DEGLI ERMANNI (de Armannis, de Ermannis, de Hermannis), Felcino (Falcinus, Felicinus)
Figlio di Bartolomeo di Felcino, nacque probabilmente intorno alla metà del sec. XIV da nobile famiglia perugina.
Al pari del padre ricorre talora nella letteratura storica locale (per es., l'Alessi) indicato con la forma cognominale "della Staffa". Non tutti i commentatori sono d'accordo sulle origini di tale appellativo, che secondo alcuni sarebbe derivato al padre del D. dal fatto di aver meritato di ricevere nel 1358 dal Comune di Perugia le insegne equestri e il privilegio di aggiungere alle armi di famiglia la staffa.
Di famiglia nobile, ancor giovane, fu bandito dalla città con il padre dal governo popolare - retto dai "raspanti" - in un anno precedente il 1382, quando viene ricordato per la prima volta dalle fonti a noi note. Il suo nome compare infatti tra quelli dei fuoriusciti allora condannati a morte dai Priori perugini per aver cospirato contro il regime popolare, aiutando la ribellione dei Comuni sottoposti a Perugia e sobillando Arezzo e Todi. Non tutti i fuoriusciti, comunque, dovevano aver preso parte all'impresa: insieme con la condanna dei rivoltosi, infatti, i Priori disposero di riammettere in città, dopo tre anni di esilio, i fuorusciti che avevano rispettato il confino, tra i quali risulta il padre del D., Bartolomeo.
Il D. tornò a Perugia solo nel 1384 dopo che la fazione nobiliare, aveva ripreso nelle proprie mani il governo di Perugia. Nel settembre del 1385 il D. fu chiamato a sostituire nella carica di ufficiale "supra unione" il padre, che era stato allora inviato come ambasciatore al pontefice. Nel 1386 venne nominato podestà a Pistoia e successivamente andò podestà a Todi. Al termine di quest'ultimo mandato il D. lamentò la mancata corresponsione degli emolumenti a lui dovuti in una supplica del giugno 1389 con cui chiedeva ai Priori perugini di intervenire sul governo tuderte.
Subito dopo, il D. venne mandato come ambasciatore a Milano per dare conferma a Gian Galeazzo Visconti dell'amicizia di Perugia. Conservatore della Moneta per il secondo semestre del 1388, nel dicembre del 1389 fu eletto membro di un comitato di venti uomini scelti tra i più importanti della città, incaricati di rifare il "sacco" degli ufficiali del Comune. Nominato nel 1390 "commissarius, reconciliator, et ordinator Comunis et castri Montonis", provvide a riformare quel Comune. Nel quadro delle misure da lui prese in tale occasione rientrano anche gli atti con cui il 15 giugno dichiarò ribelli alcuni cittadini montonesi, tra cui Marco e Giovanni Longobardi, Giovanni Marchesi e Cecco Ducciarelli e ne confiscò i beni mobili ed immobili, che assegnò in parte ai fratelli Carlo, Braccio e Giovanni Fortebracci, figli di Oddo, come risarcimento dei danni da questi ultimi subiti all'epoca in cui il padre loro era stato bandito dal governo popolare.
La situazione politica in Perugia non era tuttavia tranquilla e i popolari con il sostegno di altri Comuni - tra cui Firenze - cercavano di riprendere il governo cittadino.
Nell'ambito della politica avviata dal Comune perugino di tenere saldi il più possibile i rapporti con i Comuni limitrofi e con gli Stati amici si collocano l'ambasceria che il D. amministrò nel dicembre del 1391 a Città di Castello, importante centro dell'alta valle del Tevere, e l'altra, che lo portò presso il papa nel marzo del 1392. Quest'ultima fu anzi particolarmente importante in quanto il D. ed il suo collega, Pietro di ser Paolo, erano latori di un messaggio nel quale i Priori invitavano Bonifacio IX a Perugia nella speranza che la sua presenza portasse un po' di tregua nella lotta politica cittadina. Il pontefice accettò l'invito, ma non reputò di dover recarsi subito nella città umbra. Si fece precedere pertanto dal cardinale ravennate Pileo di Prata, suo legato. A scorta di costui furono inviati nuovamente il D. e Pietro di ser Paolo.
L'arrivo a Perugia del pontefice nell'ottobre del 1392 portò un mutamento radicale della situazione interna della città. Nel suo tentativo di pacificazione dei contrasti di parte, Bonifacio IX sospese le tradizionali magistrature del podestà e del capitano del Popolo nominando una persona di sua fiducia, Adinolfo Conti, vicario, capitano generale delle truppe e conservatore della Giustizia. Procedette quindi alla nomina anche dei tesoriere e di tutti gli altri ufficiali del Comune. Cercò altresì la conciliazione tra i fuorusciti ed i nobili concedendo un'amnistia generale. Il tentativo fallì. In occasione del rientro in città di alcuni esiliati, si verificarono infatti tumulti che ben presto si aggravarono facendo cadere di nuovo la città in uno stato di anarchia.
Allontanatosi Bonifacio IX, i raspanti tornarono al potere in Perugia, le liste di proscrizione furono di nuovo emanate e il D. e suo padre furono tra i primi ad essere allontanati e con loro fu colpito anche Braccio Fortebracci da Montone, che nel 1392 aveva sposato una sorella del D., Elisabetta.
Dal carteggio intercorso nel 1393 tra le autorità fiorentine, ritornate di nuovo amiche e quelle perugine, si apprende come i magistrati di Firenze si impegnassero ad ammonire il D., se mai fosse entrato nel contado cittadino, a non macchinare contro la sua patria: lo avrebbero anzi bandito, nel caso che avesse disobbedito. Una volta espulso, il D. non esitò a fare causa comune con il cognato Braccio da Montone. Entrambi nel 1394 furono promotori e primi firmatari di un documento nel quale, insieme con altri fuorusciti, si impegnavano con giuramento a "non cercare niun patto o concordia cum li raspanti di Peroscia" e a tentare tutte le soluzioni per rientrare in città. Sicuramente il D. tenne fede al giuramento che aveva fatto; nel 1404, ad esempio, bastò che dal castello di Torgiano, località a pochi chilometri da Perugia, giungesse la notizia che egli con altri fuorusciti era passato per là, per mettere in agitazione i cittadini di Perugia che per tutta la notte montarono un'attenta guardia.
Anche se in esilio, il D. ebbe comunque occasione di svolgere un importante ruolo politico in altre città italiane, meritandosi attestazioni di stima. Senatore di Roma in un anno a noi sconosciuto, nel 1413 venne chiamato a ricoprire la medesima carica da Giovanni XXIII. Il papa prima di lasciare Roma per incontrarsi con l'imperatore Sigismondo, volle concedergli giurisdizione criminale "contra statuta Urbis", aumentare il salario di 100 ducati d'oro al mese e crearlo conte di Monte Giuliano, località del territorio perugino. Tra i provvedimenti notevoli presi dal D. durante tale incarico si ricorda la conferma degli statuti dei merciai e quella degli statuti della lana. Dal maggio del 1415 al maggio del 1416 il D. fu podestà di Siena. Si ha pure notizia di una sua podesteria in Genova attraverso l'istituto della rappresaglia che Cherubino, fratello del D. e forse anche suo erede, esercitò nel 1418 nei confronti della Repubblica marinara: questa era infatti rimasta debitrice nei confronti del D., al termine del suo ufficio di podestà, della somma di 60 libbre genovesi. Un erudito perugino, l'Alessi, parla d'una attività del D. in Firenze come comandante delle milizie fiorentine e di una sua permanenza in quella città fino alla morte, che sarebbe avvenuta nel 1417. Non porta tuttavia alcuna documentazione a prova di tale affermazione; e d'altro canto, i maggiori cronisti fiorentini non ricordano il nome del D. fra quelli dei vari capitani di ventura al soldo della Repubblica. Il D., ad ogni modo, morì certamente in Firenze, nel 1417. Il suo corpo venne fatto riportare in Perugia da Braccio da Montone, il quale, riuscito dopo ripetuti tentativi a diventare signore della città, volle rendergli i dovuti onori.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Perugia, Consigli e riformanze, 30 (a. 1382), c. 22r; 33 (a. 1385), c. 188v; 34 (a. 1386), c. 64r; 36 (a. 1388), c. 95v; 37 (a. 1389), c. 103v; 38 (aa. 1390-1391), c. 261r; 39 (a. 1392), cc. 55v-56r, 66v; 40 (a. 1394), c. 143rv; Offici, 4, c. 26v; Todi, Arch. comunale, Manoscritti diversi, armadio 6, casella VI. I. h, ff. 26v, 28v: O. Ciccolini, Catal. dei podestà, capitani e governatori; Perugia, Archivio storico del monastero di S. Pietro, Codici e manoscritti 224: E. Agostini, Dizionario storico perugino, cc. 310v-311r; Ibid., Biblioteca Augusta, Mss. 1449, f. 151v; Cronache e storie inedite della città di Perugia, a cura di F. Bonaini-A. Fabretti-F. L. Polidori, in Arch. stor. ital., XVI (1850) 1, pp. 228, 242; Cronache della città di Perugia, a cura di A. Fabretti, I, 1308-1438, Torino 1887, p. 216; C. Alessi, Elogia civium Perusinorum, Centuria secunda, Romae 1652, ff. 123 ss.; P. Pellini, Dell'historia di Perugia [1664], Bologna 1968, I, pp. 1279, 1328, 1348; II, pp. 27, 196, 229; A. Rossi, Albero geneal. della famiglia Fortebracci da Montone con note storiche a ciascun nome, Perugia 1882, p. 10; G. Degli Azzi Vitelleschi, Le relazioni tra la Repubblica di Firenze e l'Umbria nel secolo XIV, in Boll. della Deput. di storia patria per l'Umbria, X (1904), App. III, p. 211; F. Briganti, Città dominanti e Comuni minori nel Medio Evo, Perugia 1906, p. 231; Bull. senese di storia patria, XXI (1914), 2, Appendice, p. 71; A. Salimei, Senatori e statuti di Roma nel Medioevo, Roma 1935, p. 161; A. Ascani, Montone. La patria di Braccio Fortebracci, Città di Castello 1965, pp. 53 ss.