SFORZA, Federico. –
Nacque a Roma il 20 gennaio 1603, quinto figlio di Alessandro, VII conte di Santa Fiora, duca di Segni e principe di Valmontone, e di Eleonora Orsini, figlia di Paolo, duca di Bracciano e nipote di Maria de’ Medici, moglie di Enrico IV re di Francia.
Tale legame matrimoniale segnò l’avvicinamento della famiglia alla Corona francese: infatti, nel 1608, Enrico IV concesse ad Alessandro l’abito dell’Ordine cavalleresco dello Spirito Santo, con annessa rendita di 2000 scudi d’oro annui. La linea filofrancese fu proseguita dal figlio primogenito di Alessandro, Mario II, conte di Santa Fiora e duca di Onano, il quale, nel 1612, sposò Renata di Lorena, figlia del duca di Mayenne.
Nulla sappiamo dei primi anni e della giovinezza di Federico, sinché, nel 1619, abbracciò la carriera ecclesiastica ricevendo dal vescovo di Segni la prima tonsura e gli ordini minori nel palazzo paterno di Valmontone. Divenne protonotario apostolico partecipante nell’aprile 1621 e intraprese la via degli uffici di governo al servizio di papa Urbano VIII: tra il 1623 e il 1624 fu governatore di Cesena, quindi di Terni (1625) e vicelegato di Avignone dal 1637 al 1645. Secondo quanto riferisce lo storico tardosettecentesco Nicola Ratti, egli mirava alla porpora cardinalizia, ma i Barberini gli avrebbero proposto, nel 1643, la nunziatura alla corte di Parigi, che il prelato, però, rifiutò in quanto estremamente dispendiosa rispetto alle sue possibilità economiche.
La vera svolta giunse solo con il pontificato di Innocenzo X che, il 5 marzo 1645, lo creò cardinale del titolo dei Ss. Vito e Modesto e, nell’ottobre seguente, in seguito alla fuga da Roma del camerlengo, il cardinale Antonio Barberini iunior, lo pose alla guida della reverenda Camera apostolica, con il titolo di procamerlengo e i pieni poteri. Mantenne tale carica sino al marzo 1650. Federico fu inoltre vescovo di Rimini dal novembre 1646 al luglio 1656, quando resignò la diocesi riservandosi una pensione di 1400 scudi.
Malgrado i rapporti stretti dal padre con la Corona francese, il neocardinale Federico si avvicinò al partito filospagnolo del Sacro Collegio, dati i rilevanti interessi del fratello Paolo (1602-1669), marchese di Proceno e titolare di feudi e proprietà nello Stato di Milano.
Come sottolineò nel 1651 l’ambasciatore veneziano Giovanni Giustinian, «il costume di questa famiglia nella Corte di Roma è sempre stato l’esser devota della Corona di Francia, ma di presente questo soggetto [Federico] si mostra devoto et aderente al Re Cattolico, essendosi di già apertamente dichiarato di voler seguitar il partito degli Austriaci, si teme che ciò abbi fatto, perché dubita che seguitando l’aderenza della Francia, li ministri del Re Cattolico, lo privino nel stato di Milano delle ragioni e possessi che tiene il duca Paolo suo fratello, et esso sopra molti castelli e villaggi nel medemo stato di Milano» (Relazioni di Giovanni Giustinian ambasciatore ordinario a Innocenzo X, 1651, in Relazioni degli stati europei lette al Senato dagli ambasciatori veneti nel secolo decimosettimo, raccolte ed annotate da N. Barozzi e G. Berchet, 1878, p. 124). L’orientamento filospagnolo valse a Federico la concessione da parte di Filippo IV del pingue beneficio di giuspatronato regio dell’archimandritato di Messina nell’agosto 1650.
I rapporti con Innocenzo X si andarono peraltro guastando: la relazione del marchese Francesco Nerli al duca di Mantova (1655) segnala i motivi per cui il porporato cadde in disgrazia. Infatti egli si oppose nella congregazione del Cerimoniale alla proposta che il cardinale Francesco Maidalchini, privo di qualunque ordine sacro, aprisse la porta santa della basilica Liberiana di cui era vicearciprete. La potente donna Olimpia, zia e promotrice del giovane porporato, non solo ottenne che il pontefice gli concedesse un breve per abilitarlo a compiere l’importante cerimonia, ma fece in modo che Sforza dovesse lasciare Roma per andare a risiedere nella sua diocesi di Rimini, lasciando la carica di vicecamerlengo e perdesse quindi anche il ‘piatto’ di cardinale povero. Nel 1656 Federico fu ordinato sacerdote e cambiò il suo titolo cardinalizio in quello di S. Martino ai Monti che in seguito avrebbe mutato, prima, in quello di S. Anastasia (1659) e, infine, in quello di S. Pietro in Vincoli (1661).
A questo periodo risalgono le richieste del porporato alla corte di Madrid per ulteriori prebende e pensioni. Ottenne così la carica di cardinale protettore del Regno di Napoli e, nel 1666-67, in seguito alla partenza per Napoli di Pedro Antonio de Aragón, ebbe l’incarico di ambasciatore ad interim del re cattolico presso la S. Sede. Non ebbe però grande fortuna: lo stesso Aragón segnalò alla regina madre Marianna d’Asburgo che il cardinale, pur essendo personaggio leale alla Corona, non era l’uomo più adatto alle mansioni di ambasciatore, sia perché malvisto da molti, sia perché, in quanto cardinale italiano, avrebbe avuto serie difficoltà a svolgere la sua opera presso gli altri porporati in occasione di un conclave. In questo senso il ruolo di Sforza nei vari conclavi non fu particolarmente significativo: ad esempio, dopo la morte di Alessandro VII, nel giugno 1667, Federico fu alla guida della sparuta pattuglia dei cardinali filospagnoli che contribuirono all’elezione di Giulio Rospigliosi (Clemente IX), ma nel conclave che, nell’aprile 1670, elesse Emilio Altieri (Clemente X), fu sostituito dal cardinale Leopoldo de’ Medici alla testa della fazione filospagnola.
Negli anni successivi Federico fu assorbito dalle complesse vicende degli Sforza di Santa Fiora, delle cui sorti alquanto declinanti era il garante in Curia. In particolare ebbe un ruolo centrale nell’affaire del matrimonio tra Livia Cesarini, entrata in monastero ma senza aver proferito i voti, e Federico Sforza, secondogenito di Paolo e nipote del cardinale. Tali nozze, celebrate con un colpo di mano del porporato nel febbraio del 1673, furono precedute e seguite dall’aspra contrapposizione fra i Colonna e gli Orsini, da una parte, e gli Sforza, dall’altra. All’origine del contrasto vi era il fatto che il matrimonio di Livia pregiudicava il passaggio dell’eredità dei Cesarini a Filippo Colonna, principe di Sonnino, cognato di Livia. Ne scaturì una clamorosa spaccatura che si saldò a questioni politiche all’interno dell’aristocrazia romana e anche della stessa famiglia Sforza.
Infatti, nel giugno del 1675, Ludovico Sforza, duca di Onano, anch’egli nipote del cardinale, decise di aderire al partito francese nel mezzo del conflitto franco-spagnolo causato dalla rivolta di Messina. Appena informato della cosa, il governatore dello Stato di Milano, Claude Lamoral principe di Ligne diede disposizioni per il sequestro di feudi e beni della famiglia. Subito, però, il cardinale Federico chiese che questi fossero rilasciati a lui, in quanto discendente più prossimo di Sforza Sforza, titolare dell’investitura di Carlo V (1545). Quindi il porporato si rivolse a Marianna d’Asburgo e al principe di Ligne riaffermando la propria fedeltà alla Monarchia spagnola e rinnovando la propria istanza con la proposta di attribuire i feudi sequestrati a Ludovico a un altro nipote, Francesco, marchese di Proceno e conte di Santa Fiora, fratello maggiore di Federico Sforza Cesarini, anche in virtù del fatto che le sue rendite dell’archimandritato di Messina erano al momento inesigibili a causa della guerra in corso. A Madrid, il Consejo de Estado, nell’esaminare le petizioni del porporato rilevò che il venir meno di Ludovico Sforza ai suoi obblighi di fedele vassallo non poteva essere imputato allo zio e che, in vista di un possibile conclave, conveniva accontentare il porporato. Il Consejo propose quindi di attribuirgli le rendite dei feudi di Ludovico, ma escluse di trasferirne la titolarità al cardinale o all’altro suo nipote che pure si era fatto avanti. Su tale linea si mosse, nel maggio del 1676, il principe di Ligne.
Poche settimane dopo, il cardinale, divenuto vescovo di Tivoli nel gennaio del 1675, morì a Roma il 24 maggio 1676 e fu sepolto nella tomba di famiglia in S. Maria maggiore.
Durante la carriera curiale, Sforza fu membro di varie congregazioni (Consulta, Propaganda Fide, Riti, Indulgenze e Acque). La sua morte rappresentò senza dubbio un punto di svolta nelle fortune dell’intera famiglia Sforza di Santa Fiora: egli ne fu infatti l’ultimo cardinale e ciò costituì al contempo la causa e l’effetto di una netta perdita di prestigio e di peso politico ed economico dell’illustre casata.
Fonti e Bibl.: Relazioni di Giovanni Giustinian ambasciatore ordinario a Innocenzo X, 1651, in Relazioni degli stati europei lette al Senato dagli ambasciatori veneti nel secolo decimosettimo, raccolte ed annotate da N. Barozzi e G. Berchet, s. 3, II, Venezia 1878, p. 124; G. Gigli, Diario di Roma, a cura di M. Barberito, II, Roma 1994, ad ind.; Legati e governatori dello Stato pontificio (1550-1809), a cura di Ch. Weber, Roma 1994, pp. 133, 198, 394, 915; S.M. Seidler, Il teatro del mondo. Diplomatische und journalistische Relationen vom römischen Hof aus dem 17. Jahrhundert, Frankfurt am Main 1996, p. 312.
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