SEISMIT-DODA, Federico
– Nacque a Ragusa, in Dalmazia, il 1° ottobre 1825 da Dionisio Seismit, un avvocato di Spalato, consigliere della procura camerale asburgica, e da Angela Doda, intellettuale e scrittrice, originaria di Zara.
In questa città, egli trascorse la prima infanzia insieme alle due sorelle Giovanna e Maria e al fratello maggiore Luigi, nato nel 1817, e come lui legatissimo alla madre, il cui cognome vollero entrambi aggiungere a quello paterno.
Rimasto orfano di ambedue i genitori, scomparsi nel 1837 a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro, studiò a Venezia, dove la famiglia si era trasferita nel 1827, e poi a Spalato e a Zara, dove conseguì la licenza liceale. Rientrò quindi a Venezia presso le sorelle Giovanna e Maria e nel 1843 si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Padova. Qui, in realtà, si dedicò più che altro al teatro (il dramma storico Marco Manlio fu rappresentato a Zara nel marzo del 1843, la commedia Le due dame di Francia a Padova, senza grande successo, nel 1846), alla poesia e al giornalismo letterario, collaborando al periodico Il Caffè Pedrocchi. In alcuni suoi scritti risuonarono accenti patriottici che gli valsero, insieme all’amicizia di Daniele Manin e Niccolò Tommaseo, i sospetti della polizia austriaca. Arrestato sul finire del 1847, gli fu imposto di trasferirsi a Trieste, dove si stabilì nel febbraio del 1848, subito intessendo relazioni con altri patrioti e collaborando attivamente al moto insurrezionale del marzo seguente.
Rientrò a Venezia il 23 marzo, appena dopo la proclamazione della Repubblica e l’insediamento del governo presieduto da Manin, e subito compose alcuni versi, come la Ronda della Guardia Civica e l’Inno di guerra dei Crociati, che lo fecero conoscere e apprezzare in seno al movimento patriottico. Arruolatosi con i volontari veneziani, combatté contro gli austriaci a Treviso e a Vicenza. Nel luglio del 1848, quando già si prefigurava la vittoria dell’esercito austriaco, pubblicò a Milano un opuscolo anonimo (Tommaseo e Manin. Memorie della Repubblica di Venezia), nel quale cercò di analizzare le cause dell’insuccesso, individuandole soprattutto nei contrasti che si erano prodotti fra i due maggiori artefici dell’insurrezione veneta. Da Milano fuggì a Lugano, dove incontrò Giuseppe Mazzini, e da qui a Parigi, città in sui si dettero ritrovo molti emigrati ed esuli politici, fra i quali Tommaseo, con il quale fu in stretto contatto.
In un opuscolo scritto a Parigi nel dicembre del 1848 e pubblicato in Italia all’inizio dell’anno seguente (Italia e Francia. Frammenti del giornale di un emigrato, Venezia 1849), Seismit-Doda manifestò la propria delusione per l’abbandono della causa patriottica da parte di Pio IX e per la condotta di Carlo Alberto, rivelatosi incapace di anteporre gli interessi della causa italiana a quelli della dinastia sabauda. Ormai approdato su posizioni repubblicane, egli non risparmiava critiche neppure alla Francia, rea di non aver portato soccorso alle altre nazioni europee che si battevano per l’indipendenza e la democrazia.
I successi dei democratici nel Granducato di Toscana, dove alla fine di ottobre del 1848 si era formato un governo guidato da Giuseppe Montanelli, indussero Seismit-Doda ad abbandonare Parigi per recarsi a Firenze. Vi giunse a metà gennaio del 1849 e subito entrò nella redazione del quotidiano L’Alba, all’epoca diretto da Atto Vannucci. Sulle pagine di questo giornale attaccò il nuovo governo provvisorio, costituito dopo la fuga del granduca e presieduto da Francesco Domenico Guerrazzi, per la mancata proclamazione della Repubblica e salutò con entusiasmo la ripresa della guerra contro l’Austria, che si concluse il 23 marzo con la sconfitta dell’esercito piemontese a Novara. Accorse allora a Roma per combattere in difesa della Repubblica, finché all’inizio di luglio del 1849, caduto il governo democratico sotto i colpi dei francesi, abbandonò l’Italia per rifugiarsi in Grecia. Dopo la capitolazione di Venezia alla fine di agosto del 1849, Seismit-Doda fu inserito in una lista di quaranta cittadini che il restaurato governo austriaco escluse dall’amnistia condannandoli alla proscrizione. Per lui significò l’esilio, che trascorse ad Atene dal settembre del 1849, e poi dal marzo del 1850 a Torino, dove il 27 novembre 1851 poté finalmente unirsi in matrimonio con Bianca Carlotta Da Camino, una giovane triestina con cui si era fidanzato nel 1848 e con la quale fino ad allora aveva intrattenuto un rapporto quasi esclusivamente epistolare. Nel gennaio del 1853 nacque il loro primogenito Attilio, che sarebbe deceduto prematuramente nel settembre del 1864, cui seguirono altri tre figli: Alessandro, Albano ed Emma.
A Torino Seismit-Doda riprese la sua attività di giornalista e di scrittore. Collaborò a due quotidiani della Sinistra subalpina: La Concordia, diretta da Lorenzo Valerio, che si stampò fino al 31 dicembre 1850, e Il Progresso, che apparve il 7 novembre di quell’anno e fu diretto fra gli altri da Agostino Depretis, con il quale instaurò una solida amicizia. Quando, nel dicembre del 1851, anche Il Progresso fu costretto a chiudere, egli concentrò le sue energie nella stesura di un «racconto storico», I volontari veneziani, che fu pubblicato a Torino nel 1852 ed ebbe sei edizioni.
In oltre seicento pagine quell’opera, che aveva evidenti tratti autobiografici, rievocava gli avvenimenti del 1848 e del 1849 a Venezia, Milano, Firenze e Roma e cercava di mantenere vive le idealità patriottiche.
A essa seguirono due romanzi d’appendice, Il gatto nero, autobiografia d’uno Scudo e Assunta la fioraia. Scene della vita contemporanea. Pubblicati in origine sul giornale Il Piemonte, il quotidiano fondato nel dicembre del 1854 da Luigi Carlo Farini di cui era divenuto assiduo collaboratore, furono ristampati rispettivamente nel 1857 e nel 1858 a Milano ed ebbero una discreta accoglienza da parte del pubblico. Non altrettanto poté dirsi per la sua attività di commediografo: sia la commedia in tre atti L’orecchio di Dionisio, scritta e rappresentata nel 1854, sia la commedia in cinque atti Le facce di bronzo, composta nel 1855 e messa in scena al teatro Carignano nel 1857, si rivelarono due insuccessi e lo indussero ad abbandonare la carriera di autore teatrale.
Per Seismit-Doda quello fu un periodo difficile anche dal punto di vista economico. Qualche introito gli venne dalla collaborazione con La Gazzetta piemontese (procuratagli dall’amico Guglielmo Stefani) e con Il Diritto, il nuovo quotidiano della Sinistra che vide la luce nel 1854. Nondimeno dovette ricorrere a più riprese alle sovvenzioni del Comitato di soccorso per gli emigrati italiani che era stato istituito a Torino sotto la presidenza di Urbano Rattazzi. Sotto questo profilo la situazione per lui migliorò nel 1854, quando trovò impiego per circa un anno presso una società industriale che aveva in esercizio delle ferriere, e soprattutto dal 1857, quando venne assunto dalla Riunione adriatica di sicurtà (RAS) come segretario, ossia come direttore effettivo, dell’agenzia generale che la compagnia assicurativa triestina aveva appena aperto a Torino.
Questo nuovo lavoro lo mise in contatto con il mondo agricolo, imprenditoriale e commerciale del Regno di Sardegna, interessato in quegli anni da una fase di forte sviluppo e trasformazione, e gli consentì di formarsi una solida base di conoscenze in ambito economico e finanziario che poi gli sarebbe tornata utile nel prosieguo della sua attività politica.
Per qualche tempo questa occupazione lo assorbì completamente distogliendolo dagli impegni politici. Nel novembre del 1858 si arruolò nella guardia nazionale di Torino, ma l’anno seguente non prese parte alla seconda guerra d’indipendenza, nella quale si distinse invece il fratello Luigi, che nel frattempo aveva intrapreso la carriera militare arrivando più tardi a ricoprire la carica di generale dell’esercito italiano. Il ritorno alla politica attiva avvenne nel 1865, quando Seismit-Doda, abbandonati gli ardori repubblicani della prima giovinezza e abbracciati gli ideali della Sinistra costituzionale, accettò di candidarsi nel collegio di Comacchio e fu eletto deputato per la IX legislatura. Analoga sorte toccò nel collegio di Urbino al fratello Luigi, il quale però restò in Parlamento per quella sola legislatura, mentre Federico vi rimase ininterrottamente fino alla morte, sempre rieletto nel collegio di Comacchio fino al 1880 e in quello – prima plurinominale, poi uninominale – di Udine dal 1882. Sempre nel 1865 la RAS fu autorizzata per regio decreto a estendere a tutto il Regno l’esercizio dei suoi rami assicurativi, con la conseguenza che all’agenzia torinese, trasferita alla fine di quell’anno a Firenze a seguito dello spostamento della capitale, fu conferita la qualifica di rappresentanza generale per il Regno d’Italia e Seismit-Doda fu chiamato a dirigerla. Andò dunque a vivere con la famiglia a Firenze e poi dal 1872 a Roma, quando la compagnia assicurativa pose la sua sede nella nuova capitale.
Nel 1865 egli risultava altresì maestro venerabile della loggia massonica Bandiera e Moro, che fu fondata a Firenze, alle dipendenze del Grande Oriente d’Italia, da un gruppo di esuli veneti e friulani. Sul finire del 1866, quando la Bandiera e Moro si trasferì a Venezia, dopo la guerra vittoriosa contro l’Austria che aveva sancito l’annessione del Veneto, Seismit-Doda aderì a un’altra loggia fiorentina, la Concordia, che ancora nel 1891 ne avrebbe riconfermato l’affiliazione. La sua appartenenza alla massoneria, un’esperienza che condivise con molti esponenti della Sinistra costituzionale e democratica, non fu dunque affatto effimera: fino alla morte restò un membro attivo del rito scozzese, al cui interno raggiunse il trentatreesimo e ultimo grado.
Alla Camera, Seismit-Doda sedette a sinistra e si occupò prevalentemente di questioni economiche e finanziarie facendo quasi sempre parte, fino al 1876, della commissione del Bilancio. Durante gli anni di governo della Destra si affermò come una delle più ascoltate e competenti voci dell’opposizione su questi temi e alcuni suoi discorsi pronunciati nelle aule parlamentari ebbero notevole risonanza anche all’esterno, ad esempio quelli del giugno-luglio del 1867, in cui suggerì di utilizzare le risorse ricavate dalla liquidazione dell’asse ecclesiastico per risanare il bilancio dello Stato (Del miglior modo col quale ottenere dalla vendita dei beni ecclesiastici il pareggio del bilancio annuale: considerazioni e proposte del deputato Federico Seismit-Doda, Firenze 1867; Delle condizioni finanziarie del Regno e della alienazione dei beni ecclesiastici, Firenze 1867). Vasta eco ebbe anche l’interpellanza presentata nel marzo del 1868 sul corso forzoso della moneta e sui rapporti che intercorrevano fra la Banca nazionale e lo Stato (Del corso forzoso dei biglietti di banca e delle condizioni finanziarie del Regno, Firenze 1868), da cui scaturì la nomina di una commissione parlamentare d’inchiesta della quale fu chiamato a far parte. Un tema, quello del corso forzoso, su cui intervenne più volte negli anni a venire (Lo Stato e la banca: discorso pronunziato alla Camera nella tornata del 20 luglio 1870 dal deputato Federico Seismit-Doda per la convenzione con la Banca Nazionale Sarda, Firenze 1870; Il corso forzoso e la banca. Discorso pronunziato dal deputato Federico Seismit-Doda alla Camera dei Deputati intorno al corso forzoso ed al riordinamento della circolazione cartacea nella tornata del 12 febbraio 1873, Roma 1873). Degno di nota fu anche un suo intervento del 1869 contro la tassa sul macinato (L’applicazione della legge sul macinato. Discorso pronunziato alla Camera nella tornata del 24 gennaio 1869 in difesa dell’ordine del giorno proposto dall’opposizione, Firenze 1869), anticipatore della linea abolizionista che avrebbe sostenuto quando ebbe incarichi ministeriali (L’abolizione del macinato. Discorso pronunziato dal deputato Federico Seismit-Doda nella discussione intorno alle modifiche recate dal Senato alla legge per l’abolizione del macinato, tornata del 29 giugno 1879, Roma 1879).
Divenuto fin dal 1866 intimo amico di Benedetto Cairoli e ormai molto apprezzato per le sue competenze sui temi economici e finanziari, nel giugno del 1874 fu tra gli estensori del manifesto con cui la Sinistra presentò il suo programma in vista delle elezioni del novembre successivo. Eletto contemporaneamente nel collegio di Comacchio e in quello di San Daniele del Friuli, optò per la riconferma nel primo. Nel marzo del 1876, quando si formò il primo governo della Sinistra, Depretis lo volle come segretario generale alle Finanze, carica da cui si dimise nel novembre del 1877 per alcune divergenze con il presidente del Consiglio intorno al progetto delle convenzioni ferroviarie. Dal marzo al dicembre del 1878 fece poi parte del governo Cairoli come ministro delle Finanze con l’interim del Tesoro e in tale veste avviò un piano per la progressiva abolizione della tassa sul macinato che sarebbe stato completato in quattro anni. Nel novembre del 1878 firmò inoltre la nuova convenzione con i Paesi dell’Unione monetaria latina mediante la quale riuscì a creare le condizioni per una graduale riduzione del corso forzoso, che venne definitivamente abolito nel 1881. Fra gli altri provvedimenti da lui adottati nel breve periodo trascorso al dicastero delle Finanze vi fu infine la revisione dell’imposta sui fabbricati, che favorì un aumento del gettito fiscale e una sua più equa distribuzione.
Nel frattempo, nel giugno del 1877, era stato eletto consigliere comunale a Roma, carica in cui fu confermato per quattro mandati consecutivi; dal 1880 al 1883 fu anche assessore alle Finanze. In questo stesso periodo fu membro del Consiglio comunale di Terni, città in cui aveva acquistato un villino intorno al 1880 e dove soleva trascorrere parte dell’anno, nonché del Consiglio provinciale dell’Umbria.
Nel maggio del 1881 Seismit-Doda guidò la delegazione italiana alla Conferenza monetaria internazionale di Parigi, dove parlò in favore del bimetallismo, cioè del sistema monetario caratterizzato dalla circolazione di due monete metalliche, nella fattispecie d’oro e d’argento. Durante il lungo soggiorno parigino ebbe colloqui con vari alti esponenti del governo francese per perorare l’interesse italiano sulla Tunisia, che però proprio in quei giorni cadde sotto il protettorato della Francia. Nelle elezioni politiche del 1882, tenutesi con lo scrutinio di lista, fu eletto nel collegio di Udine e lì, nell’agosto del 1883, tenne un pubblico discorso in cui si schierò apertamente contro la politica trasformistica inaugurata da Depretis e mostrò una certa vicinanza con le posizioni della Sinistra pentarchica di Cairoli, Giuseppe Zanardelli, Alfredo Baccarini, Francesco Crispi e Giovanni Nicotera (Discorso pronunciato dal deputato Federico Seismit-Doda nel banchetto offertogli dai suoi elettori del collegio di Udine I il giorno 28 agosto 1883, Roma 1883). In questi anni, egli avversò i governi di Depretis per la scelta triplicista in politica estera e per l’avvio della politica coloniale, ma soprattutto per la politica finanziaria del ministro Agostino Magliani, che attraverso spese spesso superflue e improduttive, sostenute con nuovi gravami tributari, aveva notevolmente peggiorato i conti pubblici.
Seismit-Doda fu di nuovo ministro delle Finanze nel secondo governo Crispi che s’insediò nel marzo del 1889. Fra i suoi provvedimenti vi furono la riduzione della tassa sulla fabbricazione degli spiriti e la revisione di quelle sui fabbricati e di ricchezza mobile. Nel maggio del 1890 fu implicato in una vicenda che ebbe una certa risonanza: chiamato in causa da un’interpellanza del deputato Matteo Renato Imbriani, dovette difendere se stesso e l’intero governo, fra i cui membri figuravano molti massoni, dall’accusa di aver favorito il gran maestro del Grande Oriente d’Italia, Adriano Lemmi, nelle trattative per la fornitura di tabacchi ai monopoli di Stato (Dichiarazioni del ministro delle Finanze Seismit-Doda nella discussione sull’inchiesta pei tabacchi promossa dal deputato Imbriani, tornata del 19 maggio 1890, Roma 1890). Appena quattro mesi dopo, il 14 settembre 1890, fu revocato dalla carica di ministro con decreto del re, su proposta del presidente del Consiglio, per non aver preso le distanze, durante un banchetto in suo onore a Udine, da un brindisi in cui si inneggiava alla causa irredentista. Unico caso di revoca regia di un ministro in periodo statutario, l’episodio, da un lato, segnalò l’irrigidimento di Crispi su posizioni tripliciste e la sua netta chiusura verso le richieste di modifica della politica estera avanzate dalla sinistra radicale, dall’altro, fece di Seismit-Doda uno dei punti di riferimento del movimento irredentista, a cui peraltro già da tempo aveva dato il suo appoggio.
Provato dal dolore per la scomparsa del fratello Luigi e della moglie Bianca, avvenute rispettivamente nel novembre del 1890 e nel luglio del 1891, morì a Roma l’8 maggio 1893 e fu sepolto nel cimitero del Verano.
Poco dopo la sua morte, si formò un comitato per promuovere l’erezione a Roma di un monumento in sua memoria. Nel 1903 la giunta comunale ne autorizzò la collocazione in Piazza Cairoli e, nel 1906, la statua in bronzo, opera dello scultore Eugenio Maccagnani, fu completata. Per evitare tensioni internazionali con l’Austria, dal momento che Seismit-Doda veniva ancora percepito come un simbolo dell’irredentismo, l’installazione fu però rinviata. Approvata nuovamente nel luglio del 1918, essa ebbe luogo soltanto nel marzo del 1919, di notte e senza cerimonie ufficiali.
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