CORDOVANI, Felice (in religione Mariano)
Nacque il 25 febbr. 1883 a Serravalle di Bibbiena nel Casentino, fra Camaldoli e La Verna, da Celestino e Petra Bartolini.
Primogenito di numerosa e modestissima famiglia, frequentò le scuole solo fino alla terza elementare, per aiutare poi il padre nel suo lavoro di cantoniere stradale. La sua viva intelligenza spinse, però, lo zio paterno, Giacomo, fratello converso dell'Ordine dei predicatori, a procurargli un posto nel vicino collegio S. Filippo Neri in Bibbiena, annesso al convento domenicano di S. Maria del Sasso, dove entrò quattordicenne nell'autunno del 1897. Nel marzo dell'anno seguente, chiuso il collegio dalle autorità di governo, il C. decise di entrare nell'Ordine domenicano e, dopo due anni di intensi studi, nello stesso convento di Bibbiena fu accolto come novizio con il nome di Mariano.
Ammesso alla professione semplice, nell'agosto 1901 si trasferì a Roma per compiere gli studi nel collegio di S. Tommaso alla Minerva, allora diretto dal p. Enrico Buonpensiere. Superato a pieni voti nel giugno 1909 l'esame di lettorato, che era l'antica laurea teologica dell'Ordine domenicano, venne destinato dai superiori all'insegnamento. Frattanto, nel giugno del 1906, era stato consacrato sacerdote.
Nel novembre 1910 incominciò ad insegnare teologia dogmatica nel collegio S. Tommaso di Roma, esercitando al tempo stesso le funzioni di maestro dei frati novizi studenti. Nel novembre 1912 fu nominato professore del primo anno di filosofia all'Angelicum, il nuovo Pontificio Collegio internazionale, voluto tre anni prima da Pio X come ampliamento dello antico collegio S. Tommaso. Dal 1912-13 al 1916-17 vi insegnò logica, critica e ontologia; nel 1917-18 etica, diritto naturale e sociologia. Nel 1918-19 vi aggiunse un corso sulla filosofia e teologia di Dante, che tenne anche nel 1919-20. Nel 1919-20 passò ad insegnare teologia pastorale e nel 1920-21 sacra predicazione, svolgendo anche un corso speciale sulle questioni sociali moderne.
Contemporaneamente al suo impegno di studioso e di docente il C., chiamato spesso a tenere corsi di esercizi spirituali, cicli di predicazione e conferenze prestò sempre più volentieri la sua collaborazione di studioso e la sua assistenza spirituale di sacerdote alle varie iniziative che il laicato cattolico romano e italiano veniva allora organizzando: al 1912 risalgono i suoi primi contatti col Circolo universitario cattolico di Roma, presso il quale più volte tenne corsi di teologia; nel 1917, su designazione di Paolo Pericoli e mons. Federico Tedeschini, venne nominato assistente ecclesiastico del segretariato di cultura della Gioventù cattolica italiana; nel 1914, infine, al convegno di Genova sulla libertà di insegnamento, conobbe Luigi Sturzo, col quale da allora restò sempre legato da sentimenti di amicizia e reciproca stima, seguendone con simpatia le successive esperienze associative, sociali e politiche, fino alla fondazione stessa del Partito popolare italiano, che vide nascere e svilupparsi con estremo favore.
Con il 1921, passato ad insegnare, per desiderio di Benedetto XV, teologia dogmatica (poi, dottrina e morale cattolica) all'Università cattolica del S. Cuore, dapprima presso la facoltà di filosofia, quindi, dopo il riconoscimento giuridico dell'ateneo, presso quella di lettere e filosofia, si trasferì a Milano, dove, ospite del convento di S. Maria delle Grazie, rimase fino all'estate del 1927. Furono anni di intensa attività di studio, durante i quali videro la luce le sue più importanti pubblicazioni, con l'ambizioso programma di una nuova lettura della teologia e della filosofia di s. Tommaso che consentisse di riproporne principi e metodo a fondamento della cultura moderna.
Le sue lezioni - articolate secondo un organico piano pluriennale in un vero e proprio corso di teologia per laici, il primo di tali corsi edito in Italia - diedero origine alla trilogia, pubblicata dapprima dall'editrice milanese Vita e Pensiero, quindi dalla Studium di Roma, col titolo di Corso universitario di teologia cattolica, I: Il Rivelatore, II: Il Salvatore, III: Il Santificatore, opera che costituisce senza alcun dubbio il più importante contributo del C. alla rinascita del neotomismo in Italia. I riconoscimenti non tardarono a venire: nel dicembre 1923 la S. Congregazione dei Seminari e delle Università degli studi lo dichiarò dottore in filosofia e teologia; nell'aprile 1925 fu nominato socio della Pontificia Accademia di S. Tommaso e, nel novembre dello stesso anno, essendosi reso vacante l'ufficio di maestro del S. Palazzo per la morte del padre Alberto Lepidi, fu tra gli studiosi proposti al pontefice Pio XI per quell'incarico, ma allora, forse per l'ancor giovane età, gli venne preferito il padre Marco Sales; nel maggio 1927 dallo stesso Pio XI gli venne conferito motu proprio il magistero in sacra teologia, il massimo grado accademico previsto nell'Ordine domenicano.
Forte fu l'avversione che nutrì per il movimento fascista, fin dalle sue origini: nella sua "pratica rivoluzionaria" egli vide la diretta influenza dell'idealismo gentiliano, allora dominante nelle scuole e nella cultura italiana, idealismo che egli accusò "di non distinguere più tra la realtà fisica e la realtà morale".
In più occasioni - al congresso degli universitari cattolici di Assisi nel 1923, alla settimana sociale dei cattolici italiani in Torino e al congresso internazionale di filosofia di Napoli nel 1924, alla settimana tomistica di Roma dello stesso anno, al I congresso tomistico internazionale dell'aprile 1925 e, per finire, pubblicando nel 1928 presso Vita e Pensiero Cattolicesimo e idealismo - egli denunciò il soggettivismo e il fondamento ateista dello idealismo gentiliano: "È una concezione che risolve il mondo nell'atto spirituale, o atto del pensiero, come scrive il Gentile, unificando l'infinita varietà naturale ed umana in una assoluta unità, in cui l'umano è divino e il divino è umano". Da tale concezione - scrive il C. - deriva una totale soggettività, secondo la quale niente è reale fuori dal pensiero; una radicale immanenza, per cui tutta la natura e tutta la storia è in quanto creazione dell'Io; un effettivo ateismo, perché l'identificazione sostanziale di Dio con l'uomo e con il creato porta alla sua negazione. Due sono le principali conseguenze che da queste premesse teoriche dell'idealismo necessariamente seguono sul piano pratico: la svalutazione della religione, perché considerata come conoscenza irrazionale, mitica dell'assoluto, e destinata a cedere il posto alla filosofia, vera religione razionale, e l'assolutizzazione dello Stato, incarnazione del divino, che fa suo proprio organo anche la Chiesa, che esso sostituisce nella sua missione, fino ad eliminarla naturalmente quando nell'Io umano avvenga l'assorbimento dell'Io trascendentale, che solo è immortale.
Sul piano politico il C. denuncia le gravi conseguenze di tale identificazione tra Io e Dio, tra intelligenza e volere, che tutto permette a chi riesca a farlo: "Se è vero che lo Stato etico è tutto e noi siamo in lui e per lui, ciascuno può dire: lo Stato sono io". Ed efficacemente dipinge il clima morale di quegli anni: "con l'impeto spontaneo, l'egoismo trova un impulso nell'ambiente dottrinale e sociale, ed alleati nella cultura e nella pratica, tanto che essere uomini di carattere oggi non significa altro che uomo energico, che riesce nelle imprese, che sa piegare a proprio vantaggio tutto quello che incontra, con qualunque mezzo. Si direbbe che Machiavelli sia diventato professore di morale" (Cattolicesimo e idealismo, pp. 9, 79, 102).
Tale sua profonda e pubblica opposizione all'attualismo gentiliano e, quindi, al movimento fascista, gli causò non solo aspre critiche da parte dei seguaci del Gentile, che allora quasi incontrastati dominavano nella cultura italiana, ma anche attacchi personali e censure da parte della stampa e delle organizzazioni del regime: così, al convegno degli universitari cattolici della Federazione universitaria cattolica italiana, che si era inaugurato il 27 ag. 1926 a Macerata, il forte discorso di apertura pronunciato dal C. contro il positivismo giuridico e la volontà di potenza di derivazione nietzschiana, fu certamente causa non ultima dei violenti scontri promossi dai fascisti locali contro i giovani della F.U.C.I., sospettati di scarse simpatie per il regime, e del conseguente trasferimento, all'indomani, della sede del convegno ad Assisi; così, la pubblicazione, nel Febbraio 1926, di un suo articolo su Il concetto di Stato sul primo numero della rivista fiorentina Cronaca sociale d'Italia, diretta da Giovanni Gronchi e Renato Cappugi, provocò il sequestro del fascicolo da parte della prefettura di Firenze, perché contenente "uno scritto informato a considerazioni critiche del Regime".
Questa sua critica radicale al fascismo, di natura culturale, prima che politica, accostò al C. le nuove generazioni del movimento cattolico organizzato, soprattutto quelle, come abbiamo già visto, della gioventù studiosa, che proprio in quegli anni erano alla ricerca di solide basi culturali sulle quali fondare la loro presenza di cattolici nella vita civile del paese. La riflessione teologica del C., alle cui radici, come abbiamo visto, era il pensiero tomista, libero però da schematismi scolastici e ripensato alla luce dei problemi dell'uomo moderno, incontrò larghi favori presso quegli ambienti, che più volte si avvalsero della sua opera e del suo consiglio nelle loro iniziative.
Fin dal primo dopoguerra strinse amicizia con don Giandomenico Pini, don Luigi Piastrelli, Giampietro Dore e Giuseppe Spataro, e con loro fece rinascere, dopo il lungo silenzio della parentesi bellica, Studium, la rivista ideologica della F.U.C.I. Da allora frequentò assiduamente, come relatore o semplice ospite, tutti i congressi degli universitari cattolici, da quelli di Napoli (1924) e di Macerata-Assisi (1926) a quello di Cagliari (1932), dal quale ultimo nacque, grazie anche al suo consiglio e aiuto, il movimento dei laureati cattolici italiani. Legato da profondi sentimenti di stima e amicizia a mons. Giovanni Battista Montini e a Igino Righetti, in quegli anni rispettivamente assistente ecclesiastico e presidente nazionale della F.U.C.I., quindi promotori e guide spirituali del nuovo movimento dei laureati, ne seguì costantemente la difficile opera, aiutandoli nei frangenti più delicati a superare gli ostacoli che dal regime e dagli ambienti clerico-fascisti venivano frapposti alle loro iniziative.
Tornato a Roma nell'ottobre 1927 per assumervi l'incarico di reggente dell'Angelicum, il C. lasciò l'insegnamento presso l'Università cattolica per la difficoltà a mantenere i due incarichi a causa della considerevole distanza fra le sedi, ma anche a motivo di alcuni dissapori che erano nel frattempo intercorsi fra lui e alcuni membri di quell'ateneo.
Durante i cinque anni (ottobre 1927-ottobre 1932) in cui il C. resse il collegio Angelicum, egli vi tenne anche, come docente, i corsi di teologia dogmatica e di predicazione, promuovendo al tempo stesso varie iniziative per favorire la diffusione degli studi teologici non solo fra gli ecclesiastici, ma anche presso il laicato cattolico. Del suo insegnamento il p. Marie Dominique Chenu, che in quel periodo, studente all'Angelicum, aveva attentamente seguito le sue lezioni, scriverà che "dimostrava, contro certi procedimenti vecchi e mediocri, una concezione viva, ampia, aperta, illuminata, del lavoro teologico, che mi aveva entusiasmato".
Lasciato l'incarico di reggente, nel maggio 1933 venne eletto provinciale della provincia romana dell'Ordine domenicano, senza per questo abbandonare l'insegnamento presso l'Angelicum. Anzi, nel 1932-33, invitato dalla facoltà di giurisprudenza dell'università di Firenze, vi tenne un corso di filosofia scolastica, che negli anni successivi, fino al 1936, si tramutò in corso di filosofia del diritto. A questo periodo fiorentino risalgono le sue amicizie con alcuni docenti di quell'ateneo, quali Giorgio La Pira, Gino Arias, Giorgio Del Vecchio, Eustachio Paolo Lamanna, Guido Manacorda e Francesco Bernardino Cicala, e con il gruppo di intellettuali che si raccoglieva attorno a Frontespizio, la rivista di Piero Bargellini, Giovanni Papini e Carlo Bo, che negli anni Trenta rappresentò quanto di più vivo allora espresse la cultura cattolica italiana. E alle famose riunioni del martedì presso la redazione di quella rivista il C. partecipò più volte, tenendo a quegli scrittori anche un ritiro spirituale. Proposto dalla stessa Facoltà fiorentina per il conferimento della libera docenza ad honorem di filosofia del diritto, questa gli venne concessa dal ministro dell'Educazione Nazionale nel dicembre 1933.
Sempre in quegli anni tenne anche lezioni di teologia missionaria al Pontificio Istituto di Propaganda Fide, fino a che la nomina, da parte di Pio XI, a maestro del Sacro Palazzo apostolico (18 luglio 1936) gli impose di abbandonare ogni attività di insegnamento e ogni incarico nell'Ordine. Solo nel 1939 riprese ad insegnare pedagogia e filosofia teoretica presso l'Istituto di magistero Maria SS. Assunta, a Roma, istituto per religiose che egli stesso aveva contribuito a fondare.
La fiducia di Pio XI che lo nominò anche consultore di varie Congregazioni romane, venne confermata dal successore, Pio XII, il quale tenne i suoi consigli in così gran conto da nominarlo nell'ottobre 1942 teologo della segreteria di Stato, carica mai esistita per l'innanzi e creata appositamente per lui. Si volle in tal modo sottolineare il contributo di dottrina ed esperienza che il C. di fatto da tempo portava non solo alle decisioni del pontefice, ma anche a quelle degli uffici preposti alla conduzione politica della S. Sede, in un momento particolarmente significativo e delicato della vita internazionale.
In quel periodo, l'antica e profonda amicizia che da anni, come abbiamo visto, lo legava a mons. Montini, allora sostituto della segreteria di Stato, ebbe così modo di accrescersi da una frequentazione quotidiana e dal lavoro comune: importante, ad esempio, fu il sostegno fermo e convinto che, all'interno della Curia romana, egli diede all'azione di mons. Montini, volta a favorire quei gruppi di cattolici democratici che fin dagli ultimi anni del conflitto mondiale cominciavano a porre le basi per una futura azione politica e sociale nei vari paesi europei. In Italia, in particolare, il suo appoggio fu per quegli uomini che, attorno ad Alcide De Gasperi, venivano costituendo la futura Democrazia cristiana: si trattava, per lo più, di quadri politici e intellettuali che durante il ventennio avevano militato nelle file della F.U.C.I. e del Movimento dei laureati cattolici e che egli stesso aveva in vario modo contribuito a formare.
Consapevole, infatti, delle molte e infelici compromissioni intercorse fra mondo cattolico e regime fascista, che nei primi anni del secondo dopoguerra suscitavano ancora profonde nostalgie in seno al cattolicesimo italiano, il C. comprese che solo De Gasperi e i suoi amici, rimasti immuni durante il ventennio da ogni illusione filofascista, avrebbero potuto degnamente rappresentare il laicato cattolico italiano in seno al nuovo Stato democratico e gradualmente con pazienza e tenacia convertirlo ad una adesione sincera alla libertà e alla democrazia.
In tal modo, a nostro avviso, va giudicata la sua tenace opposizione alla nascita tra i cattolici italiani, di movimenti politici di sinistra, quali il Movimento dei cattolici comunisti, poi Partito della sinistra cristiana, e il Partito cristiano sociale di Gerardo Bruni. Infatti, il loro apparire sulla scena politica - non a caso visto con favore da esponenti della Curia romana anche di tendenze opposte, cioè decisamente conservatori, quale l'allora assessore al S. Uffizio, mons. Alfredo Ottaviani - avrebbe al tempo stesso provocato e legittimato sul lato opposto dello schieramento politico la comparsa di formazioni cattoliche di ispirazione conservatrice e reazionaria, che al contrario di quelle di sinistra, allora sparute minoranze, avrebbero largamente mietuto nel mondo cattolico italiano ancora prevalentemente attardato nel sogno, nutrito durante il regime fascista, di fondare in Italia, in pieno secolo XX, uno Stato cattolico "organico", secondo un astratto modello neocorporativo medievaleggiante.
La linea di condotta, propugnata dal C. e da mons. Montini, venne allora fatta propria dalla S. Sede, preoccupata certamente anche delle eventuali ripercussioni che la nascita di vari partiti politici di espressa professione di fede cattolica avrebbe potuto avere sulla stessa unità religiosa del cattolicesimo italiano. È innegabile, tuttavia, che fu una scelta, più volte ribadita durante il successivo trentennio, che consentì una costante e progressiva crescita culturale, religiosa e, in definitiva, anche politica del laicato cattolico italiano.
Il C. morì a Roma, nel palazzo apostolico del Vaticano, il 5 apr. 1950.
Oltre alle opere citate vanno ricordate: Lo avvento di Gesù nell'ora che passa, Grottaferrata 1916; Il Regno di Dio, Roma 1918; Elementa iuris naturalis internationalis, Aretii 1924; L'attualità di s. Tommaso, Milano 1924; Rivelazione e filosofia, ibid. 1924; Cattolicesimo e idealismo, ibid. 1928; Saggezza e santità - Meditazioni filosofiche, ibid. 1931; Itinerario della rinascita spirituale, Roma 1946; Spunti di sociologia, ibid. 1948; Breviario spirituale secondo l'"Imitazione di Cristo", ibid. 1950.
Dei numerosi opuscoli, articoli, recensioni non è possibile in questa sede dare compiuto elenco. Si segnala che il C. scrisse prevalentemente sui seguenti giornali: Rosario - Memorie domenicane, Sicut Rosa, Fides et Labor, Riv. di filos. neoscolastica, Gioventù italica, Riv. intern. di scienze sociali e discipline ausiliarie, Il VII Centenario di S. Domenico, Studium, L'Osservatore romano, Vita e pensiero, L'Avvenire d'Italia, Memorie domenicane, Angelicum.
Delle varie edizioni critiche da lui curate si ricordano: S. Bonaventura, Itinerario della mente in Dio, Milano 1927; Leone XIII, Aeterni Patris, Roma 1927; A. Franchi, Pedagogia, Firenze 1941; S. Caterina da Siena, Breviario di Perfezione, ibid. 1943.
Fonti e Bibl.: Docum. e lettere del C. sono custoditi presso l'Arch. Segreto Vaticano e gli archivi della Provincia romana dell'Ordine dei padri domenicani, dell'Università cattolica del Sacro Cuore di Milano, della Feder. universitaria cattolica italiana e del Movimento laureati di azione cattolica. Cfr., inoltre, i necrol. in L'Avvenire diItalia, 11 apr. 1950; L'Osservatore Romano, 13 apr. 1950 e 5 maggio 1950; Sapienza, III (1950), 2-3, pp. 177-194; Città di vita, V (1950), 3, pp. 344 ss.; Riv. intern. di filos. del diritto, s. 3, XXVII (1950), 3-4, pp. 601-607; G. Anichini, Cinquant'anni di vita della F. U. C. I., Roma 1947, pp. 97, 108 s., 123, 174, 242 ss.; A. Baroni, I. Righetti, Roma 1947, pp. 22, 33; L. Allevi, Mezzo secolo di teologia dogmatica e apologetica inItalia (1900-1950), in La Scuola cattolica, LXXX (1952), 5-6, pp. 365-385; R. Spiazzi, P. M. C..., con pref. di G. B. Montini, voll. 2, Roma 1954; L. Ciappi-B. Mattarella-C. Costantini, La figuraspirituale diP. M. C., in Sapientia, X (1955), pp. 253-265; G. C. Vigorelli, Gronchi. Battaglied'oggi e di ieri, Firenze 1956, pp. 296, 491; L. Ciappi, C. F. M., in Enc. filos., Firenze 1957, I, coll. 1241 s.; A. Bacci, Nel decennio dellamorte del P. M. C., in Mem. domenicane, LXXVII (1960), pp. 81-92; G. F. Bianchi, 25Luglio: crollodi un regime, Milano 1963, p. 294; R. Murri nellastoria politica e religiosa del suo tempo, Atti delconvegno di studio, Fermo, 9-11 ott. 1970, a cura di G. Rossini, Roma 1972, p. 455; G. Marcucci Fanello, Storia della Federaz. universitaria cattolica ital., Roma 1971, pp. 10, 75; L. Bedeschi, Cattolici e comunisti, Milano 1974, pp. 105 s., 109, 113, 118 s., 128, 146, 150; R. Guarnieri, DonGiuseppe De Luca tra cronaca e storia, Bologna 1974, pp. 48, 55; M. C. Giuntella, I fatti del 1931, in I cattol. tra fascismo e democrazia, a cura di P. Scoppola-F. Traniello, Bologna 1975, pp. 217 s.; C. F. Casula, Lo scioglimento della sinistracristiana, ibid., pp. 312, 324-327, 341, 353 s.; F. Genovesi, Posizione onesta di padre C. di fronteal fascismo, in Idea, XXXI (1975), 8-9, pp. 31 s.; C. F. Casula, Cattolici comunisti e sinistra cristiana (1938-1945), Bologna 1976, pp. 146, 160, 166, 182 ss., 186, 205, 216; G. F. Merli, Contro ilMoloch che tutti opprime, in La Discussione, 15 nov. 1976; E. Cavalcanti, Appunti sull'ecclesiologiatra il 1924e il 1939, in Cattolici e fascisti in Umbria (1922-1945), a cura di A. Monticone, Bologna 1978, pp. 168 ss.; S. Magister, La politicavaticana e l'Italia (1943-1978), Roma 1979, pp. 48, 51, 109, 156; A. Rimoldi, "La Scuola cattolica" e il fascismo durante il pontificato di Pio XI, in Chiesa, Azione cattolica e fascismo nell'Italiasettentr. durante il pontificato di Pio XI (1922-1939), Milano 1979, pp. 567, 586; N. Antonetti, La F. U. C. I. di Igino Righetti: lettere ad AngelaGotelli, ibid., p. 1066; B. Bertoli, Icircoli dellaF. U. C. I. in Italia settentrionale di fronte al fascismo nel 1924-25, ibid., pp. 1107 s.; R. Moro, Laformazione della classe dirigente cattolica (1929-1937), Bologna 1979, pp. 102, 240, 450, 540, 542; A. Riccardi, Roma "città sacra"? Dalla Conciliazione all'operazione Sturzo, Milano 1979, pp. 33 s., 53, 72, 226, 321.