FICHERELLI (Ficarelli), Felice (detto il Riposo)
Nacque a San Gimignano (Siena) il 30 ag. 1603 (Balzano, 1988, p. 739), forse da un certo Ottaviano (Baldinucci [1681-1728], 1846, p. 573).
La vita del F. scritta dal Baldinucci, che è stata a lungo la fonte primaria per gli studi successivi, fornisce soprattutto aneddoti sul carattere umano del personaggio che, "tanto quieto e amico del suo comodo", si guadagnò "il soprannome di Riposo" (ibid., p. 569).
Il F. si recò a Firenze ancora giovanissimo e lì trovò protezione da parte di Alberto d'Ottavio de' Bardi, dei conti di Vernio, "cavallerizzo maggiore" del cardinale Carlo de' Medici (ibid., p. 563). Collezionista e intenditore d'arte, il Bardi accolse il F. nella sua casa e lo mise alla scuola del pittore Iacopo da Empoli, che ebbe un ruolo fondamentale per la sua formazione. Durante questo suo discepolato il F. si esercitò nella scia della più pura tradizione fiorentina, eseguendo, tra l'altro, per il suo protettore, copie (ora perdute) degli affreschi di Andrea del Sarto nel chiostrino della ss. Annunziata (ibid., p. 564); proprio a questo esercizio e riflessione sull'antica pittura sarebbe da attribuire, secondo il Lanzi (1808), la "squisitezza del suo dipingere".
Non molti sono i dati cronologici sicuri nella vita del F. essendo ancora scarse le notizie documentarie e non datati - né firmati - i dipinti che di lui si conoscono. Nel 1629 si iscrisse all'accademia del disegno, presso la quale avrebbe ricoperto nel 1652 la carica di console (Balzano, 1988). Nel 1632 morì il suo protettore, Alberto de' Bardi (Gregori, 1986, III, p. 87), ma il F. rimase ancora legato per qualche tempo a questa famiglia, secondo le disposizioni testamentarie del defunto che gli concedevano di essere ospitato liberamente in quella casa col solo obbligo di fare ogni anno un quadro per essa.
Fino a tempi recenti diverse opere del F. erano in possesso dei discendenti della famiglia Bardi. Tra queste si trovava una grande tela, passata sul mercato antiquario nel 1990, ispirata alla Gerusalemme liberata (Rinaldo e Armida), eseguita tra il 1654 e il 1655 (Baldassari, 1992, p. 122); ad essa va aggiunto un altro grande dipinto raffigurante Rinaldo nella foresta stregata (sul mercato antiquario nel 1992), databile pure al 1654, dal momento che formava coppia con il quadro firmato e datato da O. Fidani che rappresenta Amarilli, Mirtillo, Corsica e le ninfe (ibid.).
Sempre alla fase tarda dell'attività appartengono le altre opere databili su base documentaria o per via di riferimenti storici. Tra il 1655 e il 1656 il F. realizzò la copia della Visione di s. Bernardo del Perugino per l'altare della famiglia Nasi in S. Spirito a Firenze; in tale occasione eseguì anche i due laterali con S. Francesco e S. Antonio da Padova, che arricchirono il nuovo inquadramento architettonico dell'altare. Tra il 1654 e il 1657 si può datare la pala per la chiesa di S. Egidio nell'arcispedale di S. Maria Nuova, rappresentante la Madonna che offre il Bambino a s. Antonio con i ss. Francesco e Nicola eseguita all'epoca in cui fu spedalingo Lodovico Serristori (Paatz, IV, 1952, p. 15). Sappiamo ancora, sempre dal Baldinucci ([1681-1728] 1846, p. 566) che circa nel 1655, il F. dipinse la S. Cecilia che si trova nella chiesa di S. Giovanni Battista (già in S. Agostino) a Livorno. Tra il gennaio del 1657 e l'estate del 1659, infine, il F. fu impegnato per la certosa del Galluzzo, presso Firenze, dove, per i due altari del coro dei conversi, dipinse un S. Antonio da Padova e una Madonna che appare a s. Filippo Neri (Leoncini, 1982, p. 248); quest'ultima opera si è conservata, purtroppo in cattive condizioni, sull'altare di destra, mentre l'altra, ricordata ancora in loco dal Moreni (1792, p. 116), è andata in seguito dispersa. La maggior parte della produzione del F. consistette, tuttavia, in quadri da sala e da camera, sia di soggetto profano che sacro, quest'ultimo interpretato in chiave anch'esso essenzialmente profana. La critica sulla scorta del Baldinucci ([1681-1728], 1846, p. 564), ha posto l'accento sul fatto che la prima fase dell'attività del F., a partire dal quarto decennio del secolo, è caratterizzatà, oltre che da ascendenti empoleschi, da una stretta rispondenza con la maniera, morbida del coetaneo F. Furini (nonché da talune affinità pure con la pittura di Cecco Bravo), rilevabile "nelle composizioni scalene e la falcata larga dei gesti" (Gregori, 1986, III, p. 88). Appartengono a questo periodo quadri come il Sacrificio di Isacco (già sul mercato antiquario romano, oggi in collezione privata fiorentina: ibid.), la Giaele e Sisara dei Depositi delle Gallerie fiorentine, la Giuditta e Oloferne in collezione privata fiorentina (ibid.), la S. Agata (Digione, Musée Magnin), già appartenuta a Francesco Redi, medico della corte medicea, o la versione amplificata di quest'ultima, cioè il Martirio di S. Agata (Firenze, collezione privata; Cantelli, 1983), dipinto per il cavalier Serzelli.
Questo nobile fiorentino possedeva del F. anche il dipinto, da datarsi a questo prinio periodo, raffigurante la Cacciata dei progenitoridal paradiso terrestre. Menzionato dal Baldinucci, il quadro fu riprodotto nella Etruria pittrice di M. Lastri (II, Firenze 1795, tav. LXXXVIII), quando si trovava nelle collezioni del marchese Rinuccini, dove lo ricorda anche il Lanzi (1808). Del dipinto, che compare per l'ultima volta nella vendita Pacini del 1892 (cfr. Catalogo..., 1892), si conosce un'altra versione, apparsa sul mercato antiquario romano una ventina d'anni fa (Cantelli, 1983, p. 78).
Pervaso da una "sottilissima sensualità" di chiara ascendenza furiniana è poi un ottagono raffigurante Adamo ed Eva, adolescenti, colti nell'atto di compiere, titubanti e quasi ignari, il primo peccato (Cantelli, 1992). Allo spirito di questo quadro si avvicinano diverse raffigurazioni di Maddalena penitente, a mezza figura, morbidamente modellata e patetica nel volto.
Già molti dei soggetti finora ricordati mostrano come il F. prediligesse le scene fortemente drammatiche, per non dire violente (ma non brutali), dove la tensione dei sentimenti contrastanti dei protagonisti si manifesta attraverso gesti enfatici o intense espressioni dei volti, il tutto immerso in un'atmosfera accentuatamente chiaroscurata, dove le forme luminose emergono da dense zone d'ombra, determinando, con la morbidezza del tocco, quel senso di ambiguità generalmente messo in evidenza dalla critica. In questa direzione sono particolarmente significative talune opere da porsi a cavallo tra quarto e quinto decennio, tra le quali spicca il Tarquinio e Lucrezia dell'Accademia di S. Luca a Roma, di cui si conoscono varie copie e repliche (tra queste ultime una dei Depositi delle Gallerie fiorentine), e la Giulia che riceve la veste insanguinata di Pompeo (Genova, collezione privata), già in collezione Bardi Serzelli (Gregori, 1986, I, p. 385). Nella raccolta Serzelli esisteva (secondo il Baldinucci [1681-1728], 1846, p. 567) una S. Prassede che spreme il sangue dei martiri, che fu più volte replicata e copiata (una copia è firmata da Vermeer e datata 1655: Nissman, 1969): il bell'esemplare, già in collezione Del Bravo a Firenze, esprime perfettamente i sentimenti di pietà che pervadono anche le opere "cruente" del Ficherelli (Gregori, 1965, p. 49).
Verso la fine del quinto decennio il F. abbandona le sensuali deficatezze furiniane per una pennellata sempre più sfatta e un colorito non più luminoso e smaltato, che accentua il turbamento delle espressioni: un barocco in chiave pessimistica e tragica, comune ad altri pittori fiorentini, quali Cecco Bravo nella sua ultima fase (Gregori, 1986, I, p. 386). Ne sono esempi, oltre alla S. Prassede, opere come l'Allegoria della Pazienza (Firenze, collezione privata), l'Artemisia (in ottagono, Firenze, collezione privata), la Sofonisbain atto di prendere il veleno (Mc Corquodale, 1979).
Dalla metà circa degli anni Cinquanta la pittura del F. entra in una nuova fase, definita neoempolesca, perché caratterizzata, in particolare nelle citate pale d'altare di Livorno e Firenze, "dal disciplinarsi del pittore in realizzazioni più "normali" e con qualche aspirazione classicista" (Gregori, 1986, III, p. 88). Tuttavia, anche senza porsi in contrasto con la rinata aspirazione a una chiarezza soprattutto compositiva, tendenze "barocche" del periodo precedente, per una pittura sfatta e vibrante, riemergono facilmente, come nelle due grandi tele sopra ricordate con Rinaldo e Armida e Rinaldo nella foresta stregata, nel Lot e le figlie della National Gallery of Ireland di Dublino, in una versione di S. Cecilia (Firenze, collezione privata; Gregori, 1986, I, p. 386), semplificata rispetto a quella labronica. o nell'ottagono di David con la testa di Golia (Firenze, collezione privata: ibid., pp. 387 s.) che secondo il Baldinucci ([1681-1728], 1846, p. 567) è stata l'ultima opera compiuta dall'artista.
Il F. morì a Firenze il 5 marzo 1660 e fu sepolto in S. Maria sopr'Arno (Spinelli, 1985, p. 85).
Fonti e Bibl.: F. Baldinucci, Notizie de' professori del disegno... (1681-1728), a cura di F. Ranalli, IV, Firenze 1846, pp. 563-574; P. A. Orlandi, Abecedario pittorico, Venezia 1753, p. 164; G. Richa, Notizie istoriche delle chiese fiorentine, Firenze 1754-1762, ad Indicem; D. Moreni, Notizie istor. dei contorni di Firenze, II, Firenze 1792, p. 116; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia (1808), a cura di M. Capucci, I, Firenze 1968, p. 171; S. Ticozzi, Diz. dei pittori, I, Milano 1818, s.v.; Catalogo degli oggetti d'arte e di antichità componenti le collezioni G. Pacini di Firenze, Firenze 1892, p. 55; W. Paatz-E. Paatz, Die Kirchen von Florenz, I-VI, Frankfurt am M. 1940-1954, ad Indicem; M. Gregori, 70 pitture e sculture del '600 e '700 fiorentino, Firenze 1965, pp. 18 s., 49; Id., F. Riposo, in Comma, IV (1968), 3, pp. 23-28; J. Nissmann, Florentine baroque art from American collections (catal.), New York 1969, p. 45; G. Cantelli, Precisazioni sulla pittura fiorentina del Seicento: i furiniani, in Antichità viva, X (1971), 4, pp. 4-8; M. Gregori, A Cross-section of Florentine Seicento painting. The Piero Bigongiari Collection, in Apollo, C (1974), pp. 224 s.; C. McCorquodale, Painting in Florence 1600-1700 (catal.), London 1979, pp. 66-69; F. Dal Canto, in Livorno: progetto e storia di una città tra il 1500 e il 1600 (catal.), Livorno 1980, pp. 298 ss.; G. Leoncini, in La certosa del Galluzzo a Firenze, Milano 1982, pp. 36, 248; G. Cantelli, Repertorio della pittura fiorentinadel Seicento, Firenze 1983, pp. 78 s.; G. Leoncini, La vita nella certosa di Firenze tra XVII e XVIII secolo, in Kärtauserregelund Kartäuserleben, III, Salzburg 1985, p. 166; R. Spinelli, Vicende secentesche della "Visione di San Bernardo" del Perugino: una pala del Boschi e la copia del F., in Paragone, XXXVI (1985), 425, pp. 76-85; M. Gregori, in Il Seicento fiorentino. Arte a Firenze da Ferdinando I a Cosimo III (catal.), Firenze 1986, I, pp. 382-388; III, pp. 87 s.; P. Bigongiari, Altri aspetti "eroici" del Seicento fiorentino, in Paradigma, VII (1986), pp. 85-93; W. Balzano, in La pittura in Italia. Il Seicento, Milano 1988, II, p. 739; G. Cantelli, Valori simbolici e sangue nella pittura fiorentina del Seicento, ibid., VIII (1988), pp. 111, 119 s.; F. Baldassari, Postille a F. F. e a Orazio Fidani, singolari interpreti della "favola barocca fiorentina", ibid., X (1992), pp. 121-127 (con bibliografia precedente); G. Cantelli, I pignoniani, o della pittura fiorentina tra Seicento e Settecento..., ibid., pp. 129 s.; P. Bigongiari, La poetica del Seicento fiorentino, in Id., Taccuino pittorico, Bergamo 1994, pp. 177, 179; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XI, p. 530.