PETRUCCI, Federico
PETRUCCI, Federico (Federico di Petruccio, Fridericus de Senis). – Nacque a Siena, con tutta probabilità nell’ultimo decennio del XIII secolo, da Petruccio di Cambio e da Panchina, di famiglia ignota.
Il padre esercitava l’attività bancaria e, divenuto autorevole esponente della fazione novesca, legata al partito guelfo, ricoprì, agli inizi del Trecento, le cariche di console della Mercanzia e di priore dei Nove, restando poi membro del Consiglio generale sino alla morte, avvenuta nell’estate del 1305. Nel suo testamento, redatto il 29 luglio di tale anno, il banchiere nominò esecutori testamentari la moglie e i figli Niccoluccio e Vannuccio, senza menzionare Federico, che doveva essere minorenne e per giunta pareva destinato alla vita religiosa. A quattordici anni, infatti, prese l’abito dei carmelitani e, come attesta egli stesso, lo portò per oltre un anno. Poi fece ritorno al secolo e si dedicò agli studi giuridici presso l’Università di Bologna, dove frequentò la scuola di Giovanni d’Andrea, il 1311 e il 1317, allorché tenne una repetitio sul capitolo Dilectus del Liber Extra. Conseguita la laurea certamente dopo il novembre 1317, nel settembre 1321 tornò nella sua città, condotto all’insegnamento del diritto canonico con lo stipendio annuo di 260 fiorini d’oro.
Tra la primavera e l’estate di quell’anno i suoi concittadini avevano favorito in tutti i modi l’afflusso a Siena degli universitari bolognesi trasferitisi a Imola dopo la rottura dei rapporti con le autorità dell’Alma mater ed è presumibile che Federico provenisse dallo stesso ambiente, quantunque non si possa escludere che il suo esordio nella docenza fosse avvenuto a Padova, dove Giovanni d’Andrea, che vi insegnò nel 1319, ebbe ad affermare di avere assistito a una disputa sostenuta dal suo brillante allievo, reputato da lui stesso ‘vir magnae scientiae’. A Siena Petrucci lesse il Liber Extra e il Liber Sextus tra il 1321 e il 1323, ovvero nel biennio di massimo splendore dello Studio senese, quando vi tenevano i loro corsi maestri di indiscussa levatura come i giuristi Cino da Pistoia e Paolo Liazari, i medici Dino del Garbo e Gentile da Foligno e il filosofo Taddeo da Parma.
Nell’autunno del 1323, mentre il governo senese, non riuscendo a procurare al proprio ateneo la qualifica e i privilegi di Studio generale, non poteva impedire la partenza di molti docenti e studenti che, delusi, rientravano a Bologna, Petrucci si trasferì a Verona e lì insegnò per un anno accademico decretales ordinarie (Cenci, 1971, I, p. 107), ma alla fine del 1324 tornò in patria, seppure con lo stipendio ridotto a centocinquanta fiorini d’oro, per continuarvi il suo insegnamento canonistico almeno sino al 1330. Nello stesso tempo, nella duplice veste di giurista e membro di una famiglia della fazione al potere, prestava la sua opera in qualità di consulente del Comune di Siena, come nella questione dei diritti senesi sul castello di Montieri, conteso con i vescovi di Massa Marittima e Volterra e poi con il Comune di Pisa, che si trascinò dal 1327 al 1333, la cui causa approdò infine alla Curia pontificia.
Mentre dimorava in Avignone, nel 1329, Petrucci si adoperò per far togliere la scomunica inflitta al governo dei Nove dal vescovo massetano e si guadagnò la stima di papa Giovanni XXII, che si avvalse di un suo parere per dichiarare nulla l’unione della pieve di San Giustino alla mensa vescovile di Fiesole, decretata dal legato in Toscana cardinale Giovanni Caetani Orsini. Lo stesso presule, durante il suo mandato (1326-34), sciolse Petrucci da ogni vincolo con l’Ordine carmelitano, consentendogli di godere di numerosi benefici annessi a pievi e canoniche appartenenti alla diocesi d’Arezzo, ma ubicate nel contado senese.
Non più tardi della primavera del 1333 Petrucci divenne docente di diritto canonico all’Università di Perugia che, a differenza di Siena e Verona, godeva del titolo e dei privilegi di Studio generale e si stava affermando come sede della scuola giuridica più autorevole d’Europa: successe a Paolo Liazari e a Ricovero da San Miniato e tenne la cattedra almeno sino al 1343, senza subire la concorrenza di canonisti della sua statura, ma annoverando, tra i colleghi civilisti, maestri quali Cino da Pistoia e Bartolo da Sassoferrato e vantando allievi come Baldo degli Ubaldi. Furono anni, quelli del magistero perugino, che coincisero con il periodo più intenso e fecondo dell’attività didattica e scientifica del giurista senese.
Tra la tarda estate e l’autunno del 1343 Petrucci confessò a papa Clemente VI tutto il suo rimorso per il modo nel quale aveva ottenuto dal cardinale Caetani Orsini lo scioglimento da qualsiasi obbligo nei confronti dell’Ordine carmelitano, vale a dire avvalendosi di testimoni che avevano dichiarato il falso con l’asserire che egli, al momento di lasciare l’abito, non aveva ancora compiuto quindici anni. Supplicò, quindi, lo stesso pontefice di essere riammesso nel clero regolare e ottenne di entrare nell’Ordine benedettino, dopo essersi spogliato dei propri beni destinandoli alle sorelle Cia e Fiore. Divenuto ben presto abate dell’antico monastero di Sant’Eugenio alle porte di Siena, tra il 1344 e il 1345 si stabilì presso la Curia pontificia, dalla quale poteva garantire maggiore tutela alle posizioni di fratelli e nipoti, impegnati nell’attività bancaria oppure interessati a prebende e cariche ecclesiastiche, e nello stesso tempo era in grado di dare suggerimenti più efficaci al governo della sua città natale, come nel dicembre 1347, allorché scrisse ai Nove affinché inviassero un loro ambasciatore per sollecitare la soluzione di una vertenza tra il Comune di Siena e il vescovo di Sovana circa i beni appartenuti al conte Jacopo da Santa Fiora (Archivio di Stato di Siena, Concistoro, 2, c. 73r).
Dopo questo intervento, però, dell’autorevole canonista e solerte consigliere si perdono per sempre le tracce, il che fa ritenere che sia morto durante la grande pestilenza del 1348.
La produzione scientifica di Petrucci, costituita per lo più da quaestiones disputatae e consilia, ma comprendente anche un trattato Super materia permutationum in tema di benefici ecclesiastici e la repetitio sul capitolo Dilectus del Liber Extra, esprimeva una vasta e profonda conoscenza delle dottrine dei maggiori canonisti che l’avevano preceduto, congiunta a una non comune capacità di analisi dei problemi giuridici, acquisita dialogando, fino agli anni della maturità, specialmente con Giovanni d’Andrea e Cino da Pistoia; quest’ultimo gli consigliò, con parole famose, di ricorrere a quel criterio fondamentale per interpretare le norme di diritto comune secondo la nuova metodologia dei commentatori, che consisteva nella ricerca sistematica della ratio e della mens del legislatore. La raccolta delle quaestiones e dei consilia di Petrucci, approntata da un altro allievo di Giovanni d’Andrea, il canonista Lapo Tatti da Poggibonsi, anch’egli benedettino, era destinata a notevole fortuna: già intorno alla metà del Trecento era posseduta da Giovanni Calderini e continuò a circolare, specialmente tra i giuristi interessati alla carriera ecclesiastica, sino alla fine del XIV secolo. I manoscritti si moltiplicarono durante la prima metà del Quattrocento, attestando la diffusione dell’opera in numerosi ambienti. Dagli anni Settanta comparvero i primi incunaboli, che si sono rivelati meritevoli di attento studio per le loro peculiarietà redazionali, e nel corso del XVI secolo furono pubblicate numerose edizioni delle quali non esiste ancora oggi un censimento definitivo.
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