BATTAGLIA, Felice
Nato a Palmi (Reggio di Calabria) il 23 maggio 1902 da Antonio e Luisa Zetera, studiò a Roma dove si laureò in giurisprudenza nel 1925, avendo altresì frequentato corsi di lettere e di filosofia. Nelle discipline giuridiche ebbe per maestri V. E. Orlando, G. Mosca, F. Scaduto e V. Polacco; in quelle filosofiche, G. Del Vecchio e G. Gentile, i quali lo aprirono al neokantismo e all'idealismo. Per necessità familiari, intraprese nel 1926 la carriera di funzionario amministrativo presso il ministero della Pubblica Istruzione, attività che protrasse fino al 1932. Libero docente di filosofia del diritto nel 1927, divenne, nel 1935, professore ordinario della stessa disciplina nella facoltà di giurisprudenza dell'università di Siena. Nel 1938 fu chiamato alla cattedra di filosofia morale nella facoltà di lettere e filosofia dell'università di Bologna, dove tenne anche l'incarico di filosofia del diritto presso la facoltà di giurisprudenza per oltre un ventennio. Dal 1945 al 1950fu preside della stessa facoltà di lettere e filosofia. e negli anni 1950-56 e 1962-68 rettore dell'ateneo bolognese. Fu tra i promotori e i dirigenti del Centro di studi filosofici di Gallarate; in varie sessioni, presidente dei Consiglio superiore della Pubblica Istruzione, membro della commissione per la riforma della scuola e della Consulta didattica nazionale. Ricoprì varie cariche amministrative e culturali e fu insignito di numerose onorificenze per meriti accademici e scientifici.
Il B. morì a Bologna il 28 marzo 1977.
Nel corso della sua lunga attività di pensiero il B. ha dato un contributo determinante e originale a quel processo di svolgimento del neoidealismo italiano in direzione spiritualistico-cristiana che ha caratterizzato per taluni rilevanti aspetti la storia della filosofia italiana contemporanea.
Il B. muove dalle posizioni del neoidealismo italiano, ma con una preferenza per la forma datagli dal Gentile, il cui significato fondamentale è l'assunzione dello spirito nella sua piena logicità e nel processo per cui costituisce il reale molteplice e diveniente della natura e della storia, conferendogli unità di principio e giustificazione ultima. Si tratta peraltro di un consenso dal quale mai si discostano l'attenzione critica e lo stimolo di un incessante approfondimento.
Provvisto di specifiche competenze giuridiche, egli sottopone a serrata disamina la filosofia del diritto quale si presenta nei sistemi crociano e gentiliano, un tema che tra quelli affrontati dall'idealismo dei maestri gli appare uno dei più tormentati e malsicuri. Secondo il Croce, il diritto s'identifica con l'economia, laddove per il Gentile si risolve nella morale, con la conseguenza di ridurre all'astratto le forme spirituali.
Nello scritto che meglio rappresenta questa fase iniziale del suo pensiero, Diritto e filosofia della pratica, il B. non esita a dichiarare che soltanto la vita di relazione, in quanto assunta nelle trame del diritto, si mostra "storica e concreta di fronte all'astrattezza delle forme distinte" (p. 15). Il diritto gli appare pertanto quale "momento originario dello spirito, sua assoluta posizione" (p. 114), e come tale irriducibile ad ogni altra forma. Infatti, il concetto autentico del diritto è parimenti "insieme tetico e creativo, medesimamente principium … cognoscendi e principium … essendi" (Oggettività e valori nell'idealismo assoluto, in Filosofi italiani contemporanei, Milano 1946, p. 46). Così configurato, il diritto conferisce alle articolazioni dello spirito una portata nuova per valore e concretezza: esso implica l'"alterità" quale relazione ad un altro come noi; la "socialità" in quanto rapporto bilaterale irriducibile di soggetti; la "persona" quale valore etico assoluto. Strutture queste sottratte in virtù del nesso giuridico al rischio di solipsismo che minaccia le risoluzioni coerentemente idealistiche.
La natura stessa di queste acquisizioni sul piano del diritto sospinge il B. sul versante più ampio della filosofia della pratica, che egli vede instaurarsi "nella forma di un'essenziale giuridicità, dove giuridicità è qualificazione profonda della socialità" (p. 167), anzi dell'eticità. Pertanto, essenziale allo spirito il diritto, essenziale al diritto la relazione, ecco questa configurarsi come "forma assoluta dello spirito in cui ha nascimento l'attività pratica" (12- 149); atteggiamento eterno immanente alla coscienza, il rapporto io-altro (il diritto) costituisce la forma trascendentale della vita pratica. La società spirituale trova la sua giustificazione teorica nella relazione sorretta dal diritto secondo che questo esige il riconoscimento dell'altro.
Lungo questo percorso vengono via via dilatandosi gli interessi del B. per l'economia, la politica, la società, svolgimento di cui fanno fede i molti lavori, tra i quali vanno menzionati i Lineamenti di storia delle dottrine politiche e gli Scritti di teoria dello Stato, tutti attraversati da una ferma ispirazione liberale; la futura ricerca viene fin d'ora orientata sui temi più caratteristici del nostro tempo e sorretta dai canoni di una robusta storicità e da un saldo senso morale: la scienza, la tecnica, il lavoro, ecc. I risultati di tali ricerche, oltre a fornire un contributo originale al rinnovamento della storiografia politico-sociale italiana, conferiscono ricchezza di contenuti e concretezza di pensiero al suo nascente spiritualismo.
Ancorché motivati ed originali, questi approdi giovanili dell'indagine critica dei B. non esorbitano ancora dall'orizzonte idealistico, e rimangono sostanzialmente correttivi all'interno di una prospettiva ancorata ai cardini del completo monismo e della totale immanenza: il trascendentale che la regge è a sua volta pensato come intrascendibile.
Per il B. di questa fase, lo spirito umano è ancora la "causa causarum, il creatore …, il principio assoluto" (Dirittoe filosofia della pratica, p. 180), il centro da cui ogni attività s'irradia nella sua molteplicità naturale e storica; risultati nondimeno destinati a sollecitare per interno dinamismo il pensatore ad un'indagine ancor più approfondita dei sistemi idealistici. L'acquisizione dei punto di vista del diritto lo ha condotto, come egli dice, "a rivedere tutto il significato delle posizioni idealistiche contemporanee" (Oggettività e valori, p. 146), nella loro radice essenzialmente storicistiche. E sulla storia, peraltro terreno privilegiato del diritto e della pratica, si dirige l'attenzione speculativa dei B., col duplice intento di rendere esplicite le insufficienze delle soluzioni crociana e gentiliana in ordine alla storia, e di formulare di questa un concetto maggiormente consono alla valorizzazione di taluni suoi aspetti che gli avvenimenti contemporanei andavano imponendo alla considerazione del pensatore.
Il B. incontra così, negli anni bui del secondo conflitto mondiale, l'esistenzialismo quale espressione di una profonda crisi di fiducia nella capacità della ragione a reggere ed orientare le sorti del mondo umano, e con esso si misura. Ne viene così un giudizio nel complesso negativo, perché "non c'è modo di tener su una possibile morale" là dove "si vanifica il mondo e la società" (Il problema morale nell'esistenzialismo, p. 307); ma la frequentazione di pensatori quali Kierkegaard, Heidegger, Jaspers e Marcel non è stata infruttuosa ai fini della maturazione di una dottrina già da allora travagliata da sollecitazioni tutt'altro che parilogistiche e immanentistiche.
Dell'esistenzialismo il B. accoglie bensì "quanto giova ad aprire gli occhi sulle difficoltà di un assunto panlogico", ma respinge "l'accettazione incondizionata dell'esistenza quale vita vissuta che val quanto dire l'adesione … all'irrazionale" (Fondazione della morale, in Economia diritto morale, p. 405). Qualora l'esistenza si assuma come oggetto di semplice rilevamento e accettazione passiva, sia pure nelle lacerazioni e antinomie che le sono proprie, riesce poi ingiustificato parlare di morale, la quale impone "un compito di disciplina e di superamento, nel quale solo [essa] ha senso" (p. 405).
Reso accorto dalle valenze esistenzialistiche dell'esperienza e della vita vissuta, il B. riprende a scandagliare la dimensione storica della realtà. Ne Ilvalore nella storia egli espone la concezione neoidealistica della storia stessa e ne porta a compimento la critica, ravvisandone il peculiare fondamento nella nozione attualistica di "sintesi a priori": l'atto spirituale concepito come sintetico assume a tal punto i termini antitetici di cui il divenire si articola (razionale-irrazionale), che la loro mediazione riesce perfetta in una superiore, omogenea unità e adeguazione. A questa operazione, essenza dell'atto per cui si origina e costituisce la storia, nessun residuo sopravvive a disilludere sulla perfezione del risultato sintetico: qui "l'irrazionale non sopravanza i nostri processi ad ammonirci che la sintesi ha fallito in parte il suo fine" (p. 140). Null'altro eccede l'operazione spirituale quale riserva per ulteriori operazioni di razionalizzazione e valorazione.
Ora, proprio questa sintesi chiusa appare al B. la vanificazione della storia, perché essa conclude all'immobilità. Concepito nei termini suddetti, l'idealismo "uccide se stesso e la sintesi conclusa è la morte della storia" (p. 154); e con la storia si arresta lo spirito, atto e attività incessante: lo si rende "natura". Altre sono le condizioni di possibilità dello spirito e del suo prodotto, prima fra tutte l'apertura della sintesi, nella quale i termini antitetici vengono bensì unificati, ma non identificati e soppressi: la nuova sintesi li implica l'un l'altro, ma li mantiene altresì in reciproca tensione, perché essa non è opera dell'uomo, non può essere perfetta ed esaustiva. Questa imperfezione è significativa, perché dissuade il filosofo dal concepire la sintesi dialettica come capace di efficacia "metafisica", anziché soltanto "metodica" (metodo d'immanenza). Nella prospettiva spiritualistica, che con ciò si lascia dietro quella idealistica, la sintesi, "funzione dell'assoluto, non è Passoluto" (Morale e storia nella prospettiva spiritualistica, p. 9), "discorso e dialettica sono mezzi della storicità …, non possono essere l'assoluto" (I valori fra la metafisica e la storia, Bologna 1967, p. 29).
Cospicue sono le conseguenze dell'apertura della sintesi, sulla quale il B. innesta il suo spiritualismo: incompiutezza e limitatezza dell'atto spirituale; possibilità per il soggetto di agire diversamente da come agisce, prospettiva di trascendenza, ecc. Se riconosciuto nella sua genuina spiritualità, un atto umano non è fatalmente destinato a scadere nella necessità, ma nasce alla coscienza avvertendo la possibilità di "essere diverso da quel che è" (Il valore nella storia, p. 160), cioè morale nel consenso all'ideale (razionale) norma deontologica, o immorale nel rifiuto, sempre comunque nel gioco della scelta libera e responsabile. Alla categoria idealistica e amorale di "necessità" subentra quella spiritualistica e morale di "possibilità".
Si configurano ora precise condizioni di possibilità della storia, tra cui primaria la dualità irriducibile dei termini dialettici, l'incompiutezza dell'operazione spirituale finché vicenda temporale e terrena avrà corso, l'intervallo incolmabile tra fatto e valore. Ed è proprio in virtù di questa incompiutezza che il margine interno dell'irrazionale impone al razionale un compito teoretico e pratico inesauribile; il razionale, impegnato nel processo di razionalizzazione, ne riemerge comunque, ne riemerge quale valore. Altrimenti detto, la funzione del razionale non si esaurisce nell'investire l'irrazionale, ma sempre lo trascende, aprendosi oltre la limitatezza del risultato storico-temporale, oltre il tempo, e configurandosi come valore. Così il valore fa il suo ingresso nella storia. L'irrazionale èsempre in funzione di un valore, col quale si cimenta; e poiché l'atto "è sempre valorativo" (p. 26), ed è l'atto a fare la storia, "anch'essa è nel segno del valore" (p. 25): l'atto assume la materia per farne qualcosa che valga nel segno del "vero", del "buono", del "bello" e dell'"utile", tutte "articolazioni dell'umana spiritualità" (p. 24). E tuttavia l'operazione valorativa, anima della sintesi, nonché chiudersi su se stessa nel risultato compiuto, come si osserva nell'idealismo e nel naturalismo, affini su questo punto cruciale, resta aperta affinché un "residuo" permanga e un valore riemerga per ulteriori valorazioni: un'incognita per la conoscenza, un ostacolo per l'azione, senza mai che il prodotto storico e la storia pervengano al compimento per mano dell'uomo. Il pensiero del B. assume così la connotazione, com'egli dice, di "spiritualismo valorativo" (Economia diritto morale, p. XI).
Senonché la storia, con l'atto che la regge, pur chiarita nelle condizioni della sua possibilità, risulta essere soltanto "un travaglio provvisorio e contingente... nell'uso di mezzi e di tecniche tra un preliminare razionale e un risultato nel segno dei limite e del residuo" (I valori, p. 69). Si viene così ponendo il compito ulteriore di una filosofia critica della storia considerata alla luce dei valori: al di là di ciò che la rende possibile occorre sapere se essa valga e in che cosa valga, quale ne sia il fondamento ultimo e definitivo perché, risolto nel gioco alterno di razionale e irrazionale, il valore "ben povera cosa sarebbe" (p. 29), relativo e contingente, instabile e precario.
Il B. riconosce che i valori sono storici e molteplici, presi nel flusso del divenire e del tempo, ma proprio per ciò "hanno … bisogno d'una valorazione" (p. 31), di una fondazione nella quale valgano a loro volta: è questo il problema che attraversa le pagine dei Valori fra la metafisica e la storia, scritto che può considerarsi come la summa del suo pensiero e l'approdo del suo percorso speculativo. Esso trova il suo asse portante in quel problema della "fondazione" dei valori che non può venir eluso una volta compiuta l'opera analitica e descrittiva del mondo storico, che è mondo di valori. Vale a dire: riconosciutene le condizioni critiche di possibilità, constatata la molteplicità storico-temporale dei valori, assicuratane l'eccedenza rispetto ai fatti, ecco farsi avanti la necessità di conferir loro un fondamento che li unifichi e li consolidi in un vero e proprio principio metafisico. "Il mio pensiero", scrive il B., "vuol essere francamente storicistico e metafisico, senza che tali aggettivi rappresentino una contraddizione in termini, anzi nel senso che il secondo avvalori il primo" (p. 3).
La questione è in che cosa valgano i valori, e quindi la storia che essi reggono. Occorre anzitutto cercarne l'unità nella quale ha origine e senso la molteplicità, unità la quale non può che configurarsi come valore degli stessi valori, valore che li valorizza. Essa ha come suo luogo d'elezione la coscienza pura universale e trascendentale, nella quale i valori si concentrano: "a quel centro si riferiscono... in quanto abbiano bisogno d'essere avvalorati essi stessi" (p. 96). Tuttavia questa unità, presente e intima alla coscienza, non è un possesso di fatto e una proprietà originaria dell'interiorità dell'uomo (immanenza del principio), ma piuttosto uno stato perseguito e mai del tutto raggiunto, sempre di nuovo pronto a sottrarsi alla nostra presa; e ciò per non ricadere nella chiusura idealistica (ma altresì positivistica, esistenzialistica e marxistica) delle articolazioni della coscienza. Il B. ritiene che questa unità, suprema e mai interamente appagata sigenza dello spirito finito, debba rimanere per l'uomo soltanto na meta cui egli mira e s'approssima; tuttavia e pur sempre "in questo stato privilegiato, in quel punto di riferimento che hanno senso oggettivo e certezza tutti i valori" (p. 32). Efficace su questo momento cruciale dell'indagine l'alto magistero del Rosmini e l'incidenza dei filosofi francesi della "Philosophie de l'esprit", Lavelle e Le Senne.
Ora, il senso di questa unità, oltre che metafisico e metastorico, ossia formalmente presente e intrinseco alla coscienza, non può non rinviare come a suo contenuto oltre la stessa coscienza, oltre l'atto umano e finito produttore di valori e di storia. La coscienza, sia pure nella sua elevata trascendentalità, non può essere insieme il punto di partenza e il punto di arrivo del percorso della storia, se non vuol chiudersi in un circolo senza uscita: l'atto, proprio nel riferimento a sé si riferisce all'altro da sé, in questo caso assoluto, il principio supremo, fondamento e avvaloramento degli stessi valori. Ossia, ricondotta la molteplicità e la varietà dei valori che reggono il mondo storico all'unitario principio spirituale da cui promanano per irradiarsi nelle trame storiche, questo appare al filosofo tale che "nel fondo c'è qualcosa implicato, qualcosa che non siamo noi se ci eccede, un eterogeneo che ci affetta... e che si definisce un differente qualitativo" (p. 97). L'altro da sé, che l'indagine metafisica svela riflessivamente nel sé più profondo, è bensì implicato nell'atto, ma lo trascende, traendolo così dalla naturalità e costituendolo nella spiritualità. Il fondamento dell'atto temporale è dunque un "intemporale", della storia un osoprastorico", dell'immanenza una "trascendenza"; ciò non equivale certo alla negazione dello storico e del mondano: "noi non neghiamo nulla rispetto a tali processi …, li sentiamo storici nei valori …, vari all'infinito e all'infinito mutevoli" (pp. 99-100); ma grazie al valore, essi s'aprono un accesso dal temporale, dal finito e dal relativo, all'intemporale, all'infinito, all'assoluto, al Valore dei valori.
Di più non si può dire, perché la vera filosofia della storia, la metafisica indenne da pregiudizi dogniatici o ideologici perché critica e spiritualistica, deve arrestarsi su questa soglia, ad evitare che il pensiero ceda dinanzi alla fede, e questa dinanzi a quello, come temeva Kant; essa è tuttavia valida entro il proprio ambito, nella misura in cui conferisce alla storia il suo senso autentico, la sua genuina destinazione. Approdato all'idea di assoluto valore e di Valore dei valori, trova il suo epilogo l'itinerario filosofico del B. nella dimensione religiosa della trascendenza cristiana; come egli scrive, "la soluzione di ogni filosofia consapevole... non può essere che spiritualisticamente religiosa. La religione è la conclusiva soluzione che la filosofia ci porta circa il problema della vita" (Morale e storia…, p. 49). Ora, questa religione è per il filosofo il cristianesimo.
Opere: Un'ampia rassegna degli scritti del B., a cura di F. Polato, si trova in F. Battaglia, Economia diritto morale, Bologna 1972, pp. 437-452, alla quale si rimanda. Ci si limita qui alle opere principali. L'opera di V. Cuoco e la formazione dello spirito nazionale in Italia, Firenze 1925; Marsilio da Padova e la nuova filosofia politica del medioevo, ibid. 1928, La crisi del diritto naturale, Venezia 1929; Diritto e filosofia della pratica. Saggio su alcuni problemi dell'idealismo contemporaneo, Firenze 1932; Cristiano Thomasius filosofo e giurista, Roma 1935; Lineamenti di storia delle dottrine politiche, ibid. 1936; Scritti di teoria dello Stato, Milano 1939; Corso di filosofia del diritto, I-III, Roma 1940-42 (varie edizioni); Impero Chiesa e Stati particolari nel pensiero di Dante, Bologna 1944; Il problema morale nell'esistenzialismo, ibid. 1946-47; Il valore nella storia, ibid. 1948; Saggi sull'utopia di Tommaso Moro, ibid. 1949; Filosofia del lavoro, ibid. 1951; Arte e moralità, ibid. 1952; Morale e storia nella prospettiva spiritualistica, ibid. 1953; Nuovi scritti di teoria dello Stato, Milano 1955, I valori fra la metafisica e la storia, Bologna 1957 (2a ediz., ibid. 1967); Il pensiero pedagogico del Rinascimento, Firenze 1960; Linee sommarie di dottrina morale, Bologna 1958 (2a ediz., ibid. 1977); Il valore estetico, Brescia 1963; Metafisica religione e politica nel pensiero di Nicolò da Cusa, Bologna 1965; Heidegger e la filosofia dei valori, ibid. 1967; Rosmini tra l'essere e i valori, Napoli 1973, Croce e i fratelliMario e Luigi Sturzo, Ravenna 1973; La filosofia del diritto in Rosmini, in Justitia, Quaderni, n. 31, Roma 1980, pp. 1-71.
Fonti e Bibl.: G. Marchello, F. B., Torino 1953; G. Aceti, Filosofia del lavoro, in Riv. di filos. neoscolastica, XLV (1953), pp. 57-75; P. Gualdrini, Il pensiero filosofico di F. B., in Scritti in on. di mons. G. Battaglia, Faenza 1957, pp. 115-159; F. Polato, Dallo storicismo alla metafisica, in Giorn. di metafisica, XII (1957), pp. 668-675; S. Alberghi, Metafisica e spiritualisti italiani contemporanei, Milano 1960, pp. 261-299; E. Verondini, L'uomo, la storia, i valori nel pensiero di F. B., in Giorn. di metafisica, XVIII (1963), pp. 42-52; V. Stella, L'estetica spiritualistica di F. B., in Humanitas, XIX (1964), pp. 723-728; L. Legaz y Lacambra, F. B., in Publicaciones del Real Colegio de España en Bolonia, Bologna 1966, pp. 3-15; G. Ambrosetti, Climi culturali, senso del diritto e problemi teoretici nella recente opera di F. B., in Riv. di diritto civile, XII (1966), pp. 605-621; S. Coppolino, Interpretazione crociana e revisione critica dell'idealismo nella prospettiva storicistico-spiritualistica di F. B., in La Rassegna pugliese, VII (1972), n. 4-6, pp. 5-30; F. Polato, L'itinerario filosofico di F. B., in Incontri culturali, V (1972), n. 1, pp. 123-136; R. Orecchia, F. B., in Maestri italiani di filosofia del diritto nel sec. XX, Roma 1978, pp. 18-20; N. Matteucci, F. B. filosofo della pratica, in Atti dell'Accad. delle scienze dell'Istituto di Bologna, LXXII (1977-78), pp. 297-305; G. Ambrosetti, F. B., l'uomo e l'itinerario, in Riv. internaz. di filos. del diritto, s. 4, LV (1978), pp. 3-20; P. Piovani, F. B., Roma 1978, pp. 3-16; E. Diaz, Recuerdosy influencias de F. B., in Studia albornotiana, XXXVII (1979), pp. 715-719; F. Polato, F. B. Dall'idealismo allo spiritualismo, ibid., pp. 689-712; Id., Economia diritto e morale nel pensiero di F. B., in Atti dell'Accad. delle scienze dell'Istituto di Bologna, LXXIII (1979), pp. 5-44.