VISCONTI (di Pisa), Federico
VISCONTI (di Pisa), Federico. – Nacque a Pisa, nei primi anni del Duecento, da Enrico di Ricoveranza: quest’ultimo era con ogni probabilità nipote ex avo di Pietro, uno dei quattro fratelli che Enrico IV aveva insediato a Pisa come vicecomites imperiali.
La casa paterna di Visconti, la cui madre non è mai rammentata nelle fonti, si trovava di fronte alla chiesa di S. Felice, all’angolo con la via di Borgo (oggi Borgo Largo).
Destinato alla vita ecclesiastica, compì i primi studi presso la canonica di S. Sisto e nel 1217 ebbe modo di assistere all’incontro fra il clero cittadino e il cardinale legato Ugolino: entrambe le notizie si leggono in una delle prediche da lui tenute dopo la nomina ad arcivescovo, raccolte da lui stesso, insieme ad alcune precedenti, in un codice conservato oggi presso la Biblioteca Laurenziana di Firenze. Da un’altra predica si apprende che il 15 agosto 1222, a Bologna (dove certo si trovava come studente) egli assistette all’emozionante esortazione alla pace cittadina pronunciata da s. Francesco nella piazza del Comune. A Bologna egli dovette conoscere, fra gli altri, Sinibaldo Fieschi, al quale sarebbe rimasto sempre legato.
Nient’altro si sa di lui fino al 9 ottobre 1227, quando, come semplice clericus, testimoniò a Pisa a un episodio dell’ormai annosa controversia fra l’arcivescovo Vitale e il capitolo della cattedrale. Di lì a qualche tempo divenne pievano di Vicopisano, probabilmente per intercessione di Fieschi, che nel settembre del 1227 era diventato cardinale e lo accolse ben presto nella propria ‘cappella’: la prima attestazione di entrambe le qualifiche è del 15 febbraio 1230, quando Sinibaldo e Visconti si trovavano a Perugia. Il 19 maggio 1231, su sollecitazione di Gregorio IX e del cardinale, fu accolto nel seno del capitolo della cattedrale pisana, a condizione che si facesse al più presto ordinare prete come richiedeva la prebenda assegnatagli.
La mancata presenza di Visconti alle riunioni capitolari dei quattro anni successivi fu dovuta, con ogni probabilità, a un primo soggiorno di studio a Parigi, al ritorno dal quale tenne un sermone in duomo, alla presenza dell’arcivescovo e del clero, nella festa della natività di Maria: si potrebbe pensare all’8 settembre 1234, visto che nel biennio successivo (e più esattamente dal 19 giugno 1235 al 23 luglio 1236) egli risulta regolarmente presente in capitolo, come uno degli otto canonici-preti.
Il lungo silenzio documentario successivo al luglio del 1236 corrisponde a un secondo soggiorno a Parigi (nel corso del quale Visconti continuò a frequentare in prevalenza ambienti domenicani e studiò a fondo la Summa super Sententiis di Ugo di St. Cher) e poi al rientro nel servizio del cardinale Sinibaldo, il quale, una volta asceso al pontificato come Innocenzo IV, lo nominò cappellano papale, portandolo con sé a Lione. Il lungo soggiorno lionese di Visconti è testimoniato da una predica tenuta in capella domini pape Innocentii nella quarta domenica di Avvento di un anno imprecisato, e da alcune lettere d’incarico indirizzategli dal papa fra il 19 settembre 1250 e il 6 febbraio 1251. Egli seguì quindi Innocenzo IV nel viaggio di rientro in Italia e il 20 settembre 1252, a Perugia, fu incaricato dal papa di sollecitare gli arcivescovi e i vescovi dell’Italia settentrionale a sovvenzionare il vescovo eletto di Feltre, costretto all’esilio; vista la solerzia da lui dimostrata, il 9 settembre 1253 l’incarico gli fu rinnovato per un altro anno. Nel frattempo, però, si erano create le condizioni per una responsabilità ben più importante.
Il 13 novembre 1252 era morto l’arcivescovo di Pisa, Vitale, e già prima della metà di febbraio del 1253 Innocenzo IV aveva nominato Visconti ‘procuratore’ della Chiesa pisana, assegnandogli la facoltà di amministrarla sia nel temporale sia nello spirituale.
Egli si era recato a Pisa già poco tempo dopo la morte del presule, assistendo all’insediamento dei tre canonici incaricati dal capitolo di provvedere, come da consuetudine, all’amministrazione dell’arcivescovato in sedevacanza, ma non appena ricevuta la nomina ordinò a costoro di non occuparsene più, suscitando la dura reazione degli antichi confratelli, i quali l’11 marzo 1253 si appellarono al papa e il 7 aprile inviarono una delegazione per chiedergli l’autorizzazione a procedere essi stessi all’elezione del nuovo arcivescovo. Innocenzo IV respinse tale richiesta e prima del 29 ottobre 1253 formalizzò l’elezione ad arcivescovo di Visconti (che quel giorno è attestato a Roma, in Laterano, come archiepiscopus electus), senza peraltro procedere alla sua consacrazione: Pisa era ancora sottoposta all’interdetto fulminato da Gregorio IX nel 1241, ulteriormente indurito dallo stesso Innocenzo IV.
L’ingresso ufficiale a Pisa avvenne il 12 luglio 1254. Il momento era molto delicato: dopo la morte di Federico II, in città si erano riformate le partes nobiliari contrapposte guidate dai Conti di Donoratico e dai Visconti ‘Maggiori’ (i discendenti dei vicecomites insediati a Pisa dai marchesi di Tuscia prima dell’arrivo di Enrico IV) e poco prima dell’arrivo del presule le milizie pisane erano state duramente sconfitte da quelle fiorentine e lucchesi. Per ovviare alla grave crisi Visconti appoggiò la costituzione della magistratura degli Anziani del popolo (a imitazione di quella introdotta a Firenze sin dal 1250), che intavolò subito trattative di pace con le città nemiche. I primi atti di governo del presule eletto sono indicativi delle questioni da lui ritenute più urgenti: a partire dagli ultimi giorni di agosto egli convocò tutti coloro che risultavano detenere terreni in beneficio dall’arcivescovato pisano e ordinò loro di pronunciare un giuramento di fedeltà nei suoi confronti, come condizione necessaria per ottenere il rinnovo dell’investitura.
Fra costoro vi erano anche i tre fratelli di Visconti e alcuni dei loro figli: il legame strettissimo con i parenti più vicini sarebbe rimasto sempre un tratto distintivo dell’operato dell’arcivescovo e il suo immediato successore Ruggieri Ubaldini avrebbe subito denunciato il grave depauperamento del patrimonio fondiario dell’arcivescovato causato dal suo eccessivo nepotismo.
Visconti volle anche ricomporre subito la frattura apertasi l’anno precedente con i suoi antichi confratelli del capitolo e l’11 settembre 1254 rinunciò formalmente a richiedere il rendiconto di tutto quel che era pervenuto nelle loro mani dopo la morte di Vitale, confermando la validità della consuetudine che, in tempo di sedevacanza, i frutti dell’arcivescovato dovessero essere goduti dal capitolo pisano. Da quel momento i rapporti con i canonici si mantennero sempre buoni, tanto è vero che, di lì a pochi mesi, l’arciprete Leonardo accompagnò il presule in una missione presso la Curia romana, iniziata probabilmente quando Innocenzo IV era ancora vivo e continuata sicuramente con Alessandro IV, prima a Napoli e poi ad Anagni. Visconti sapeva che per ottenere la consacrazione episcopale era necessario che il papa rimuovesse l’interdetto gravante su Pisa e lavorò perciò come ambasciatore del Comune e del Popolo. Il 22 aprile 1255, a Napoli, Alessandro IV gli comunicò che il differimento della sua consacrazione dipendeva da motivi oggettivi e non pregiudicava la sua posizione canonica; e il 17 luglio, da Anagni, il presule scrisse dure lettere alla autorità civili pisane, lamentando che, mentre egli stava lavorando in Curia per il bene della città, a Pisa non si era esitato ad addossare all’arcivescovato e alla pieve di Vico oneri fiscali connessi con il mantenimento dell’esercito e a minacciare sanzioni per il mancato pagamento.
Durante il soggiorno ad Anagni Visconti si adoperò per favorire la canonizzazione di Chiara d’Assisi, presentando un consilium che fu poi inserito nella sua raccolta di prediche. Nessun risultato fu raggiunto, invece, sul piano politico-diplomatico, sì che nella primavera del 1256 egli era di nuovo a Pisa.
Le trattative con la Curia papale si sbloccarono solo all’inizio di marzo del 1257, anche se il compito di creare le condizioni per la riconciliazione fu affidato da Alessandro IV non all’arcivescovo eletto, ma al frate minore Mansueto da Castiglione Aretino, penitenziario papale. Costui ebbe comunque il pieno appoggio di Visconti e la pace fu suggellata il 27 maggio 1257, con l’avvio solenne dei lavori di costruzione dell’hospitale che il Comune si era impegnato a istituire sul lato meridionale della piazza del duomo, in segno di espiazione e di gratitudine nei confronti del papa. Lo «Spedale Nuovo della Pace, o della Misericordia, o di papa Alessandro» ebbe ben presto una cappella dedicata a S. Chiara (donde il nome moderno del nosocomio), ma non fu sottoposto all’arcivescovo pisano, bensì direttamente al papa, anche se Visconti cercò di inserirsi nell’operazione, disponendo che al nuovo ente fossero assegnati i tanti piccoli hospitalia cittadini autonomi o annessi a canoniche e monasteri; ma Alessandro IV accolse le proteste degli interessati e bloccò il tentativo arcivescovile di razionalizzare la rete assistenziale e ricettiva cittadina. A quel punto, a ogni modo, la strada per la sospirata consacrazione era aperta e Visconti si recò nell’estate a Viterbo, dove il papa lo consacrò e gli consegnò il pallium di metropolita il giorno 4 agosto, festa liturgica di s. Domenico.
Nemmeno due settimane dopo egli era già rientrato a Pisa e nel mese di novembre trasferì la propria residenza dal palazzo arcivescovile (posto a oriente della piazza del Duomo) a un edificio annesso alla canonica regolare di S. Pietro in Vincoli, situata molto vicino all’Arno. Qui Visconti sarebbe rimasto fino alla morte, per ragioni non del tutto chiare, ma fra le quali vi fu certamente la sua intenzione di rilanciare il culto petrino, tanto in città quanto (e soprattutto) nel santuario suburbano di S. Piero a Grado, meta di affollati pellegrinaggi e luogo in cui egli tenne dotte e appassionate prediche.
Il 15 febbraio 1258 l’arcivescovo presiedette a Pisa un sinodo diocesano e ne pubblicò le costituzioni, dedicate in buona parte – sulla scorta delle prescrizioni del Concilio Lateranense IV del 1215 – alla disciplina del clero e al buon mantenimento degli spazi cultuali, ma anche attente a ribadire l’osservanza delle tradizioni liturgiche pisane. Un altro sinodo diocesano si sarebbe tenuto nei giorni della Pentecoste del 1260: predicandovi al proprio clero, Visconti enunciò l’idea – a lui cara e sovente ripresa nel suo sermonario – che i frati minori e predicatori, esperti in teologia, erano i «coadiutori del vescovo nella predicazione» e dovevano perciò essere tenuti in grande considerazione dal clero secolare; anche in questo caso egli si richiamava al Lateranense IV, considerando l’attività pastorale d’alta qualità svolta dai frati la realizzazione di quanto previsto dal canone 10 del concilio. Nel 1261 fu la volta di un sinodo provinciale: le sedi vescovili suffraganee di Pisa erano sei (Massa Marittima, tre in Corsica e due in Gallura), ma a intervenirvi furono solo i vescovi di Massa (Ruggero) e di Aleria (Lombardo, forse parente alla lontana di Visconti). Subito dopo, Visconti avviò la visita sistematica delle chiese cittadine e diocesane, che partì dalla cattedrale di S. Maria e avrebbe dovuto comprendere anche la diocesi suffraganea toscana di Massa Marittima, il cui preside rifiutò però di ricevere l’arcivescovo, accampando l’assenza di un qualsiasi precedente in materia.
All’inizio del 1263 il Comune chiese a Visconti di recarsi a visitare anche la Sardegna, non solo come metropolita dei vescovi di Civita (oggi Olbia) e Galtellì, ma anche come primate delle tre province ecclesiastiche isolane di Cagliari, Torres e Arborea e come legato apostolico. L’arcivescovo si recò a Roma per ricevere l’autorizzazione di Urbano IV (il quale, dunque, non lo riteneva personalmente responsabile delle scelte politiche testé compiute dalle autorità civili pisane) e il 22 marzo 1263 si imbarcò con un seguito di quindici chierici e trentacinque laici sulla galea messagli a disposizione dal Comune.
L’itinerario della visita è descritto nei particolari da un testo inserito poi nella raccolta dei sermones, a beneficio dei successori che avessero voluto tornare a visitare l’isola (cosa che però non si verificò più). Visconti arrivò dapprima in Gallura, quindi proseguì per nave fino a Cagliari, dove fu accolto dall’arcivescovo e da tre suffraganei di costui. Qui apprese che l’arcivescovo di Torres rifiutava – a suo dire con l’avallo del papa – di riconoscerlo come legato apostolico, ma decise di proseguire ugualmente la visita in virtù dell’altra sua prerogativa di primate (da lui equiparata a quella di patriarca); si recò in Arborea, per tornare poi a Cagliari e infine rientrare sul continente, passando di nuovo per la Gallura, dove confermò l’elezione del nuovo vescovo di Galtellì. A Pisa arrivò il 27 giugno 1263. Proprio in quei giorni (se non già da prima) Pisa fu nuovamente colpita dall’interdetto papale, scagliato da Urbano IV per punire l’appoggio dato dal Comune alla politica di Manfredi di Sicilia. La sanzione gravò sulla città fino all’agosto-settembre del 1266 (Manfredi era stato sconfitto e ucciso a Benevento il 26 febbraio), ma la riconciliazione fu di breve durata, perché Clemente IV comminò di nuovo l’interdetto sulla città e la scomunica dei magistrati e consiglieri del Comune e del Popolo il 18 novembre 1267: ci sono pervenute sia la predica con la quale l’arcivescovo aveva cercato, per conto di Clemente IV, di indurre il Comune a fare pace con Carlo I d’Angiò, sia quella, di poco successiva, con la quale annunciò con amarezza la nuova punizione papale, ricordando altresì che in passato questa situazione era stata per la città foriera di disgrazie, mentre nei momenti di comunione con la Sede apostolica erano stati riportati brillanti successi. Nella primavera del 1268 Pisa accolse trionfalmente Corradino di Svevia, che fu ospitato nel palazzo arcivescovile (ma probabilmente non su iniziativa di Visconti, il quale, come si è detto, da più di dieci anni risiedeva altrove), e Clemente IV inasprì le sanzioni, privando la Chiesa pisana delle prerogative arcivescovili e metropolitiche. Tale situazione si sarebbe protratta per ben cinque anni, per via della lunga sedevacanza papale dopo la morte di Clemente IV e poi per l’atteggiamento negativo tenuto, almeno all’inizio, anche da Gregorio X, eletto il 1° settembre 1271. L’attesa del nuovo papa e le speranze subito riposte in lui sono ricordate nella predica tenuta da Visconti «quando il signor papa Gregorio X ordinò che si riunisse un concilio» (e dunque poco dopo il 31 marzo 1272; Les sermons et la visite pastorale de Federico Visconti archevêque de Pise (1253-1277), a cura di N. Bériou, 2001, n. 105, pp. 1068-1075).
La riconciliazione, però, si concretizzò solo nella tarda primavera del 1273, con l’arrivo in città del frate domenicano Giovanni da Viterbo e fu suggellata il 7 giugno da una solenne processione per le vie della città, guidata dal legato papale e dall’arcivescovo. Il 20 giugno costui incontrò il papa a Firenze e si vide restituire la dignità di metropolita; e all’inizio di settembre convocò un concilio provinciale, al termine del quale il nuovo vescovo di Massa Marittima, Filippo, gli fece atto di obbedienza. Il 12 aprile 1274 l’arcivescovo partì da Pisa per partecipare al concilio di Lione e rientrò in città il 28 agosto. Durante il concilio egli tenne un discorso di fronte al papa, ai cardinali e all’intero consesso «pro succursu Terre Sancte et decima persolvenda», poi inserito, seppure in versione ridotta, in calce alla raccolta delle prediche (ibid., n. 106, pp. 1075-1078).
Nel 1275 e nel 1276 Visconti dovette assistere agli insuccessi militari di Pisa nella nuova guerra contro le città guelfe di Toscana, conclusasi con la pace sfavorevole del 9 giugno 1276, che portò al rientro in città del conte Ugolino della Gherardesca e dei figli di Giovanni Visconti (il giudice di Gallura da poco defunto), che ne erano fuorusciti fra il 1274 e il 1275. Negli ultimi tempi, anche alcuni dei nipoti dell’arcivescovo erano divenuti partigiani di Giovanni Visconti, pur non essendo imparentati con i Visconti ‘Maggiori’.
L’ultimo atto importante di Visconti fu, il 17 giugno 1277, la cessione all’Opera del duomo del terreno ortivo di proprietà arcivescovile posto ai margini settentrionali della piazza, lungo le mura cittadine, al fine di trasferirvi e concentrarvi il cimitero estesosi disordinatamente tutt’intorno al duomo stesso e fra questo e il battistero, e ripristinare così l’uso pubblico della piazza; nel relativo documento, egli volle far scrivere che occuparsi di queste cose era «compito precipuo dell’arcivescovo» (Pisa, Archivio storico diocesano, Mensa, Contratti, 3, c.98rv).
Si crearono così le condizioni per la nascita del Campo Santo (ancora inteso, peraltro, come cimitero ‘a cielo aperto’): tale denominazione compare nelle fonti sin dal 1278 e deriva dalla convinzione – assai probabilmente lanciata dallo stesso arcivescovo – che in quell’area fosse stata sparsa a suo tempo la ‘terra santa’ di Gerusalemme, portata in città dall’arcivescovo Ubaldo al ritorno dalla III crociata. La chiesetta destinata al servizio del nuovo cimitero chiuso e appartato fu intitolata alla SS. Trinità, anche in questo caso su probabile impulso di Visconti, che alla Trinità aveva dedicato un sermone pronunciato (in un anno imprecisato) nel giorno della relativa festa liturgica.
Visconti morì nella notte fra il venerdi 1° e il sabato 2 ottobre 1277 e fu sepolto in questo stesso giorno all’interno del duomo pisano. La tomba non esiste più, a causa del gravissimo incendio che colpì l’edificio nel 1595.
Il corpus delle prediche di Visconti, allestito (come già accennato) da lui stesso, è testimonianza preziosa e rara nel panorama italiano del XIII secolo. Ne emerge l’autoritratto di un presule orgogliosamente consapevole dei propri doveri pastorali, nel pieno accoglimento dei dettami del Lateranense IV. Meritatamente famose sono le prediche tenute nelle chiese pisane dei frati minori e predicatori, dei quali descrive con toni elogiativi la vita insieme contemplativa e attiva, invitando i fedeli a fare buon uso dei servizi pastorali di questi religiosi e a sovvenzionare l’ampliamento delle loro chiese. Degno di nota anche il ‘patriottismo’ del presule, a esaltazione e riscoperta delle tradizioni cultuali cittadine, a salvaguardia della posizione politico-diplomatica del Comune, per la quale l’obbedienza alla Sede apostolica è peraltro condizione irrinunciabile.
Fonti e Bibl.: Pisa, Archivio storico diocesano, Arcivescovi, Mensa, Contratti, n. 2-5, Capitolo, Diplomatico, n. 948, 1075; Les Registres d’Innocent IV, a cura di E. Berger, Paris 1881-1920, n. 4835, 4901, 5984, 6984; Les sermons et la visite pastorale de Federico Visconti archevêque de Pise (1253-1277), a cura di N. Bériou, Rome 2001 (in partic. Textes des sermons et de la visite pastorale, pp. 325-1078; Les statuts sinodaux de 1258, pp. 1079-1083).
M. Ronzani, Nascita e affermazione di un grande «Hospitale» cittadino: lo Spedale Nuovo di Pisa dal 1257 alla metà del Trecento, in Città e servizi sociali nell’Italia dei secoli XII-XV, Pistoia 1990, pp. 201-235; N. Bériou, Introduction historique, in Les sermons, cit., pp. 27-265; A. Poloni, Trasformazioni della società e mutamenti delle forme politiche in un Comune italiano: il Popolo a Pisa (1220-1330), Pisa 2004, pp. 86-93; M. Ronzani, Un’idea trecentesca di cimitero. La costruzione e l’uso del Camposanto nella Pisa del secolo XIV, Pisa 2005, pp. 21-29; G. Dell’Amico, F. V. di Ricoveranza, arcivescovo di Pisa (1200 ca -1277), tesi di dottorato di ricerca, Università di Pisa, 2011; M. Ronzani, Uffici vescovili e mobilità sociale: alcuni esempi pisani dei secoli XIII e XIV, in La mobilità sociale nel Medioevo italiano. 3. Il mondo ecclesiastico (secoli XII-XV), a cura di S. Carocci - A. De Vincentiis, Roma 2017, pp. 160-169.