VERDINOIS, Federigo
Nacque il 2 luglio 1844 da Luigi, mantovano, e da Amelia Gargani.
In alcune fonti (tra cui Amato, 1997, p. 727) si riferisce come data di nascita il 2 luglio 1843; risulta però dirimente il certificato di battesimo, reperito da Caterina De Caprio (De Caprio, 1980, p.76), che riporta l’anno seguente (oltre a renderci noto il nome completo di Verdinois, che fu Federigo Maria Luigi Severo). Ebbe una sorella pressoché coetanea (Croce, 1936, p.161), mentre non sappiamo dell’esistenza di altri fratelli.
Il padre di Verdinois, come apprendiamo dalla voce a lui dedicata nel Dizionario biografico degli scrittori contemporanei, era impiegato presso l’amministrazione finanziaria, la qual cosa costrinse la sua famiglia a frequenti spostamenti durante l’età scolare di Federigo. Nel 1864 Verdinois giunse a Firenze, con l’intenzione di sostenere l’esame per rientrare nei consolati. Le sue speranze furono tuttavia disattese, poiché prerequisito essenziale per partecipare era il possesso di una rendita di almeno 3000 lire, cifra cui Verdinois non si avvicinava neppure con il computo del patrimonio. Dovette allora ripiegare su un lavoro di impiegato doganale, che avrebbe mantenuto per cinque anni. Coltivò parallelamente i suoi interessi letterari, cullando l’idea di provare a pubblicare una sua opera. Vi riuscì rapidamente, perché in effetti è proprio al periodo fiorentino che sembra risalire il suo debutto letterario: una commedia dal titolo Marito e moglie, che fu messa in scena con «buon successo» al Teatro de’ Fiorentini (Dizionario biografico degli scrittori…, cit., p.1032), e che sarebbe stata pubblicata nel maggio del 1875 su Rivista minima (che avrebbe ospitato, peraltro, diverse altre opere di Verdinois). Si trattava di una commedia in versi e a tesi «in cui si propone un ménage familiare orientato ai più saldi principi di morigeratezza e concordia domestica» (La tentazione del fantastico…, p.229, n.16). Non è un caso se la prima opera di Verdinois fu proprio una pièce, poiché negli anni di Firenze ci fu l’avvicinamento al mondo del teatro, che avrebbe segnato poi indelebilmente la sua attività giornalistica al punto che egli si può ritenere uno dei primi critici teatrali tout court che avemmo in Italia (se non addirittura un precursore in tale frangente), fautore di un modello giornalistico «debitore dell’hegelismo quanto ad idee-forza», anche se concretizzato in «forme letterarie più semplici ed efficaci» (Giammattei, 2003, p.54). Ma se gli anni fiorentini lasciarono intravvedere il germe di quella pulsione critico-letteraria, è al successivo periodo campano che se ne deve far risalire la fioritura. Nel 1869, infatti, Verdinois si trasferì a Salerno, dove per arrotondare il suo stipendio di 77 lire al mese come intendente di finanza decise di fondare e dirigere un giornale, L’Osservatore. Quella primizia fu a conti fatti un’esperienza piuttosto effimera, conclusasi dopo appena due mesi. L’iniziazione giornalistica fu in effetti piuttosto problematica sulle prime, se si considera che la successiva esperienza in questo campo, come redattore dell’Unità Nazionale di Bonghi, durò ancora meno: appena quindici giorni, al termine dei quali fu mandato via per aver dimostrato «scarsa attitudine» al lavoro giornalistico (Dizionario biografico degli scrittori…, cit., p.1032).
Nel 1871 Verdinois pubblicò a Napoli, sulle pagine della rivista Patria, le sue prime due novelle: Amore sbendato e Un sorso d’acqua. Nel campo della scrittura creativa gli esiti sembrarono più incoraggianti, al punto che sospinto dal buon riscontro dei due racconti Verdinois si risolse ad abbandonare l’incarico all’intendenza di finanza, per dedicarsi a tempo pieno alla sua attività di scrittore e giornalista. In quegli anni si registra una collaborazione con l’Indipendente, ma fu l’approdo al Giornale di Napoli a segnare la svolta. Vi era entrato dapprima come recensore di spettacoli teatrali, con lo scopo precipuo di arrotondare i guadagni, ma in soli tre mesi ne divenne uno dei cronisti di punta. Con la morte del direttore, subentrò alla guida della redazione; mantenne l’incarico sino al 1876, quando in conseguenza alla caduta del governo Minghetti del 18 marzo il suo profilo di giornalista scarsamente impegnato in politica sembrò improvvisamente inadatto alla direzione del giornale napoletano. La sua carriera giornalistica era però ormai avviata, poiché nel frattempo aveva intrapreso diverse collaborazioni con altre testate, come il Fanfulla a Roma (già dal 1871: in occasione di questa collaborazione aveva iniziato ad impiegare lo pseudonimo di ‘Picche’ cui fece spesso ricorso), il Corriere del Mattino a Napoli, l’Illustrazione italiana a Milano. Verdinois era ormai diventato, insieme a Rocco De Zerbi, il principale critico letterario nel panorama napoletano.
Verdinois aveva interessi letterari piuttosto eterogenei e trasversali, anche se nutriva una certa predilezione per la letteratura gotica e Poe in particolare. Proprio lo scrittore statunitense sembra essere fonte privilegiata del Verdinois narratore, come testimoniano anche le preferenze accordate a forme narrative brevi e al genere fantastico. Questa fascinazione di Verdinois per certa letteratura, tuttavia, deve leggersi anche alla luce del suo interesse per il mondo dell’occulto: in particolare nei primi anni napoletani, infatti, si era dedicato allo spiritismo, arrivando a maturare la convinzione di poter realmente porsi in contato con i defunti (La tentazione del fantastico…, cit., p.224). Queste fonti e suggestioni avrebbero innervato tutta la produzione narrativa di Verdinois, il cui esito più interessante rimane forse la raccolta Racconti inverosimili (Napoli 1882, riedito nel 1990, sempre a Napoli, a cura di Caterina De Caprio). Accanto a questo filone letterario se ne sarebbe sviluppato un altro in parallelo, forse più fortunato tra i contemporanei ma meno nella posterità, ovvero la memorialistica (nel cui novero rientra l’interessante La visione di Picche. Storia vera per chi ci crede, Napoli 1887).
Verdinois partecipò attivamente al dibattito del tempo sul teatro, facendosi fautore, in particolare, di un modello nazional-popolare che facesse impiego del vernacolo anche con lo scopo di raggiungere il ceto piccolo-borghese e assumere una funzione civilizzatrice e moralizzatrice (De Caprio, 1980, pp.77-81). Queste sue idee nutrirono le pagine del Corriere del Mattino Letterario, supplemento domenicale del Corriere del Mattino e organo informativo del circolo teatrale Goldoni. Verdinois vi lavorò come caporedattore dal 4 marzo 1877 sino al febbraio del 1878, quando si realizzò il suo passaggio alla parte letteraria del quotidiano maggiore.
Nel 1879, con la versione di La piccola Dorrit di Dickens (Milano),Verdinois iniziò la sua attività di traduttore, che deve ritenersi il filone più importante della sua produzione, sia da un punto di vista qualitativo che quantitativo, dal momento che si annoverano ben 350 traduzioni a sua firma da varie lingue (inglese e russo principalmente, ma anche francese, tedesco e polacco). Fu proprio in virtù di questa straordinaria prolificità che fu chiamato a insegnare prima lingua e letteratura inglese e poi russo al Real Collegio Asiatico (da cui trae origini l’odierna università L’Orientale di Napoli). Ebbe tra i suoi allievi anche lo slavista Ettore Lo Gatto.
Gli anni Ottanta si caratterizzarono per il proliferare di pubblicazioni narrative: oltre ai già citati Racconti inverosimili e La visione di Picche, licenziò le raccolte Nuove novelle (Firenze 1882), Principia (Napoli 1885) e Quel che accade a Nannina (Catania 1887). Tra le traduzioni dello stesso periodo sono da segnalare almeno quella del Canto di Nataledi Dickens (Milano 1888) e di Sogno di una notte di mezza estate (Napoli 1882). Ma la sua attività di traduttore prese lo slancio definitivo nel 1899, quando per Detken&Rocholl, a Napoli, tradusse il romanzo Quo vadis? di Henryk Sienkiewicz (avrebbe poi tradotto tutte le opere principali dello scrittore polacco: da La famiglia Polanieski nel 1889 a Senza dogma nel 1919). I due sodalizi più prolifici di quel periodo furono quello con la Società editrice Partenopea, per cui tradusse opere di Hugo, Irving e Wallace, e con la casa editrice Rocco Carabba di Lanciano, che pubblicò perlopiù le sue versioni dal russo, in particolare i grandi romanzi dostoevskiani e alcuni racconti di Gogol’ (che contribuì a far conoscere in Italia).
Per la sua attività di insegnante universitario e traduttore, con decreto del 14 dicembre 1913, Verdinois ricevette la nomina a cavaliere.
Continuò a lavorare infaticabilmente anche negli ultimi anni, pubblicando traduzioni, articoli di critica e una raccolta memorialistica, Ricordi giornalistici (Napoli 1920), che deve considerarsi in qualche misura il suo lascito spirituale.
Morì a Napoli il 17 aprile 1927.
Anche se non particolarmente originale, Verdinois fu certamente un buono scrittore, ma è la sua attività di traduttore ad aver lasciato principalmente il segno, in primis perché fu tra i primi ad esportare in Italia gli esiti maggiormente rilevanti della letteratura russa tardo ottocentesca e primo novecentesca. Perlopiù dimenticato dalla critica, nella carenza di profili biografici di lui rimane il ritratto che ne fece Croce, che lo conobbe personalmente quando era già in età avanzata, quello cioè di un uomo «laboriosissimo pur in […] grave età», con una forte passione per gli aneddoti storici, le leggende, le fantasie e le riflessioni morali, con cui riempiva «colonne e colonne» dei giornali napoletani, e che pur vivendo in condizioni prossime alla povertà traeva dalle sue attività culturali e letterarie tutta la linfa di cui aveva bisogno, muovendosi cautamente ai margini dell’agone politico senza mai farvisi risucchiare, nemmeno negli anni maggiormente turbolenti della sua carriera (Croce, 1936, p. 161).
Dizionario biografico degli scrittori contemporanei, diretto da A. De Gubernatis, Firenze 1879, p. 1032; V. Della Sala, Ottocentisti meridionali, Napoli 1835, passim; B. Croce, Aggiunte alla Letteratura della nuova Italia, in La critica. Rivista di letteratura, storia e filosofia, XXXIV (1936), pp. 161-169; A. Borlenghi, Narratori dell’Ottocento e del primo Novecento, III, Napoli-Milano 1963, passim; C. De Caprio, F. V. scrittore moderato, in «Esperienze letterarie», V (1980), 3, pp. 75-97; M. Amato, Lessico e stile di F. V., in Critica letteraria XXV (1997), pp. 727-738; La tentazione del fantastico. Racconti italiani da Gualdo a Svevo, a cura di A. D’Elia-A. Guarnieri-M. Lanzillotta-G. Lo Castro, Cosenza 2007, pp. 223-234.