BASILE, Felice
Nacque a Bracigliano (Salerno) al principio del sec. XVII. In gioventù fu garzone di un fornaio napoletano, ma seppe poi accumulare una notevole fortuna con traffici e speculazioni. Nel 1647, alla vigilia dell'insurrezione di Masaniello, era fornitore dell'armata reale e uno degli appaltatori delle nuove gabelle imposte dal viceré duca d'Arcos. Per questo motivo i popolari gli furono ostilissimi durante la rivolta e l'8 luglio 1647 bruciarono la sua casa. Sequestrando la sua fortuna assieme a quella degli altri speculatori e degli elementi della nobiltà più manifestamente avversi alle loro richieste, essi, secondo quanto andava affermando lo stesso Masaniello, pensavano di raccogliere un milione di ducati da inviare in quei giorni in Spagna come contropartita delle gabelle abolite in seguito all'insurrezione. Per sfuggire alle vendette dei popolari il B. fu costretto a rifugiarsi in Castelnuovo sotto la protezione delle milizie regie, e di lì, assieme all'eletto del popolo Andrea Naclerio e con l'autorizzazione del viceré, organizzò poi il complotto che doveva portare all'uccisione di Masaniello, dandone l'incarico al mugnaio Salvatore Cattaneo e al conservatore dei grani Michelangelo Ardizzone, persone a lui assai devote.
In seguito ai tumulti del luglio del 1647 il viceré, come misura atta a calmare la plebe, decise l'allontanamento da Napoli di vari personaggi impopolari, tra i quali il B., che si rifugiò dapprima a Gaeta e quindi a Roma, dove rimase sino alla definitiva repressione della insurrezione. Tornato a Napoli al principio dell'estate del 1648, il 13 luglio fu incluso dal viceré in una rosa di sei candidati alla carica di eletto del popolo, tutti personaggi giudicati capaci di adoperarsi per ristabilire le vecchie gabelle.
Venne allora prescelto Giacinto Cangino, ma pochi mesi dopo, nel gennaio 1649, il nuovo viceré conte d'Oñate affidava l'elettato al Basile. Subito però egli cadde in disgrazia, venendo meno così alle aspettative che su di lui aveva fondato il viceré, col rifiutare di prestarsi a una fraudolenta speculazione macchinata da questo e che consisteva nel vendere a prezzi esorbitanti un grosso quantitativo di frumento che era stato importato dallo Stato della Chiesa.
La vendetta dell'Oñate non si fece attendere: poco dopo accusò il B., senza il mimino fondamento, di complicità in un omicidio e lo affidò alle cure del boia perché gli fosse strappata con la tortura una confessione. Tuttavia il B. riuscì a resistere per il tempo prescritto al terribile supplizio del "poledro" spagnolo senza lasciarsi andare alla minima ammissione, e sfuggendo così al patibolo, al quale il viceré lo aveva destinato.
Sette anni dopo, durante la peste che devastò Napoli nel 1656, il B. accettò, non senza coraggio, l'offerta del vicerè conte di Castrillo di tornare all'elettato, carica che comportava in quel momento terribili responsabilità e non lievi pericoli, in sostituzione di Giuseppe Volturara rimasto vittima del morbo. Il B. si comportò con grande abnegazione, sforzandosi di provvedere alle più impellenti necessità cittadine e sfidando il pericolo del contagio in un momento in cui tutte le principali autorità cittadine, dal viceré al cardinale arcivescovo Ascanio Filomarino, evitavano accuratamente di esporvisi. Il B. sostenne anche in questa occasione, notevoli spese per provvedere a sgombrare la città dai cadaveri insepolti. In premio di questo suo comportamento il 23 dic. 1658 il conte di Castrillo ottenne da Filippo IV la nomina del B. a presidente "idiota" (non togato) della Camera della Sommaria, ma il B. moriva pochi giorni dopo, secondo alcuni per il dolore di vedersi disprezzato, a causa delle sue origini plebee, dagli altri presidenti della Camera.
Bibl.: F. Capecelatro, Diario..., I-III, Napoli 1850-1854, passim; S. De Renzi, Napoli nell'anno 1656, Napoli 1867, pp. 60, 71; M. Schipa, Masaniello, Bari 1925, p. 168; F. Nicolini, Aspettidella vita italo-spagnuoladel Cinque e Seicento. Il processo d'un carnefice, in Banco di Napoli. Bollett. d. Arch. stor., I, 1, (1952), pp. 105-107.