CASORATI, Felice
Figlio di Francesco, ufficiale dell'esercito, e di Carolina Borgarels, nacque a Novara il 4 dic. 1883. Dotato di un'acuta e vasta intelligenza e di multiformi interessi culturali, fin quasi ai vent'anni pensò di affermarsi come musicista, studiando composizione. Tuttavia, dal 1902 aveva incominciato a dedicarsi alla pittura, frequentando lo studio di Giovanni Vianello, durante il soggiorno a Padova, dove, per ubbidire al padre, si era iscritto alla facoltà di legge. La pittura era la sua vera vocazione, e l'anno stesso in cui consegui la laurea, nel 1907, inviò alcune opere alla Biennale di Venezia.
Ottenne un successo straordinario: la commissione accettò, unanime, uno dei suoi quadri, Ritratto della sorella Elvira (conservato, come tuttì gli altri per cui non si dànno diverse indicazioni, a Torino, coll. Casorati), e la critica salutò con entusiasmo la scoperta del giovane e promettente artista. Non bisogna dimenticare che il C. conciliava in sé due contrastanti tendenze: quella dei fautori delle più coraggiose ricerche innovatrici e quella di coloro che, pur volendo dimostrarsi aperti a una nuova visione dell'arte, continuavano ad ammirare, più o meno segretamente, Luigi Nono ed Ettore Tito, Dall'Oca Bianca e Italico Brass. La mocernità degli scorci e delle deformazioni del C. poteva essere interpretata come una stilizzazione letteraria di tendenza neoclassica. Ed egli affermava che, invece di dipingere l'apparenza delle cose, come facevano i pittori del suo tempo, intendeva dipingere soltanto la verità.
Sempre seguendo gli spostamenti della sua famiglia, dal 1908 al 1911 il C. visse a Napoli, dove riprese a studiare dai gessi e dal vero, e dove dipinse Le vecchie (1909: Roma, Gall. naz. d'arte moderna), un quadro ispirato dalla Parabola dei ciechi di Bruegel. Nel 1911 si stabilì a Verona, dando inizio a un periodo di travagliate ricerche e creando varie opere che segnano tappe molto importanti nella sua sofferta esperienza pittorica.
All'acuta indagine psicologica dei primi lavori i si era aggiunto, già nel periodo napoletano, un simbolismo di ispirazione secessionista e di carattere allegorico, sviluppato poi maggiormente in Signorine, del 1912 (Venezia, Grall. d'arte moderna). Dello stesso anno è Ragazze padovane e dell'anno seguente Nudo di ragazza (Torino, Gall. "La Bussola") e Nudino. Nel 1913 partecipò alla mostra dei dissidenti di Ca' Pesaro in fraterna solidarietà con Gino Rossi e Semeghini, non condividendo che in parte le loro tendnze estetiche, e tuttavia legato a loro da un uguale spirito d'indipendenza di fronte all'accademismo dei "maestri" che dominavano alle Biennali veneziane (vedi, per tutto il periodo veronese, Magagnato, 1971). Nel 1914 il C. espose alla Biennale Trasfigurazione (in cui il simbolismo raggiungeva livelli esasperati e che il pittore in seguito fece distruggere: ill. nel catal., n. 93), L'arcobaleno e Via lattea (Milano, Galleria Blu), che fu anche il titolo della rivista, fondata a Verona in quello stesso anno, della quale l'artista era redattore insieme con A. Calabi, P. Tedeschi e U. Zerbinati (Marchi, 1971, pp. 71 s.).
Il C. e i suoi collaboratori si proponevano di dar vita a un periodico che comprendesse soltanto scritti poetici e disegni. Ma ne uscirono due soli numeri (dei quali il C. curò la veste grafica, interessante per la modernità ispirata allo "Jugendstil"), illustrati con disegni dell'artista, giudicati da qualche critico espressioni di "una pericolosa inclinazione decorativa" (L. Fumi, Un artista piemontese, F. C., in Ardita, I [1919], p. 626).
Del 1914 sono le Marionette (Venezia, Coll. priv.) e le Uova sul tappeto verde (Torino, Coll. priv.), una delle opere in cui è già definita la personalità dell'artista, esposta alla mostra romana della "Secessione" del 1915. Scoppiata la guerra, il C. vi partecipò, trascurando per qualche anno la pittura. Nell'autunno del 1918, dopo la morte del padre, si stabilì, con la famiglia, definitivamente a Torino, per riprendere la sua instancabile attività di artista. Anche nella nuova dimora egli non dimenticò il sodalizio con gli amici veneti: espose infatti per la prima volta a Torino nel 1919 (tre dipinti alla mostra della Società promotrice di Belle Arti) nella sezione dedicata agli artisti delle Tre Venezie e continuando così le battaglie sostenute a Ca' Pesaro. Nell'anno 1920 il C. rifiutò l'invito alla Biennale, per esporre di nuovo a Ca' Pesaro con gli amici del 1913. Il pastore (1918, Torino, Coll. Bertasso) e Tiro al bersaglio (1918) concludono questo periodo e anticipano le opere degli anni in cui il pittore raggiunge la sua piena maturità.
Alla Biennale del 1920 il C. poté studiare a fondo l'arte di Cézanne, rappresentata da una serie importante di opere, appartenenti in gran parte alla collezione del fiorentino E. Fabbri (pp. 123 s. del catal.). Da Cézanne apprese a costruire per strutture volumetriche il quadro, come accordo di masse, di linee e di colore in funzione reciproca, in perfetta correlazione, senza effetti di chiaroscuro. Pur non allineandosi con i pittori metafisici, vi è nelle sue opere un'atmosfera di suspense, un carattere di malinconica solitudine, un senso di profondo distacco.
In questi anni la sua estetica si condensa nella massima: "Numerus, mensura, pondus". Fra i quadri più importanti vanno ricordati: Uova sul cassettone (1920), Fanciulla addormentata (1921: distrutto da un incendio nel 1931 nel Palazzo di vetro di Monaco con altri suoi dipinti), La donna e l'armatura (1921), Le due sorelle (1921: Milano, Coll. Balzarotti), Ragazza nuda (1921: Milano, Coll. priv.), Meriggio (1922: Trieste, Museo Revoltella, considerato da molti il suo capolavoro), Ritratto della sorella (1922: bruciato a Monaco), Silvana Cenni (1922), Lo studio (1922-23: bruciato a Monaco), i tre Ritratti della famiglia Gualino (1922-23: Firenze, Coll. Gualino), Concerto e Duplice ritratto (1924: Bergamo, Coll. Crippa), Ritratto della signorina Rigotti (1924: Torino, Coll. Righetti), Ritratto della signora Wolf Ferrari (1925: Torino, Gall. civica d'arte moderna), Daphne (1928: Firenze, Coll. Ojetti), Mia madre (1930: U.S.A., Coll. Garrett).
In quel periodo Torino visse una grande stagione: fu un centro di cultura vivissimo, grazie alla presenza di personalità come Edoardo Persico, Lionello Venturi, Antonio Granisci e Piero Gobetti (che, nel 1921 scrisse un saggio impegnativo sul C.), nonché per il mecenatismo di Riccardo Gualino. Fu caratteristico di quell'ambiente l'interesse per un rapporto fra tutte le diverseespressioni dell'arte: da quelle visive alla musica e al teatro. In quella atmosfera di grande vitalità ideologica e creatrice il C. trovò la spinta più coraggiosa per rivelare la sua multiforme personalità.
Gualino gli affidò la responsabilità architettonica e decorativa nella costruzione del teatrino privato annesso alla sua casa. Pur essendo privo di ogni esperienza in quel campo, il C. seppe risolvere in modo brillante e originale, libero dal peso della tradizione, il problema di creare un ambiente suggestivo. Il teatrino, inaugurato il 27 apr. 1925, fu attivo sino al 1930; restano i disegni nella collezione Casorati (Gallarini, 1968, pp. 21-23). Gualino ebbe anche il merito di stimolare nel C. l'interesse per le arti applicate, incaricandolo di disegnare i mobili per la sua casa (con la collaborazione tecnica dell'architetto A. Sartoris). In questi vi è un continuo riferimento alla sua opera di pittore, poiché sono gli stessi che appaiono nei suoi quadri, con una stilizzazione di linee e una funzionalità che anticipa le linee geometriche venute poi di moda.
Alla Biennale del 1924, dove, presentato da L. Venturi, aveva esposto in una personale dipinti degli ultimi due anni, l'artista ottenne un grande successo, confermato in quella del 1928 e alla prima Quadriennale romana del 1931. in cui ebbe un premio. Ormai aveva raggiunto una fama europea e per oltre quarant'anni egli seppe niantenersi a quel livello, meritando altri riconoscimenti di grande prestigio: il premio Carnegie a Pittsburgh nel '37; l'anno seguente quello del comune di Venezia alla Biennale e un "Grand prix" a Parigi; e nel '39 un altro premio impoftante all'Esposizione internazionale di San Francisco.
Dopo la grande stagione degli anni '20, sono da ricordare fra le più importanti opere di pittura del C.: Figura seduta (1937. Venezia, Gall. d'arte moderna), Venere bionda (1934: Parigi, Musée nat. d'art moderne), Ragazza di Pavarolo (1937: Torino, Gall. civ. d'arte moderna), Bambino nello studio (1937: Firenze, Coll. Casella), Giovane donna (1940: New Rochelle, N. Y., Coll. Muggia), Pere sulla tavola (1940: Bologna, Coll. Mascioli), Piedi di gesso (1940), Ragazzo con il libro giallo (1945: Bologna, Coll. Mascioli), Uova sul tappeto (1948), Lo spaventapasseri (1948: Maser [Treviso], Coll. Lüling-Volpi), Paralleli (1949: Biella, Coll. Colongo), Nudo nelpaesaggio (1952: Udine, Coll. Sirck), Testa gialla (1952: Torino, Coll. Rossi), Limoni sul tappeto (1955: Valenza, Coll. Ferraris).
Alla Biennale del 1952una grande mostra retrospettiva ripropose l'opera dell'artista - dal Ritratto della sorella del 1907 sino alla sua produzione più recente - consacrandone la straordinaria vitalità e la posizione che la critica più avveduta gli aveva assegnato nell'arte italiana del Novecento. Le sue opere sono entrate a far parte delle più importanti collezioni pubbliche e private in Italia e all'estero.
Non bisogna dimenticare, accanto alle opere di pittura del C., la sua attività di grafico, scultore, architetto, scenografo, nonché l'interesse per le arti decorative: questa concezione della scambievole "unità delle arti" era stata incoraggiata, come si è detto, dall'ambiente intellettuale torinese (si vedano i mosaici eseguiti per la VI Triennale di Milano Il di proprietà dell'Ente autonomo, o le sculture già nel teatro di casa Gualino: per tutte queste attività "minori" del C. vedi il catalogo della mostra di Novara del 1968).
L'opera grafica è particolarmente indicativa, in quanto permette di seguire, meglio che nella pittura, le varie ricerche compiute dal. C. nel corso della sua vicenda artistica, come preparazione e studio (catal. 1968, pp. 129-131). Il C. si era dedicato alla scultura sin dal tempo della mostra del 1913 a Ca' Pesaro, dove aveva conosciuto Arturo Martini; e la martiniana Fanciulla piena d'amore gl'ispirò la Testa di Ada, esposta poi alla mostra della "Secessione" romana, nel 1915, insieme con le opere di pittura e xilografie per l'Eroica. Dello stesso periodo è la Maschera nera (catal. 1968, p. 131).
Le sculture del C. non nascono da una ben definita ispirazione plastica; egli non fa una netta distinzione tra le varie forme d'arte: una stessa idea può essere tradotta sia in pittura sia in scultura e anche nella grafica. Le sue opere plastiche più importanti sono degli anni '20.
Il C. continuò ad occuparsi anche di architettura: basterà dire che alla Triennale di Milano del 1933, egli ebbe l'incarico di allestire l'atrio della Mostra di architettura.
Svolse inoltre una intensa attività di scenografo, in particolare per il teatro Civico di Torino, con idee molto personali: la "struttura"doveva prevalere sulla "pittura"; lo scenografo doveva disegnare anche i costumi; le sue creazioni, legate alla poesia e alla musica - e non mai reaIistiche - dovevano suscitare "un'atmosfera magica e un ambiente di sogno", come ebbe a dire in un suo scritto.
L'esordio ufficiale del C. fu l'allestimento della Vestale di Spontini per il Maggio musicale fiorentino nel 1933;ma già aveva partecipato (e continuò poi) a iniziative "private" di Torino, quali quelle per il già citato teatro di casa Gualino e per la "Pro cultura femminile" per la quale allestì La Boîte à joujoux di Debussy nel 1936. Creò i bozzetti per l'Orfeo di Monteverdi (Roma, teatro dell'Opera) nel 1934;per la Norma di Bellini, di cui fu anche regista, nel 1936(Firenze, Maggio musicale) e 1937(teatro Nazionale di Varsavia e Opéra di Parigi); per la Valchiria nel 1936(Milano, La Scala), e così di seguito sino alle scene e costumi per l'Elettra di Sofocle (Milano, Piccolo teatro) nel 1951. Negli anni fra il '40 e il '50 fu specialmente lo scenografo dei suoi amici musicisti: Casella, Malipiero, Petrassi, Ghedini, Dallapiccola (per il C. scenografo si v. oltre a Rosci, 1968, pp. 29-37, 181, Encicl. dello Spettacolo, III, coll. 180 s.).
Il C. fu anche un grande maestro: comincio a insegnare dal 1923 nel suo libero atélier. Tra i suoi numerosi allievi (Carluccio, 1964, p. 292) fu Daphne Maugham (nata a Londra nel 1897, nipote di William Somerset Maugham) che il C. sposò nel 1930; il loro figlio Francesco (nato a Torino il 2 luglio 1934) è pittore e grafico (ha firmato talvolta "Casorati Pavarolo"). Nel 1928 ottenne l'incarico (riconfermato l'anno seguente) della cattedra di arredamento e decorazione interna all'Accademia Albertina di Torino, dove divenne titolare della cattedra di pittura nel 1941.
Dotato di una inconfondibile personalità, il C. non si lasciò coinvolgere nei movimenti d'avanguardia del suo tempo il fauvismo, l'espressionismo, il cubismo, il futurismo - eppure seppe trarre da essi la linfa vitale per infondere uno spirito di modernità nelle sue opere, impostate su un classico rigore intellettuale. Il C. morì a Torino il 1° marzo 1963.
Fonti e Bibl.: Nel 1964 L. Carluccio ha curato la presentaz. nel Catal. della XXXII Biennale di Venezia del catal. della Mostra antologica nella Galleria civica d'arte moderna di Torino e il volume pubbl. a Torino, dove si trova una bibliografia (non disposta in ordine cronol.), e un elenco non completo dei dipinti e (p. 359) degli scritti del C. (si cit. fra gli altri: La colazione del mattino, in Poesia ed arte, febbr. 1922; Fontanesi, in Gazzetta del Popolo, 13 genn. 1937; Pagina biografica, in Fiera letter., 12 ott. 1956; un saggio sulla pittura moderna in AZ Panorama, VII, Bologna 1960, p. 626. Si vedano inoltre i necrologi di E. Lavagnino, in Il Messaggero, il marzo 1963, e V. Guzzi, in Il Tempo, 2 marzo 1963; e P. Gobetti, F. C. pittore, Torino 1923; uno scritto del Gobetti sul C. apparso in Poesia ed arte, dic. 1920, pp. 228-237 è ristampato in Catal. della mostra Verona anni venti, Verona 1971, pp. 108-115); L. Venturi, in Catal. della XIV Biennale, Venezia 1924, pp. 88 s.; R. Giolli, F. C., Milano 1925; L'art italien des XIXe et XXe siècles, Paris 1935, pp. 95 s.; G. Gorgerino, F. C., Venezia 1943; A. Galvano, F. C., Milano 1947; L. Carluccio, in Catal. della XXVI Biennale, Venezia 1952, pp. 55-57; G. Perocco, Primi esposit. di Ca' Pesaro, Venezia 1958, ad Indicem;M. Valsecchi, Capolavori d'arte moderna nelle raccolte private di Torino, Torino 1959, pp. 17, 53, 57 s.; G. Marchiori-G. Perocco, Grafici del primo Novecento ital., Milano 1963, pp. 69-73; C. Munari, Gli artisti di Ca' Pesaro, Rovereto-Bologna 1967, ad Indicem;C. L. R[agghianti], in Arte moderna in Italia 1915-1935 (catal.), Firenze 1967, pp. XIII, XXII, 14, 177-179; Z. Birolli-M. Rosci-L. Gallarini, C.-Opere grafiche, sculture, scenografie (catal. della mostra a Novara), Milano 1968; Catal. della mostra Verona anni venti, a cura di L. Magnagnato e G. P. Marchi, Verona 1971, pp. 9-57 (passim), 71-74, 108-115, 120, 128, 139-143, e numerose ill.; L. Cavallo, in Gall. d'arte Mercurio, F. C. (catal.), Biella 1972; A. M. Brizio, in Mostra del Liberty italiano (catal.), Milano 1973, pp. 131-135, 179; Galleria Bottega d'arte, C. (catal.), Acqui Terme 1973; Gall. d'arte mod. Falsetti, Omaggio a F. C. (catal.), Cortina d'Ampezzo-Prato 1973; C. Marsan, in F. C., opera grafica (catal.), Castello Malaspina, Massa 1974; R. Collura, La Civica Gall. d'arte mod. di Palermo, Palermo 1974, pp. 80 s., 90, fig. 43; Aspetti dell'arte a Roma dal 1870 al 1914 (catal.), Roma 1974, p. LIII; Catal. nazion. Bolaffi d'arte moderna, X, 1, Torino 1975, pp. 70-73.