FEDERICO
La data di nascita di questo patriarca d'Aquileia è ignota, come pure sono oscure le sue origini, che una tradizione inaffidabile riallaccia a Carlo il Calvo. Successo al patriarca Gualperto, il primo documento che lo riguardi è un diploma del re d'Italia Berengario emanato da Trieste il 10 nov. 900. Berengario si era allora rifugiato nella Marca friulana a seguito della difficile situazione creatasi dopo la sua sconfitta sul Brenta nell'899 ad opera degli Ungari e dopo la sollevazione di alcuni grandi del Regno, che nell'ottobre dell'anno successivo aveva consentito l'incoronazione a Pavia di Ludovico III di Provenza a re d'Italia. Un mese dopo tale evento cadeva appunto il diploma per F., il primo di quattro pervenutici (un quinto è forse andato perduto), che testimoniano lo stabile rapporto di favore instauratosi tra F. e Berengario, perennemente impegnato nel tentativo di legare a sé Chiese e potenti laici a sostegno del suo potere vacillante.
Grazie a tale legame privilegiato, F., che nell'ultimo diploma del 921 viene appunto qualificato "fidelissimus", poté giovarsi di cospicue concessioni di beni fiscali e diritti di natura pubblica: nel 900, su sua istanza, otteneva in proprietà il corso inferiore del fiume Natissa fino allo sbocco nel mare, con tutti i diritti ad esso inerenti, compreso il diritto di placito. Tre anni dopo gli venivano rilasciati due diplomi, pervenutici entrambi in copie quattrocentesche con minime varianti (tali da far sospettare allo Schiaparelli una qualche opera di falsificazione) che concedevano a F. una casa in Cividale e altri beni appartenenti a privati situati a Cormons, a "Obescobatis" e nel comitato di Cividale, successivamente confluiti, per ragioni ignote, nel Fisco regio. Ad essi si aggiungeva la porta di S. Pietro di Cividale, concessione il cui significato è stato diversamente interpretato.
Il Mor, nell'enfatizzare gli elementi fortificatori di tale porta, riteneva che con essa venisse deferito a F. anche l'impegno alla difesa della città (allora sede di residenza dei patriarchi aquileiesi) e, con questo, gran parte delle prerogative e delle competenze comitali; secondo lo Schmidinger, la "porta" avrebbe un valore esclusivamente topografico e corrisponderebbe all'area urbana che alla porta faceva capo; più recentemente, invece, il Cammarosano l'ha interpretata come il complesso delle imposte sulle merci introdotte in città, quindi come un diritto fiscale tipicamente sovrano.
Completavano i due diplomi la conferma dei beni già concessi in passato alla Chiesa aquileiese ma di cui era stata perduta, o perché distrutta dal fuoco o a causa delle persecuzioni dei "pagani", l'attestazione del possesso. Il cenno qui fatto agli Ungari rinvia alle scorrerie che a partire dall'899-900 avevano devastato l'Italia settentrionale e innanzitutto la zona di frontiera orientale, la Marca friulana.
Fu probabilmente in quel frangente che F. partecipò attivamente alla difesa del territorio e, stando al suo epitaffio, con pieno successo: "Ungarorum rabieni magno moderamine pressit/Fecit et Hesperiam pacem habere bonam", recita infatti una delle versioni, leggermente diverse ma univoche nel significato. Sulla base dello stesso epitaffio, anzi, l'Arnaldi ipotizza che lo stesso F. fu il mediatore della tregua che Berengario raggiunse con gli Ungari, divenuti da allora suoi alleati ma non per questo meno pericolosi anche per i suoi fedeli. Nel 921 Berengario, incoronato nel frattempo imperatore, donava a F. il castello di Pozzuolo con tutti i diritti giurisdizionali ad esso inerenti nell'ambito di un miglio. A F. venivano così conferiti i poteri precedentemente spettanti all'autorità comitale, un'autorità peraltro evanescente dato che, ancor prima dell'avvento di Berengario e della crisi del Regno italico, nella Marca era mancato un potere stabile, radicato territorialmente e orientato in senso dinastico.
Fu appunto a partire dal governo di F. che i patriarchi aquileiesi si trovarono a riempire il vuoto di potere derivante dalla limitata presenza e dallo scarso radicamento degli ufficiali pubblici della Marca friulana, essendo l'unica forza emergente in grado di coniugare presenza fondiaria, continuità istituzionale e stabili funzioni pubbliche, in una situazione che rimase comunque disgregata, se si considerano le coeve concessioni di frammentari diritti giurisdizionali, militari, o fiscali ad altri fideles ecclesiastici della regione. Con F. si accentuarono i tratti politico-militari dei patriarchi aquileiesi, e alle sue iniziative in campo bellico si riferisce anche la notizia del doge-cronista Andrea Dandolo, secondo cui nel 921 F., insieme con il duca carinziano e con un altro duca non meglio specificato, si oppose senza successo ad un'incursione ungara in Carinzia (la Carantania meridionale, fino alla Drava, faceva parte infatti della diocesi di Aquileia), scampando alla morte solo con la fuga.
F. morì poco dopo questi avvenimenti, probabilmente il 23 febbr. 922.
Diversamente da altri patriarchi suoi predecessori, le cui salme vennero deposte nella cattedrale di Cividale, F. fu inumato nella cattedrale di Aquileia, che il Paschini non esclude fosse stata da lui restaurata. In tale scelta va letta forse la volontà di rivendicare la legittima eredità dell'antica sede aquileiese, contesa ai presuli friulani dal patriarcato di Grado.
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