fu impegnato a più riprese a Forlì: in casa Romagnoli, nel teatro e nel palazzo del Podestà (1808), quindi nei palazzi Manzoni (1814), Gaddi e Saffi (1818).
All'inizio del 1812 il G. lavorò in un appartamento del palazzo del Quirinale, voluto dal governo francese che lo fece allestire a R. Stern in vista della progettata, ma non avvenuta, visita a Roma di Napoleone: qui il pittore profuse un repertorio figurativo condotto su moduli desunti da una tipologia ideale dell'antico, in una interpretazione pienamente autonoma. Sul volgere del 1812 avviò le decorazioni (perdute) della villa di Montmorency, del segretario di Stato del Regno Italico con residenza a Parigi, Antonio Aldini, concluse nel settembre dell'anno successivo, a conferma di un rapporto intensissimo che lo legò al committente per il quale aveva decorato la residenza cittadina su strada Maggiore (1805) e la villa neoclassica nella campagna bolognese (1810).
Sono documentati al G. e a Bertolani i lavori in casa Accame a Bologna, eseguiti tra il 1811 e il 1813. Le decorazioni riguardano il camerino di Ercole e la sala con gli Amori degli dei, con figure dalla grafia leggera, propria delle opere intorno al 1810; i dipinti delle sale di Ulisse e di Enea paiono stilisticamente prossimi, nelle forme corrose delle figure, a quelli di palazzo Baciocchi (1822) e non è escluso in questi ambienti un intervento della bottega (Matteucci, 1979, pp. 308 s.). Nel 1813, sempre a Bologna, il G. fu impegnato, su commissione della famiglia Contri, nella decorazione di tre sale della villa dell'Osservanza, dove realizzò l'Allegoria delle Arti e i Segni dello Zodiaco (Cuppini - Matteucci, p. 340), e della sala delle Muse posta nell'appartamento al piano nobile del palazzo di via Castiglione, n. 47, a Bologna.
Oltre al G., al quale spettano anche le decorazioni a raffaellesche di un camerino con Storie di Psiche, è registrato A. Basoli, autore della stanza paese di cui si conserva un disegno preparatorio del 1803 rintracciato presso l'Accademia di belle arti di Bologna da A.M. Matteucci (1979, p. 305), la quale non esclude che anche la decorazione approntata dal G. nell'appartamento cittadino dei Contri sia stata intrapresa intorno a quella data.
La vicenda stilistica dell'artista resta difficile da puntualizzare. A una lettura delle sue figure, che dopo il grandeggiare delle forme esibite verso la fine del primo decennio mostrano una progressiva riduzione, pare di potere datare intorno a questi stessi anni anche l'intervento in casa Conti a Bologna, dove il G. dipinse due episodi tratti, ancora una volta, dal Primo navigatore di Gessner. Per il palazzo di città, Gaetano Conti, noto medico della Bologna napoleonica e collezionista, oltre al G. chiamò Basoli, Bertolani e paesaggisti allievi di Martinelli. Ciò che caratterizza queste decorazioni del G. è la tendenza al recupero di temi della tradizione eroica.
Rientrato nel 1813 da Montmorency, fu impegnato nello stesso anno a Faenza nella decorazione, di cui si conserva la serie dei bozzetti preparatori, del palazzo che i conti Gessi avevano fatto costruire al Pistocchi nel 1786 (Vitali - Dearborn Massar, p. 25). L'intervento fu realizzato per le nozze di Antonio Gessi con Laura Amorini Bolognini. Per l'occasione il G. lavorò nell'appartamento nobile eseguendo decorazioni nelle sale di Amore e Psiche, di Ercole, di Ercole ed Ebe (dove la data 1813 compare nel cartiglio di una Nike), la sala di Diana e quella dei Continenti.
Nel 1814 il G. lavorò per Domenico Manzoni a Forlì; appartiene a quell'anno anche un foglio della Biblioteca civica di Forlì con il giardino di città, gradevole divertissement steso in una pausa dei lavori (Ottani Cavina, 1979, p. 66). Nello stesso anno, e nella seconda metà del decennio, il G. fu impegnato a Faenza; quindi, nell'ottobre dell'anno seguente, decorò la sala di Psiche nel palazzo modenese del marchese E.F. Montecuccoli Laderchi (Ottani Cavina, 1999, p. 526). Nel 1814 e due anni dopo eseguì decorazioni in palazzo Cavina: la data 1816 si legge nella sala di Apollo; i fogli del Cooper Hewitt Museum, con Episodi della vita di Cornelia, da Valerio Massimo, sono invece riferibili alle decorazioni della stanza del balcone. Dell'intervento in palazzo Pasolini Dall'Onda a Faenza, condotto tra 1817 e 1818, si conserva la sola decorazione della sala di Enea e Didone. Seguirono i lavori condotti in palazzo Rasponi a Ravenna (1818) di cui si conserva un bozzetto per il pannello della sala da pranzo sul tema ovidiano di Diana e Callisto. Nel 1820, di nuovo a Faenza, lavorò in palazzo Caldesi, ove leggere raffaellesche a monocromo rivestono la volta nella saletta di Latona.
Nel 1819 fu eletto membro della Congregazione romana dei Virtuosi del Pantheon. Purtroppo non restano tracce delle decorazioni realizzate a Roma nella sala di Ebe di palazzo della Dataria (1816), in quelle dei palazzi Capitolini, condotte in occasione della visita di Francesco I d'Austria (1819; Gasparoni, p. 11), né degli ornati del soffitto del teatro Valle, inaugurato nel 1822, eseguiti in collaborazione con Köck a partire dal 1821: una gouache con il Trionfo della Pace, studio per il centro del soffitto, reca il segno nervoso e sincopato, proprio della grafia tarda dell'artista; al Cooper Hewitt Museum di New York si conserva il progetto autografo dell'intera decorazione.
Ampia anche l'attività teatrale del G.: lavorò ai teatri di Jesi (1798), Forlì (1809), Imola (1812), Bologna (1814), Pesaro (1818). Non è escluso che abbia eseguito anche il sipario del teatro Apollo a Tordinona, opera non menzionata nel suo taccuino ma documentata da un bozzetto con il Trionfo di Apollo dell'Accademia di S. Luca, per la Ottani Cavina databile al secondo decennio dell'Ottocento (1979, p. 73).
Il suo vertiginoso ritmo lavorativo non rallentò nemmeno negli anni tardi. Tra le sue ultime imprese conservate, la decorazione nel 1822 di sei stanze di palazzo Baciocchi a Bologna, risolte con un colore più corrusco e un segno ancor più graffiante rispetto ai precedenti lavori bolognesi. Nel palazzo, che fu dei Ruini e dei Ranuzzi e che il principe Felice Baciocchi, vedovo di Elisa Bonaparte, acquistò nel 1822, i lavori riguardarono ogni angolo dell'edificio. Il G. affrescò la sala di Psiche con scene della Storia di Amore e Psiche, la sala dei Trionfi degli imperatori romani, ove ripropose scene di trionfo di grandi condottieri, la sala di Teseo, due ambienti minori e un piccolo corridoio. La sala dei Trionfi costituisce uno dei momenti caratterizzanti l'intero ciclo decorativo connotato da uno schema alessandrino, cifrato, punto di arrivo dell'invenzione ornamentale del G., insieme con la coeva decorazione di palazzo Lambertini Ranuzzi su via S. Stefano, n. 45, a Bologna.
Nell'ultimo anno di vita il G. collaborò ancora con Antolini eseguendo le figure nel disegno con l'Ara del tempio sacro all'immortalità di Canova, che appartiene a un gruppo di tre fogli, facenti parte di un nucleo canoviano conservato presso la Biblioteca dell'Archiginnasio di Bologna. A.M. Matteucci (1978, pp. 469-474), che li ha resi noti, ascrive al più anziano architetto l'invenzione del Pantheon periptero di ordine dorico, limitando l'intervento del G. alle figure del disegno citato, non a quelle degli elaborati architettonici. I fogli raffigurano la pianta, il prospetto e lo spaccato del tempio, una sorta di Pantheon periptero la cui dimensione commemorativa, secondo la studiosa, è ulteriormente sottolineata dalla sequenza delle scalinate poste all'esterno e alla base del monumento. Privi di scala metrica, i tre disegni furono verosimilmente concepiti come esercizio accademico piuttosto che come probabile fabbrica. A. Ottani Cavina (1979, pp. 69 s.) riconduce al G. tutte la parti figurate presenti nei tre fogli anche in considerazione del segno franto, interrotto, stilisticamente prossimo a quello che ritiene uno studio preparatorio; inoltre, propone una datazione intorno alla metà del secondo decennio.
Il G. morì a Roma l'11 genn. 1823.
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