CAVAZZA, Felice
Nato a Bologna il 21 sett. 1829 da Giuseppe e da Valentina Fontana, all'età di 21 anni, in seguito al ritiro dagli affari dello zio paterno Giovanni, ne prendeva il postoall'interno del Banco Fratelli Cavazza, impegnando nella società duemila scudi anticipatigli dal padre.
Al momento del suo ingresso nell'azienda, il Banco contava ormai molti anni di vita. Lo aveva avviato a Bologna, agli inizi del secolo, Girolamo Cavazza, suo nonno paterno. Di famiglia dedita per tradizione al mestiere di selciaio e non estranea, come scriverà più tardi un familiare del C., Girolamo Cavazza (Il banchiere..., p. 97), al commercio illegale, ma ampio e continuo, "di canapa e di derrate che di notte si camuffano dai coloni sulla massa comune", questi aveva aperto fin dal 1811 in piazza Maggiore, sotto il portico di palazzo del Podestà detto dei Cappellari, un banco di cambiavalute. Cominciato con pochi mezzi, aveva avuto in breve tempo grande fortuna. Nel 1836, al ritiro dagli affari di Girolamo, i figli di questo Giuseppe, Giovanni, Pietro e Angelo avevano proceduto alla divisione di un patrimonio familiare ormai considerevole. Si trattava di 15.000 scudi di denaro e crediti del banco di cambiavalute, e di altri 15.000 scudi circa del valore di alcune terre, intorno ai cinquanta ettari, acquistate tra il 1828 e il 1835 nelle campagne bolognesi. La società, con un capitale di 8.000 scudi versato in parti uguali dai quattro eredi, aveva proseguito la propria attività con il nome del fondatore sino alla sua morte nel 1840, e con quello di Banco Fratelli Cavazza dal 1841. Nel 1847 Giuseppe aveva ceduto il proprio posto al primogenito Luigi, al quale nel 1850 si era affiancato il C., secondogenito e minore del fratello di alcuni anni.
Il suo ingresso nella società, costituita oltre che dal C. e dal fratello maggiore Luigi, dagli zii paterni Angelo e Pietro, coincise con un periodo di gravissimo disordine nelle condizioni monetarie del Bolognese e aprì una fase di significative trasformazioni nella vita interna del Banco. In una situazione definita dalla circolazione di buoni del tesoro del governo pontificio, di biglietti emessi dalla Repubblica romana, di svanziche introdotte al seguito delle truppe di occupazione austriache, e caratterizzata da una generale carenza di moneta metallica e da manovre speculative, il Banco venne consolidando la propria attività, portando il capitale sociale, di 8.000 scudi ancora nel 1850, a 24.000 scudi nel giugno del 1854 e a 30.000 nel dicembre dello stesso anno.
Intanto nel 1853 lo zio paterno Angelo, che più volte aveva finanziato il movimento liberale bolognese e combattuto volontario nel Veneto, veniva arrestato, e nel'55, alcuni mesi dopo la sua liberazione, moriva. Nel 1864 l'altro zio paterno del C., Pietro, sollecitato dai nipoti, rinunciava alla partecipazione nella società, pur continuando a svolgere le funzioni di cassiere, e nel 1870 moriva. Nel 1880, alla scomparsa del fratello Luigi, il C., avendo convenuto con i familiari che, in caso di morte di uno dei soci, gli eredi non sarebbero entrati a far parte della società, concentrava nelle proprie mani il controllo e la direzione del Banco.
L'esclusione da una attività ormai solida e fonte di larghi profitti, e la fortuna del C. valutata nell'ordine di diversi milioni indussero alcuni componenti della famiglia a esprimere lagnanze e ad avanzare anche richieste di compenso. Accordatosi con il fratello Gaetano in seguito all'intervento di comuni amici, il C. venne coinvolto dagli eredi dello zio, Pietro in una lunga e aspra contesa. Assolto dal Tribunale di Bologna dall'accusa di dolo e dalle richieste avanzate dai cugini, egli fece le spese della amarezza e del risentimento di uno di loro, omonimo del fondatore del Banco.
Questi, tra il 1880 e il 1885, gli dedicò infatti alcuni romanzi, ritraendolo in termini impietosamente caricaturali e muovendo nei suoi confronti una serie di gravissime insinuazioni. Nelle delicate circostanze del processo e della pubblicazione di quegli scritti, che il cugino Girolamo aveva cura di far pervenire agli uomini più rappresentativi della città, la stampa e gli ambienti politici ed economici bolognesi mostrarono nei confronti del C. una solidarietà senza sbandamenti e incrinature.
Creato nobile nel 1883, nel 1885 il C. poteva aggiungere al proprio nome il titolo di conte. Raccoglieva in quegli anni i frutti della lunga e abile attività che lo aveva visto, all'indomani dell'unificazione, impegnare il Banco nell'apertura di forti crediti alle amministrazioni provinciali e comunali, nell'acquisto e nel collocamento di grandi quantità di titoli del debito pubblico e nella compravendita di numerosi terreni degli enti religiosi soppressi. Il settore più importante delle operazioni del Banco rimasero tuttavia, anche nel periodo successivo, le campagne bolognesi, e in particolare il finanziamento del commercio e della esportazione della canapa.
In una fase, in cui la produzione toccava nella provincia le punte massime,e per la quantità di tiglio ottenuta e per l'estensione investita, il C. concesse larghi fidi alle più importanti case inglesi, tedesche e spagnole ianpegnate nell'esportazione della fibra e interessate agli acquisti sui mercati di Bologna, di Ferrara e di Napoli. Gli investimenti fondiari rappresentarono poi la destinazione privilegiata dei profitti del capitale bancario. Alla fine del secolo le tenute S. Martino, S. Antonio, Fiorentina e Durazzo, comprendenti terreni asciutti e vallivi per 3.500 ettari circa, e condotte in parte a mezzadria e in parte affittate a grandi imprenditori capitalisti, costituivano ormai uno dei patrimoni fondiari più importanti della provincia. Agli affittuari, ai quali si associò in alcuni casi anche il nipote del C., Filippo, il Banco accordava crediti sostenendoli nella conduzione dei terreni e in modo particolare nella coltivazione del riso e nell'esecuzione di lavori di bonifica.
Strettamente legato dunque agli ambienti politici, commerciali e agricoli della provincia, il C. dedicò al Banco e alla costruzione del patrimonio familiare le migliori energie, ricoprendo cariche pubbliche solo nell'ambito di alcune istituzioni economiche cittadine. Membro del Consiglio di amministrazione della succursale della Banca nazionale, consigliere dal 1863 al 1906 della Camera di commercio di Bologna, contribuì con una forte somma alla fondazione, per iniziativa del figlio Francesco, dell'istituto dei ciechi, destinando inoltre al compenso dei docenti della facoltà di giurisprudenza la rendita di una cospicua donazione in danaro fatta nel 1892 all'università di Bologna.
Morì a Bologna il 13 marzo 1908.
Fonti e Bibl.:Rogiti dei notai Albertini, Felicori, Contavalli e Pallotti, relativi all'acquisto di terreni da parte dei figli di Girolamo Cavazza, alla divis. del patrimonio del fondatore del Banco e all'ingresso del C. nella società, si trovano all'Arch. di Stato e all'Arch. notarile di Bologna. Per le vicende interne del Banco dalle origini al 1880 circa, si v. G. Cavazza, Storia del Banco Cavazza, Bologna 1879; e Tribunale di commercio di Bologna, Disputazione nella causa formale di Cavazza Girolamo contro C. cav. F. per causa di dolo, Bologna 1880. Una testimonianza tanto ampia quanto malevola intorno alla figura e all'opera del C. è offerta da altri scritti di G. Cavazza: Speculum iustitiae. Romanzo intimo in tre atti, Firenze 1881; Vaghezze e melanconie di un matto. Leggenda, Firenze 1882; Il banchiere. Storia domestica dei nostri tempi, Bologna 1885. Si vedano inoltre i necrologi del C. in: Il Resto del Carlino, 14 marzo 1908; La Gazzetta dell'Emilia, 15marzo 1908, e la biografia in C. Belloni, Dizion. storico dei banchieri ital., Firenze 1951, pp. 63 s.