PAPPACODA, Federico (Federigo). – Nacque a Pisciotta (attuale provincia di Salerno) il 22 giugno 1654 da Francesco, marchese di Pisciotta e barone di Centola, e da Livia Gesualdo. Fu secondogenito dopo Domenico (1653-1723)
, che ereditò il titolo di marchese di Pisciotta e che nel 1666 divenne principe di Centola. Federico, cadetto, divenne abate di S. Vito in Taranto.
Della fervida attività culturale che avrebbe contraddistinto la vita di Pappacoda una delle testimonianze più significative è quella di Giambattista Vico nella sua autobiografia: «Frattanto il signor duca di Medinaceli vicerè aveva restituito in Napoli il lustro delle buone lettere, non mai più veduto fin da’ tempi di Alfonso di Aragona, con un’accademia per sua erudizione del fior fiore de’ letterati propostagli da don Federico Pappacoda, cavalliere napoletano di buon gusto di lettere e grande estimatore de’ letterati, e da don Nicolò Caravita; onde, perché era cominciata a salire appo l’ordine de’ nobili in somma riputazione la più colta letteratura, il Vico, spintovi di più dall’onore di essere stato tra tali accademici annoverato, tutto applicossi a professare umane lettere» (G. Vico, Vita di G. Vico scritta da se medesimo, in Id., Opere, a cura di A. Battistini, I, Milano 1990, p. 28).
Pappacoda fu in effetti strettamente associato a Nicolò Caravita nel promuovere presso il viceré di Napoli, Luis Francisco de la Cerda, duca di Medinaceli, l’Accademia, detta palatina, per rimarcare il suo ruolo "Reale", ma conosciuta anche con il titolo ducale del viceré, che la istituì nel Palazzo Reale, con decreto del 20 marzo 1698, coinvolgendo, sotto l’abile e acuta supervisione di Caravita e di Pappacoda, che ne divenne segretario, alcuni dei più rappresentativi uomini di cultura del Regno. Prima della sua istituzione ufficiale, l’Accademia aveva iniziato le sue riunioni il 4 novembre 1696 per festeggiare la recuperata salute di Carlo II «Re di Spagna, di Napoli ecc.», come risulta dalla raccolta (Componimenti recitali all'Accademia addì 4 di novembre MDCXCVI…, Napoli 1697) curata da Caravita e da Pappacoda, che vi collaborarono, e sin dall’inizio aveva mostrato una forte attenzione a far conoscere i risultati delle sue riunioni e, comunque, a conservarli attraverso la loro trascrizione. L’Accademia terminò le sue sedute verso il settembre del 1701, quando scoppiò la 'congiura di Macchia', a cui seguirono la dura repressione e, il 28 febbraio 1702, la definitiva partenza del viceré per la Spagna.
L’attività dell’Accademia comprendeva, principalmente, le Lezioni; secondariamente, i componimenti poetici. Pappacoda tenne le Lezioni: Della vita di Antonino Pio, Delle Vestali, Dell’Ecco, Lezione sopra la ditta e la disditta del giuoco. La critica esprime fondate riserve sul valore di queste sue Lezioni, le quali rivelano la persistenza di temi tradizionali della cultura seicentesca e una sostanziale incapacità di inserirli in un contesto ideologico innovativo.
Altrettanto sembra potersi affermare della produzione poetica di Pappacoda, registrata all’interno dell’Accademia e definita in un numero di oltre venti Rime, singole composizioni di vario metro, per lo più sonetti ed epigrammi. Si tratta di testi letterari, che bene si inseriscono nel contesto cortigiano dell’Accademia e che si prestano a un’analisi comparata e integrata con le stesse Lezioni. Oltre la significativa ripresa della lingua latina, appaiono evidenti i segni di un petrarchismo che si era attardato nel Cinquecento, sostenuto soprattutto da Pietro Bembo e Giovanni Della Casa. I membri dell’Accademia, scrittori e persino scienziati, ne appaiono conquistati e lo rinforzano con un purismo linguistico che si ricongiunge alla grande tradizione toscana, a dispetto delle pur notevoli istanze espressionistiche e dialettali della cultura napoletana e meridionale del tempo.
Se Federico Pappacoda, di cui nelle Lezioni viene rimarcato il titolo di abate, risulta, come segretario dell’Accademia e come suo membro, un autorevole esponente della cultura napoletana tra fine Seicento e primo Settecento, una rappresentazione diversa della sua figura emerge dai Giornali di Napoli di Domenico Confuorto che, dal 1679 al 1699, consentono di ricostruire la cronaca della città da una prospettiva 'popolare' e antinobiliare.
La velenosa penna di Confuorto presenta l’«abate don Federico Pappacoda, della casa dei marchesi di Pisciotta» come «uomo, benché nato nobile, di pravissime qualità, sentina di viziose azzioni e schiuma de’ furfanti…». Pappacoda è descritto come un nobile dalla natura proterva e violenta, che non si faceva scrupolo, con i suoi armigeri, di provocare risse, ferimenti e omicidi, talvolta in complicità con potenti principi napoletani, come quelli di Macchia e di Monteacuto.
Morì il 2 luglio 1719 in circostanze non accertate.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Napoli, Serra, Manoscritti genealogici, VI, p. 1977; Lezioni dell’Accademia di Palazzo del duca di Medinaceli. Napoli 1698-1701, a cura di M. Rak, I-V, Napoli 2000-2005 (i primi quattro tomi raccolgono le Lezioni, il quinto le note sulla storia dell’Accademia e sul suo ruolo nella cultura europea di fine Seicento); D. Confuorto, Giornali di Napoli dal 1679 al 1699, a cura di N. Nicolini, I, Napoli 1930, pp. 67 s., 89 s.; II, 1931, pp. 74, 76-78, 80-82.
G. Rispoli, L’Accademia Palatina del Medinaceli. Contributo alla storia della cultura napoletana, Napoli 1924, pp. 12 s., 16, 18, 20, 23 s., 28, 30, 33; G. Ricuperati, La prima formazione di Pietro Giannone. L’Accademia Medina-Coeli e Domenico Aulisio, in Saggi e ricerche sul Settecento, Napoli 1968, pp. 94-171; S. Suppa, L’Accademia di Medinacoeli fra tradizione investigante e nuova scienza civile, Napoli 1971, pp. 33 s., 37, 163; M. Torrini, Antonio Monforte. Uno scienziato napoletano tra l’Accademia degli Investiganti e quella Palatina di Medinaceli, in Ricerche sulla cultura dell’Italia moderna, a cura di P. Zambelli, Bari 1973, pp. 110-113; M. Rak, Le «Rime» dell’Accademia di Medinacoeli, in Bollettino del Centro di studi vichiani, IV (1974), pp. 148-159; A. Montano, Le Accademie private e la libera ricerca a Napoli in età moderna, in I testimoni del tempo. Filosofia e vita civile a Napoli tra Settecento e Novecento, Napoli 2010, pp. 180-185.