CASATI, Felice
Nato a Milano nel 1581 la sua figura è stata rievocata dal Manzoni (I Promessi sposi, cap. XXXVI).
Non se ne conosce il nome da secolare, né è noto a quale ramo della famiglia appartenesse: dai verbali del Consiglio generale di Milano risulta soltanto che aveva un fratello, di nome Antonio, "impiegato nel servigio della città" (Milano, Arch. stor. civico, Dicasteri, cart. 47, fasc. 4, 12 maggio 1646).
A ventidue anni vestì l'abito cappuccino; dopo aver compiuto il noviziato e gli studi ecclesiastici, si dedicò alla predicazione e all'insegnamento: nel 1615 si trovava nel convento di Lugano e, l'anno successivo, in quello di Merate; tra il 1621 ed il 1630 fu maestro dei novizi ad Orta e a Vigevano. Nel marzo 1630 predicava la quaresima a Milano, allorquando la peste si dichiarava in tutta la sua gravità.
L'epidemia, portata nell'autunno precedente dalle truppe imperiali in transito per Mantova e sopraggiunta dopo un periodo di carestia, stava allora entrando nella fase più acuta. In tale congiuntura si presentava imperiosa la necessità di affidare la direzione dei lazzaretto a una persona in grado di assicurarne l'ordinato e regolare funzionamento. Mezzo secolo prima, in occasione della peste del 1576, tale pesante responsabilità era stata assunta da un cappuccino, il padre Paolo Bellintani da Salò; richiamandosi a questo precedente, i magistrati del tribunale di Sanità si rivolsero al commissario provinciale dell'Ordine, affinché designasse un confratello atto a ricoprire il poco ambito ufficio. Dinnanzi all'impossibilità del commissario di aderire alla richiesta, alcuni gentiluomini milanesi si recarono dal C. per esporgli il grave imbarazzo nel quale si trovavano le autorità cittadine. Questi si dichiarò pronto ad assumere l'incarico, sempre che i superiori lo avessero autorizzato.
Ottenuto il necessario consenso, il C. entrava nel lazzaretto il 30 marzo 1630, per prendere possesso di quella carica di governatore che avrebbe poi occupato per quasi due anni (e non per sette mesi, come erroneamente afferma il Manzoni).
Nell'insediarlo, il presidente del tribunale della Sanità, Monti, gli aveva conferito pieni poteri, amministrativi e giudiziari, sul lazzaretto, sul personale dipendente e sui ricoverati, poteri che, per le capacità dimostrate dal C., furono successivamente estesi anche agli altri lazzaretti minori di Milano e alla città: in quest'ultima con facoltà di fare chiudere ed evacuare gli edifici infetti e di requisire le merci necessarie al servizio del ricovero. Il 9 aprile il C. aveva già contratto il morbo; superata anche una successiva ricaduta, ai primi di giugno era in grado di assolvere al suo gravoso compito.
Sin dagli inizi della sua missione, il C. diede prova di senso di abnegazione, non disgiunto da fermezza di carattere e da spiccate capacità organizzative. Con la collaborazione di un gruppo di confratelli, fra i quali primeggiava il padre Michele Pozzobonelli, che nell'epidemia avrebbe trovato la morte, ristabilì la disciplina nel lazzaretto e ne impose l'osservanza anche con metodi energici; ristrutturò i servizi del ricovero, dedicando particolari cure alla puntualità degli approvvigionamenti in viveri e medicinali; provvide ad assicurare la regolare e tempestiva inumazione dei cadaveri, fino a quel momento assai trascurata, con grave pericolo per l'igiene pubblica. Oltre a sovraintendere a tutta la vita del lazzaretto, il C. attendeva personalmente all'assistenza spirituale degli ammalati, insieme ai confratelli e ad alcuni sacerdoti.
Verso la fine del 1631 la peste si poteva ormai considerare debellata, e il 7 febbr. 1632 veniva ufficialmente dichiarata la cessazione dell'epidemia: in quello stesso mese i cappuccini lasciavano il lazzaretto. Al C. le autorità milanesi vollero esprimere pubblicamente la loro riconoscenza con un attestato nel quale veniva solennemente elogiata la sua opera di governatore del lazzaretto.
In quello stesso 1632 il C., che già rivestiva la carica di guardiano del convento di S. Vittore in Milano, era eletto definitore dell'Ordine, ufficio nel quale sarebbe stato successivamente confermato ben altre undici volte. Nel 1633 fu guardiano nel convento dei SS. Apostoli di Cremona e, nel 1634, a Como; dopo una breve permanenza a Milano, venne destinato ad Erba nel 1636. Il 3 febbraio dell'anno successivo era innalzato a provinciale di Lombardia; scaduto nel maggio 1640 il suo mandato, due anni più tardi tornava nel convento milanese di S. Vittore. Il C. si trovava ancora nel capoluogo lombardo, allorquando, il 15 giugno 1644, i decurioni del Consiglio generale della città lo eleggevano per una missione in Spagna. Il ricordo dei meriti trascorsi e la stima generale di cui godeva avevano infatti indotto le autorità cittadine a designarlo per presentare alla corte di Madrid alcune richieste di carattere animmistrativo: in particolare, l'alleggerimento della pressione fiscale e la riforma degli abusi in materia di alloggiamenti militari.
Giunto in Spagna sul finire del 1644, il C. veniva ricevuto a più riprese in udienza da Filippo IV, e già il 30 marzo 1645 otteneva dal re assicurazioni circa l'accoglimento delle richieste presentate a nome della città e la promessa che i ministri riconosciuti colpevoli di irregolarità amministrative sarebbero stati perseguiti. Tale orientamento veniva successivamente confermato nelle istruzioni date al nuovo gran cancelliere dello Stato, Geronimo de Quijada, al quale il sovrano commetteva di controllare l'operato delle magistrature e dei comandi militari, prendendo, ove necessario, gli opportuni provvedimenti, e di verificare la legittimità delle più recenti imposizioni fiscali. La missione del C. era stata, dunque, coronata da pieno successo: ma se i rappresentanti della città potevano considerarsi soddisfatti dei provvedimenti annunciati, tutt'altro che disposti a subirne le conseguenze erano i ministri dello Stato milanese, sul capo dei quali pendeva la minaccia di un'inchiesta. Di questo caratteristico conflitto tra autorità municipali e organi centrali del ducato, proprio il C. avrebbe fatto le spese.
Al suo rientro a Milano, nella primavera del 1646, il C. trovava un ordine dei superiori che gli imponeva di partire senza indugi per la Corsica, ove avrebbe svolto le mansioni di visitatore.
A nulla valsero le proteste del Consiglio generale, che nell'allontanamento del padre ravvisava un tentativo di compromettere i risultati della sua missione. Ai decurioni, il generale dei cappuccini rispondeva che la richiesta di trasferimento del C. eravenuta dall'ambasciatore spagnolo a Genova Ronquillo, già gran cancelliere dello Stato, e che a lui la città doveva chiedere la revoca dell'ordine. Il che non fu possibile ottenere.
In Corsica il C. rimase due anni; tornato in patria, occupò nuovamente la carica di provinciale dall'8 ott. 1648 al 28 apr. 1651 e, quindi, una terza volta, dal 24 apr. 1654 al 15 ott. 1655. Nel 1656 veniva eletto custode generale per il capitolo dell'Ordine che si doveva tenere a Roma in quell'anno. Ma, ammalatosi durante il viaggio, morì a Livorno il 5 maggio 1656.
Fonti e Bibl.: Notizie biogr. sul C. si possono ricavare dai documenti, in parte già pubbl., che si conservano nell'Archivio di Stato di Milano, Fondo di religione, p. a., cartt. 6484, 6487, 6488, 6489, 6500. Il materiale relativo alla missione in Spagna si trova invece nell'Archivio storico civico di Milano, Dicasteri, cartt. 46, fasc. 7 e 15; 47, fasc. 2 e 4; 152, fasc. 2. Cfr. inoltre. A. Salomoni, Memorie stor.-diplomatiche degli ambasciatori, incaricati d'affari, corrispondenti e delegati che la città di Milano inviò a diversi suoi principi dal 1500 al 1796, Milano 1806, pp. 339-44; Idelfonso da Vacallo, Del Padre F. C., in L'Italia francescana, VI (1931), pp. 388-404; Ottavio da Alatri, Processo autentico sul servizio dei cappuccini nella peste del 1630 a Milano, ibid., XII (1937), pp. 226-37, 326-34, 415-20; XIII (1938), pp. 3336; Ubaldo da Montegiberto [G. Santarelli], Un manoscritto inedito su F. C. al lazzaretto, conosciuto e forse annotato dal Manzoni, ibid., XLI (1966), pp. 361-82; G. Santarelli, Docum. cappuccini di interesse manzoniano, Ancona 1973, ad Indicem;A. Tadino, Raguaglio dell'origine et giornali successi della gran peste..., Milano 1648, pp. 94, 98; M. De Pise, Annales Ordinis Minorum Capuccinorum, Lugduni 1676, pp. 827-831; Massimo Bertani da Valenza, Annali dell'Ordine de' frati minori cappuccini, III, 3, Milano 1714, pp. 210-224; P. La Croce, Mem. delle cose notabili successe in Milano intorno al mal contaggioso l'a. 1630, Milano 1730, pp. 2-5, 8-10, 15, 49, 51, 68, 71, 74-78; C. Cantù, Sulla storia lombarda del sec. XVIL..., Milano 1832, pp. 118-120; G. Ripamonti, La peste di Milano del 1630, a cura di F. Cusani, Milano 1841, pp. 110-119; Pellegrino da Forlì, Annali... dell'Ordine dei frati minori cappuccini..., II, Milano 1883, pp. 459-470; F. Calvi, Famiglie notabili milanesi, IV, Milano 1885, s. v. Casati, tavv. XIII e XXII; H. Reinhardt, Die Correspondenz von Alfonso und Girolamo Casati, Freiburg 1894, p. LXXIX; Valdemiro Bonari da Bergamo, I cappuccini della provincia milanese, II, Crema 1899, App. I, pp. II-XVIII; G. P. Bognetti, Il lazzaretto di Milano e la peste del 1630, in Arch. stor. lomb., s. 5, X (1923), pp. 388-442; Sisto da Pisa, Il padre C. dei Promessi Sposi, Firenze 1929; Cuthbert of Brighton, The Capuchins..., London s.d., pp. 365 s.; Sisto da Pisa, Il cardinale Antonio Barberini seniore, O. M. Capp., in Collectanea franciscana, IV (1934), p. 390; F. Nicolini, Peste e untori nei "Promessi Sposi" e nella realtà storica, Bari 1937, ad Indicem;Melchior a Pobladura, Historia gener. Ordinis Fratrum Minorum Capuccinorum, II, 2, Roma 1948, pp. 132, 478; L. Berra, C. F., in Enciclopedia cattolica, III, Città del Vaticano 1949, col. 972; Lexicon Capuccinum, Roma 1951, coll. 576 s.; F. Nicolini, La peste del 1629-1632, in Storia di Milano, X, Milano 1957, pp. 514, 519, 525; F. Catalano, La fine dei dominio spagnolo, ibid., XI, Milano 1958, pp. 22, 70, 97, 106; G. Santarelli, Icappuccini nel romanzo manzoniano, Milano 1970, ad Indicem;Id., Il p. F. C. nella storia e ne "I Promessi Sposi", in Atti dei frati minori cappuccini della provincia di San Carlo in Lombardia, XIV (1973), 4, pp. 340-360.