SAVELLI, Federico
– Figlio di Bernardino e di Lucrezia dell’Anguillara, nacque nel 1583; non sono noti luogo, giorno e mese.
Intraprese come il fratello Paolo la carriera militare grazie ai legami con i Farnese e gli Aldobrandini e combatté contro i turchi nelle armate dell’imperatore Rodolfo II.
Grazie al suo matrimonio con Virginia Savelli, del ramo di Albano, l’omonimo feudo entrò a far parte con Ariccia dei possedimenti del ramo di Palombara al quale apparteneva Federico, signore anche di Poggio Nativo che Urbano VIII eresse in ducato per lui e per i suoi discendenti. Si occupò di questi nuovi possessi e, in accordo con il fratello Paolo, la consorte e la cognata, dette gli statuti (9 dic. 1607, Albano; 8 maggio 1610, Ariccia). Non ebbe figli: Bernardino, figlio di Paolo, divenne così l’erede del patrimonio e dei titoli.
Nel 1608 subentrò al fratello Paolo come generale delle armi di Bologna, Ferrara e Romagna, incarico confermatogli anche da Paolo V nel 1611 e da Gregorio XV nel 1623. Fu nominato luogotenente generale della Chiesa, carica che ricoprì anche sotto Urbano VIII. Servì l’imperatore come ambasciatore straordinario e ordinario fino al 1620, quando tale incarico passò al fratello Paolo; fu allora nominato ciambellano dall’imperatore Ferdinando II e ricoprì anche la carica di maresciallo di Santa Romana Chiesa e custode del conclave.
Urbano VIII gli concesse di recarsi a combattere in Germania a seguito delle sue «reiterate istanze» (Brunelli, 2003, p. 197) quando era generale delle armi di Bologna, Ferrara e Romagna.
Nel 1628 fu a capo di un reggimento di fanteria nell’esercito imperiale, ma fu protagonista di sfortunate vicende.
Militò come feldmaresciallo sotto Albrecht von Wallenstein che gli affidò il comando generale nel Meclemburgo, ma avendo ceduto a Gustavo Adolfo di Svezia la fortezza di Demmin in Pomerania, senza opporre la necessaria resistenza, fu processato da Jan Tserclaes, conte di Tilly, e sottoposto al consiglio imperiale di guerra per giustificarsi. Ottenne il perdono e cercò di avere altri incarichi militari; partecipò infatti con il suo reggimento all’espugnazione e al saccheggio di Magdeburgo (20 maggio 1631) e, successivamente, alla battaglia di Breitenfeld (17 settembre 1631). L’imperatore lo inviò a Roma per chiedere aiuti finanziari a Urbano VIII per proseguire la guerra. Infatti, il 27 febbraio 1632, con i fratelli Paolo e Giulio, cardinale, perorò la causa imperiale presso il papa.
Fu nuovamente ambasciatore cesareo straordinario a Roma fra il novembre del 1632 e il maggio del 1634, quando subentrò Scipione Gonzaga, principe di Bozzolo, che rappresentò l’imperatore presso il pontefice fino al 1641. La carica di ambasciatore cesareo presso il papa sarebbe tornata ancora a Savelli, dal 1642 alla sua morte, nel 1649. Nel 1634 cercò di mediare i conflitti insorti fra gli ambasciatori delle monarchie nella questione della carica di prefetto di Roma voluta dal papa per Taddeo Barberini. Il nobile romano era tornato alla corte imperiale già nell’agosto del 1635 con il ruolo di «generale dell’artiglieria et commissario, per riformare un puoco i disordini di questa soldatesca» (Die Diarien, a cura di A. Catalano - K. Keller, 2013, p. 116).
Con l’elezione di Ferdinando III (1637) Savelli riprese l’attività militare al servizio dell’Impero al comando di un contingente impegnato in Alsazia con il generale bavarese Johann von Werth che doveva arrestare l’avanzata delle truppe di Bernhard von Sachsen-Weimar. Subì una clamorosa sconfitta nella battaglia di Rheinfelden (28 febbraio-3 marzo 1638), fu fatto prigioniero, riuscì a fuggire, raggiungendo di nuovo i suoi soldati, ma non poté evitare la caduta di Breisach am Rhein in mano francese. La causa della sconfitta degli imperiali ebbe gran risonanza e fu attribuita a Savelli, come confermano anche le annotazioni dei Diarien del cardinale Ernst Adalbert von Harrach che nell’agosto del 1638 scriveva: «Si dava la colpa del male successo al Savelli, che havendo la vanguardia si desse troppo scoperto e discosto dal soccorso del Getz [Johann von Götzen]» (p. 354).
Da quando aveva fatto ritorno nell’Impero, costante era stata la comunicazione fra Savelli e la sua famiglia, informata sempre in dettaglio delle vicende politiche e militari – la sua presenza alla corte a Vienna e la partecipazione al Consiglio di guerra davanti al quale aveva esposto «il mal trattamento del mio reggimento», la sua intenzione di prendere parte alla Dieta di Ratisbona sono argomenti presenti nella corrispondenza – ma soprattutto delle necessità finanziarie del duca. Alla corte di Roma, il referente di Federico fu principalmente il cardinale Franz von Dietrichstein e in seguito il cardinale Harrach che, nelle sue visite a Roma, era sempre stato ospitato generosamente dal duca.
La corrispondenza di Savelli si rivela di estremo interesse non solo per cogliere le difficoltà dell’impegno militare per l’imperatore condotto dal nobile romano ormai provato nel suo precario stato di salute, asciugato nelle finanze, poco ascoltato a corte e nel Consiglio di guerra in un difficile frangente della guerra dei Trent’anni. Le lettere, alcune autografe, erano inviate al nipote Bernardino, che si divideva fra Roma e il suo feudo di Albano, per tenerlo al corrente delle vicende che vedevano protagonista lo zio e condizionavano il futuro suo e della sua casa nel servizio imperiale; altre scritte da Giacomo Grosso, maggiordomo di Savelli, erano spedite da Vienna sia allo stesso Federico, impegnato sui campi di battaglia insieme alle truppe del duca di Lorena, che «va a visitarlo e gli mostra particolarissimi segni di affetto e di stima» per informarlo della corte imperiale, degli «humori» dell’imperatore e dei suoi collaboratori, primo fra tutti il conte Maximilian von Trauttmansdorff, sia al nipote Bernardino. La costante comunicazione con la famiglia veicolava le notizie di quanto accadeva sul fronte della guerra europea e nella corte imperiale, soffermandosi sui particolari della quotidianità, sui dettagli della salute malferma dell’uomo d’armi, sui cerimoniali e sulle bizzarrie della vita di corte. Le lettere scritte da Savelli di proprio pugno con una calligrafia fittissima, lamentano, fra l’altro, le difficoltà di usare i consueti canali di comunicazione e si riempiono, così, di ogni particolare che possa supplire all’oralità.
Nel corso del suo servizio per l’imperatore e la corte di Vienna, Savelli si propose come un solido e costante tramite culturale, proseguendo lo scambio e la tramissione di oggetti, quadri, musici, animali così come l’acquisto di opere d’arte iniziato dal fratello Paolo. Non furono pochi i tentativi da parte di Federico e di altri esponenti della sua famiglia di continuare nel ‘servizio’ imperiale: nel 1635, si adoperavano sia a Roma sia a Vienna per far sì che il cardinale Giulio Savelli, già comprotettore di Germania dal 1625, potesse diventare protettore alla morte del cardinale Dietrichstein; più tardi, nel 1638-39 furono inviati a Vienna memoriali scritti da Federico per chiedere che fosse concesso al nipote Bernardino almeno il titolo di ambasciatore straordinario da affiancare, senza conflittualità alcuna, all’ambasciatore ordinario a Roma «desiderando sopr’ogn’altra cosa di continoare, in qualche modo, a servir alla Maestà dell’imperatore, almeno apparentemente, acciocché non si vedesse interrotto in lui l’uso delle gratie e della confidenza che ha goduto lungamente la nostra Casa» (Vienna, HHStA, Staatenabteilungen, Rom, Varia, 8, 21/10, 1638, cc. n.n.).
Nella lunga memoria si ripercorrevano le esperienze di Paolo, esponendo i vantaggi per la corte di Vienna di avere a Roma un ambasciatore straordinario romano: la casa baronale poteva infatti valersi dell’esperienza, dei legami «del rispetto e benevolenza che si ha nella corte et appresso li Nipoti di S. Santità e le molte parentele col Sacro Collegio de cardinali et amicitia e servitù respettivamente con i maggiori prelati della corte che hanno i principali maneggi» (ibid.). Era certo possibile garantire fedeltà all’Impero pur essendo sudditi del papa e, per dare maggior forza alla proposta di conferire a Bernardino il ruolo di ambasciatore cesareo straordinario presso il papa, si cercavano nelle recenti esperienze politiche delle monarchie francese e spagnola esempi che confermassero la «bontà» di valersi di principi italiani per il governo. Si suggeriva anche all’imperatore di costruire un sistema imperiale concorrenziale con quelli francese e spagnolo, non valendosi di feudatari imperiali spesso inetti, ma di coinvolgere più direttamente la nobiltà italiana. Savelli – che faceva capire anche come dietro alla ufficialità del ruolo del fratello Paolo ci fosse stata sempre la sua preziosa esperienza militare e diplomatica a suggerire prudenti consigli – sottolineava la staticità del sistema imperiale, incapace di inserire e assimilare la nobiltà italiana. Il memoriale era stato scritto per mano di un segretario il 21 ottobre 1638 e Savelli, secondo la consuetudine, vi aveva apposto in calce una nota autografa per conferire maggior forza alle richieste in favore del nipote Bernardino e, con lui, di tutta la casa.
Bernardino, che era nato il 5 febbraio 1606, era stato nominato giovanissimo, nel 1618, ‘cameriere’ dell’arciduca Giovan Carlo, a riprova della sua educazione alla fedeltà e al servizio dell’Impero. Costituito da più parti, il memoriale era diretto probabilmente al principe Johann Anton von Eggenberg, figlio di Hans Ulrich, che proprio in quell’anno compì la sua sfarzosa ambasciata di obbedienza a Roma. La proposta conteneva, in termini piuttosto espliciti, anche un confronto fra gli onori attribuiti dal re cattolico alle casate baronali dei Colonna e Orsini, tutte e due insignite, fra l’altro, del grandato di Spagna: non era stata invece premiata la fedeltà e la «antica servitù della Casa» Savelli che, per ora, poteva vantare solo il Tosone. In un altro documento anonimo, privo di data, ascrivibile con probabilità allo stesso Bernardino o al suo entourage per gli espliciti riferimenti ai «bisogni dell’Ambasceria Romana», e indirizzato all’imperatore, si richiamava l’attenzione cesarea sulla difficile situazione dei feudi imperiali in Italia. Bernardino non ottenne quanto desiderato dallo zio: divenne, in seguito, prolegato imperiale presso Urbano VIII e, durante la rivolta napoletana del 1647, fu nominato dal viceré conte d’Oñate governatore degli Abruzzi. Per concessione di Innocenzo X, nel 1648, aggiunse il titolo di duca dell’Ariccia a quello di principe d’Albano e barone di Pescina portatagli in dote dalla moglie Felice Damasceni Peretti insieme alla baronia di Celano e altri feudi in Abruzzo e al principato di Venafro. Morì nel 1658 e fu sepolto nella chiesa dell’Aracoeli, come il padre Paolo Savelli.
Il progetto politico presentato da Federico e Bernardino Savelli si saldava con la difesa degli interessi familiari, minacciati dalla perdita di prestigio internazionale che avrebbe indebolito ancor più la famiglia a Roma, davanti alle altre casate baronali e alle rampanti famiglie papali. Si ribadiva infatti che la nomina di ambasciatore straordinario non avrebbe comportato nessun onere per l’imperatore che se ne sarebbe servito solo per missioni presso principi italiani in «speciali coniuncture» e, per il resto del tempo, sarebbe stato solo un «honore apparente» (ibid.).
Tornato a Vienna, Federico Savelli fu poi inviato da Ferdinando III a Roma su richiesta di Urbano VIII che voleva avvalersi della sua esperienza militare nella guerra di Castro. Fu nominato dal papa luogotenente generale e combatté soprattutto in Umbria contro le milizie del granduca di Toscana, ma si rese conto della debolezza delle truppe pontificie, insufficienti nel numero e inesperte. A Roma, dove ormai si era stabilito, continuò a rappresentare l’imperatore, cercando sempre di ottenere un incarico ufficiale per il nipote. Nel 1644 non esercitò la funzione di maresciallo e custode del conclave sebbene il cardinale Harrach annotasse che Federico fosse «non sospetto ai Barberini né ai francesi e sospenderà la carica di ambasciatore», ma fu il nipote Bernardino ad assolvere questa funzione. Fu nominato da Innocenzo X colonnello maestro di campo e consigliere di guerra e nel 1646 prese parte alla difesa di Orbetello.
Morì a Roma il 19 dicembre 1649.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Roma, Archivio Giustiniani, Armadio unico Savelli, b. 90; Archivio Sforza Cesarini, I, bb. 11, 12, 14, 25, 88, 219, 220; Vienna, Haus-, Hof- und Staatsarchiv (HHStA), Staatenabteilung, Rom, Korrespondenz, 52, Fasz. L, N, P; 53, Fasz. K; Nuntiaturen des Giovanni Battista Pallotto und des Ciriaco Rocci (1630-1631), a cura di R. Becker, Tübingen 2009, ad ind.; Die Diarien und Tagzettel des Kardinal-Erzbischofs von Prag, Ernst Adalbert von Harrach (1598-1667), a cura di A. Catalano - K. Keller, Wien 2013, ad ind.; Nuntiatur des Ciriaco Rocci. Außerordentliche Nuntiatur des Girolamo Grimaldi (1631-1633), a cura di R. Becker, Berlin-Boston 2013, ad ind.; Nuntiatur des Ciriaco Rocci. Außerordentliche Nuntiatur des Girolamo Grimaldi. Sendung des P. Alessandro D’Ales (1633-1634), a cura di R. Becker, Berlin-Boston 2016, ad indicem.
L.H. Wetzer, Der Feldzug am Ober-Rhein 1638 und die Belagerung von Breisach. Beiträge zur Geschichte des Dreissigjährigen Krieges, in Mitteilungen des K.K. Kriegs-Archivs, n. F. I, Wien 1887, pp. 225-344; J. Schnitzer, Zur Politik des hl. Stuhles in der ersten Hälfte des Dreissigjährigen Krieges, in Römische Quartalschrift, XIII (1899), pp. 115-262 (in partic. pp. 229 s., 238); Allgemeine Deutsche Biographie, LIII, Leipzig 1907, pp. 720 s.; R. Lefevre, Ricerche e documenti sull’Archivio Savelli, Roma 1992, ad ind.; G. Brunelli, Soldati del papa. Politica militare e nobiltà nello Stato della Chiesa (1560-1644), Roma 2003, ad ind.; A. Catalano, La Boemia e la riconquista delle coscienze. Ernst Adalbert von Harrach e la Controriforma in Europa centrale (1620-1667), Roma 2005, ad ind.; I. Fosi, La famiglia Savelli e la rappresentanza imperiale a Roma nella prima metà del Seicento, in Kaiser Hof, Papst Hof 16.-18. Jahrhundert, a cura di R. Bösel - G. Klingenstein - A. Koller, Wien 2006, pp. 67-76; C. Mazzetti di Pietralata, Paolo e F. S., ambasciatori dell’imperatore. Scambi artistici e musicali tra Roma e Vienna nella prima metà del Seicento, in J. Martínez Millán - M. Rivero Rodríguez, La dinastía de los Austria. Las relaciones entre la monarquía catolíca y el imperio, I, Madrid 2011, pp. 1837-1866; Ead., Pale d’altare caravaggesche e committenze del partito imperiale a Roma nei problemi di stile e di iconografia alla prova della politica religiosa, in J. Martínez Millán - M. Rivero Rodríguez - G. Versteegen, La corte en Europa. Politica y religión (siglos XVI - XVIII), II, Madrid 2012, pp. 1245-1282 (in partic. pp. 1253, 1261-1271); M.A. Visceglia, Morte e elezione del papa. Norme, riti e conflitti. L’Età moderna, Roma 2013, pp. 220, 293 nota; Papato e Impero nel pontificato di Urbano VIII (1623-1644), a cura di I. Fosi - A. Koller, Città del Vaticano 2013, ad ind.; R. Becker, Die Neubesetzung der kaiserlichen Gesandtschaft in Rom im Jahr 1634. Italienische Fürsten als Gesandte des Heiligen Römischen Reiches, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, XCIV (2014), pp. 219-251 (in partic. pp. 7, 229, 231, 232, 243, 247, 249 s.).