VISCONTI, Federico. –
Nacque a Milano il 4 dicembre 1617 da Carlo conte di Carbonara, patrizio milanese, e da Francesca Perona contessa di S. Martino.
Trascorse la sua giovinezza nel palazzo che il padre e lo zio Giulio Cesare, primicerio del duomo di Milano, acquistarono nel 1624, di origini cinquecentesche, poi divenuto palazzo Verri (Orlandi Balzari, 2014, p. 250).
Dotato di una biblioteca con testi di interesse scientifico (alcuni dei quali «eterodossi»; ibid., p. 254) e con gli scritti di Federico Borromeo (di cui Carlo e Giulio Cesare erano cugini essendo la loro madre, Isabella Borromeo, sorella dell’arcivescovo Carlo), il palazzo dei fratelli Visconti era frequentato da patrizi, ecclesiastici, intellettuali: Federico poté dunque godere di un ambiente familiare dai vivaci interessi politici, religiosi e culturali. Sempre lo zio fu esecutore testamentario del cardinale Federico Borromeo e promotore della pubblicazione dei suoi testi; e lo stesso nipote mandò alle stampe le sue ultime opere ancora inedite.
Federico compì i propri studi presso il collegio dei gesuiti di Brera, dove ottenne la laurea in filosofia. Intraprese quelli di giurisprudenza a Pavia, poi conclusi presso l’Università di Bologna. In quegli stessi anni ricevette la tonsura (3 gennaio 1636) e frequentò lo zio Francesco Visconti, vescovo di Cremona, che lo convinse a intraprendere la carriera curiale (Pagani, 1996-1997, p. 9).
Terminati gli studi si recò dunque a Roma, ma la famiglia lo richiamò ben presto a Milano, probabilmente per la morte dello zio Giulio Cesare, avvenuta nel 1643 (Orlandi Balzari, 2014, p. 253).
Fu l’occasione per entrare a fare parte (1644) del locale Collegio dei giureconsulti. Due anni dopo divenne primicerio del capitolo cattedrale ambrosiano, ricevendo l’ordine del diaconato nel febbraio del 1650 (Pagani, 1996-1997, pp. 9-10). Fu probabilmente di nuovo a Roma per brevi periodi negli anni Quaranta (come dimostrano le lettere scritte a Giovanni Pietro Puricelli del luglio e agosto 1645, BA, D.115 inf, c. 187r, D.156 inf, c. 54r), ben inserito ormai negli ambienti curiali, a contatto con religiosi e intellettuali, come il gesuita austriaco Melchior Inchofer.
Più stabilmente a Roma dagli anni Cinquanta, Visconti ebbe modo di perfezionare la propria carriera ricoprendo nel 1662 un posto di consultore nel tribunale dell’Inquisizione (Pagani, 1996-97, p. 10) e incarichi di governo in alcune città dello Stato pontificio: nel 1664 fu vicegovernatore di Tivoli, l’anno seguente governatore di Città di Castello e nel luglio del 1666 di Montalto (Weber, 1994, pp. 209, 298, 404). Il 12 dicembre 1667 fece il suo ingresso nel tribunale della Sacra Rota come uditore, in forza del privilegio concesso ai membri del Collegio milanese dei giureconsulti da papa Pio IV nel 1560 (Signorotto, 1996, p. 114). Sotto Innocenzo XI (il lombardo Benedetto Odescalchi, pontefice dal 1676) Visconti divenne avvocato concistoriale e poi referendario della Segnatura di grazia e giustizia.
Nel 1681, il 23 giugno, fu chiamato a ricoprire il ruolo di arcivescovo di Milano: venne consacrato il 10 agosto. Seguì, il 1° settembre 1681, la nomina a cardinale presbitero, infine, il 4 settembre, ricevette il cappello rosso.
Il suo arcivescovado, ben accetto alle autorità di Madrid – Visconti «aveva manifestato grande dedizione verso la corona» (Dell’Oro, 2007, pp. 181-183; Signorotto, 1996, p. 155) – contribuì a ristabilire relazioni meno conflittuali con il monarca spagnolo dopo i difficili rapporti con il predecessore Alfonso Litta (ibid., p. 252). Non che fossero del tutti risolti i motivi di attrito, come le non facili relazioni con l’economo regio e apostolico per i benefici vacanti dovevano dimostrare: Visconti ancora nel 1689 «si lamentò di non essere riuscito ad ottenere» i libri contabili dell’amministrazione del vescovado vacante promessi nel 1683 dall’economo Cesare Gorani (Dell’Oro, 2007, pp. 183-186). Tuttavia, seppure costretto in più circostanze a difendere la propria autorità e l’immunità ecclesiastica (contro gli impedimenti al proprio diritto di visita dei luoghi pii, l’aumento dell’imposta per ottenere il placet regio sull’assegnazione dei benefici, gli alloggiamenti militari sulle terre dell’arcidiocesi), Visconti, di fatto alieno dal voler esacerbare il conflitto giurisdizionale, optò per una strategia prudente, per soluzioni di compromesso.
E questo per salvaguardare il dialogo con i ministri spagnoli, pur sempre rappresentanti di quella monarchia cattolica impegnata sul fronte militare contro gli ottomani; alleata insostituibile per combattere il rigurgito eretico tanto a Milano, di fronte al pericolo portato dalla presenza sempre più massiccia di soldati stranieri (AEM, 1897, col. 1355, 15 gennaio 1691), quanto nei territori confinanti dei Cantoni svizzeri (l’ambasciatore spagnolo in Valtellina ricopriva un ruolo importantissimo in tal senso, soprattutto nel promuovere l’espulsione delle famiglie protestanti, cfr. lettera del 9 luglio 1687 di Visconti al cardinale Alderano Cibo, AAV, Segreteria di Stato, 51, c. 140rv); sensibile, infine, ad accogliere le istanze pontificie talora all’origine dei contrasti tra arcivescovo e autorità secolari a livello locale. A proposito delle «tre decime» richieste da Roma nel 1684 al clero italiano per venire in soccorso dei principi cattolici e previste anche sui benefici di giuspatronato regio, fu Madrid a ordinare al viceré a Napoli e al proprio governatore a Milano di «lasciar correre liberamente» la richiesta papale, favorendo così anche la soluzione della vertenza di Visconti con il prevosto di S. Maria della Scala (AAV, Segreteria di Stato, 50, lettera di Visconti a Cibo del 22 maggio 1686, c. 32r).
È altresì da sottolineare, di fronte per esempio al frequente ricorso alla giustizia regia da parte degli stessi ecclesiastici coinvolti in liti e dispute giudiziarie (si veda la lettera di Visconti a Cibo dell’8 aprile 1682, AAV, Segreteria di Stato, 46, cc. 60r-68v), quanto la conflittualità che attraversava le relazioni politico-religiose non fosse sempre ascrivibile a una netta contrapposizione tra le due autorità: in verità i motivi di scontro erano parte di un sistema di relazioni e alleanze clientelari in cui colludevano interessi trasversali, principalmente privati e familiari (cfr. la vertenza del 1681 con monsignor Alfonso Antonio Litta, erede dell’arcivescovo defunto: secondo Visconti colpevole di aver sottratto somme «molto considerabili» dalla mensa arcivescovile e invece difeso dal Senato nella rivendicazione dei suoi crediti, lettera di Visconti a Cibo del 21 giugno 1684, AAV, Segreteria di Stato, 48, c. 93rv; BAV, Vat. lat., 14137, cc. 238r-246v, Manifesto del cardinal [Flavio] Chigi contro il signor cardinale [Federico] Visconti).
Vero è, come accennato, che non mancarono momenti di scontro anche con l’autorità spagnola, come nel caso già citato della gestione dei benefici vacanti e dei luoghi pii. Periodo di guerra, l’ultimo ventennio del Seicento costrinse Visconti ad agire contro la presenza di alloggiamenti militari sulle terre della Chiesa.
Fatto non riducibile a una controversia locale (alcune terre del Ducato ‘papale’ di Parma e Piacenza furono occupate dal generale asburgico Antonio Carafa come pure la Valsolda, patrimonio della mensa vescovile), la questione degli alloggiamenti divenne all’inizio degli anni Novanta oggetto di continue trattative tra Milano, Roma e Madrid. I colloqui iterati (ma spesso inutili) di Visconti con il generale Carafa (lettera di Visconti a Spada del 19 dicembre 1691, AAV, Segreteria di Stato, 56, c. 176rv) erano il segno del profondo coinvolgimento dell’autorità ecclesiastica milanese nella dialettica politico-diplomatica di quegli anni, sebbene in una posizione di evidente debolezza di fronte ai preponderanti interessi del partito asburgico, consapevole delle trame filofrancesi a cui sembravano inclini alcuni principi italiani e quindi sospettoso anche verso gli atteggiamenti romani (cfr. lettere di Visconti a Spada, 21 novembre 1691, 3 dicembre 1691, ibid., cc. 102r-103v e 123r-125v).
Del tutto evidente fu il comune sentire di arcivescovo e autorità secolari tanto nelle misure repressive per arginare il pericolo eretico in Valtellina, quanto nella decisione del Senato, su richiesta papale, di espellere gli ebrei da Alessandria e Lodi (o quanto meno di relegarli, così nelle parole del governatore, in un qualche angolo della città e con un segno distintivo che li identificasse immediatamente, lettere del 14 maggio e del 15 agosto 1687 di Visconti a Cibo, AAV, Segreteria di Stato, 51, cc. 120r e 157rv), come, infine, nelle vicende belliche che opposero l’Europa cattolica all’Impero ottomano (occasione per celebrazioni religiose, messe di suffragio, raccolta di elemosine a favore dei soldati feriti; cfr. lettera di Visconti a Cibo dell’11 settembre 1686, AAV, Segreteria di Stato, 50, c. 133r; AEM, 1897, col. 1308).
Nella sua veste di episcopo Visconti operò per ristabilire la disciplina ecclesiastica – tra il 1682 e il 1690 intraprese la visita pastorale della diocesi, nel 1687 riunì un sinodo diocesano, si attivò per ridare vigore all’istruzione seminariale – sia all’interno dei monasteri femminili (cercando di limitare le relazioni delle monache con il mondo esterno) sia nel clero maschile (ribadendo il divieto di portare armi, dare ospitalità negli edifici sacri ai delinquenti e di vestire e portare abiti e capigliature indecenti, e l’obbligo di rispettare ‘la residenza’, evitare le occasioni mondane offerte dai ritrovi pubblici e dalle rappresentazioni teatrali). Altrettanto attento si dimostrò verso la morale sessuale e i comportamenti dei laici, intervenendo sia sulla pratica, evidentemente ancora diffusa nella società milanese nonostante le disposizioni tridentine, di avere rapporti sessuali dopo la semplice promessa di matrimonio, sia «contro la baldanzosa vanità del sesso donnesco che ormai non si vergogna», scriveva nel marzo del 1684 (ibid., coll. 1302, 1309), di accedere ai sacramenti della confessione e dell’eucarestia mostrandosi «con mostruosa nudità di petto, spalle e braccia» (ibid., col. 1309, 31 marzo 1684), sia contro chi entrava in chiesa «con cani da caccia, sparvieri [...], archibugi, balestre, armi d’aste», cibi e bevande (ibid., coll. 1313-1317). Così pure i conflitti e le divisioni teologiche in seno alla compagine ecclesiastica lo costrinsero ad avviare un processo, d’accordo con il governatore spagnolo, contro il vescovo cistercense di Pavia Juan Caramuel e i suoi ministri, in lite con i barnabiti (alcuni dei quali rinchiusi nelle carceri vescovili) a causa della querelle sul battesimo degli aborti (Premoli, 1922, pp. 360-364).
Infine, la battaglia contro il quietismo sollecitata dal segretario di Stato e inquisitore Cibo con una sua lettera del 15 febbraio 1687 lo impegnò contro le «radunanze» in chiese e palazzi privati di uomini e donne nelle quali direttori spirituali inesperti «e fors’anche maliziosi» andavano «instillando nella mente gravissimi errori» (AEM, 1897, col. 1333).
Morì a Milano il 7 gennaio 1693, dopo una lunga malattia palesatasi nel conclave per la nomina di Innocenzo XII (1691).
Fonti e Bibl.: Fondamentale la tesi di laurea di F. Pagani, Aspetti dell’episcopato milanese del cardinale F. V. (1681-1693) attraverso il carteggio con la segreteria di Stato, Università degli studi di Milano, a.a. 1996-97, che in Appendice raccoglie la trascrizione delle lettere con la Segreteria di Stato conservate in Città del Vaticano, Archivio apostolico Vaticano (AAV). Inoltre: Milano, Biblioteca Ambrosiana (BA), D.115 inf, c. 187r, D.156 inf, c. 54r; Archivio storico diocesano, Carteggio ufficiale, 94; Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana (BAV), Vat. lat., 14137, cc. 238r-246v; Acta Ecclesiae Mediolanensis (AEM), VI, Mediolani 1897, coll. 1281-1363.
O.M. Premoli, Storia dei barnabiti nel Seicento, Roma 1922, passim; D. Zardin, L’ultimo periodo spagnolo (1631-1712). Da Cesare Monti a Giuseppe Archinto, in Storia religiosa della Lombardia, X, Diocesi di Milano (2a parte), a cura di A. Caprioli - A. Rimoldi - L. Vaccaro, Brescia 1990, pp. 575-613; C. Weber, Legati e governatori dello Stato Pontificio: 1550-1809, Roma 1994, ad ind.; G. Signorotto, Milano spagnola, Milano 1996, ad ind.; G. Zanlonghi, Immagine e parola nel teatro gesuitico: testi e apparati per gli ingressi degli arcivescovi Cesare Monti e F. V., in Studia Borromaica, XIII (1999), pp. 267-302; G. Dell’Oro, Il regio economato, Milano 2007, ad ind.; V. Orlandi Balzari, I Visconti di Carbonara e il ciclo del “Grechetto” come esempi di libertinismo erudito, in Libertinismo erudito e pensiero anticonformista. Genova nell’Europa del Seicento, Roma 2014, pp. 235-264; S. Miranda, F. V., http://cardinals.fiu.edu/bios1681.htm#Visconti (9 maggio 2020).