MALIPIERO, Federico
Nacque a Venezia l'11 nov. 1603 da Caterino di Alvise e da Elisabetta Cappello di Silvano di Giovanni Battista.
Questo ramo della famiglia, tra le più antiche del patriziato, risiedeva a S. Samuele e non godeva di largo censo, come è dimostrato dalle modeste carriere politiche del padre e dei fratelli maggiori del M.; egli tuttavia ebbe la possibilità di ricevere una buona educazione umanistica, grazie anche alla cospicua biblioteca domestica, incrementata dal lascito dell'avo, cardinale Marco Antonio Da Mula.
Raggiunta l'età prevista dalla legge, il M. intraprese la carriera nelle magistrature della Repubblica e fu provveditore sopra gli Uffici dal 30 apr. 1629 al 29 apr. 1630. Sarebbe stata, questa, l'unica carica pubblica ricoperta dal M.: per sua vocazione, infatti, si sentiva attratto da una vita dedicata allo studio e all'attività di scrittore, che riteneva potesse offrirgli quelle soddisfazioni e quella fama dalle quali lo escludeva la permanenza nell'ambito delle magistrature minori.
Nel suo testamento, stilato a Venezia il 29 luglio 1636, spiega come giunse alla scelta che fu decisiva per la sua vita, consentendoci di far luce su una tormentata vicenda spirituale e psicologica. In esso il M. afferma di aver "fatto proposito et ferma rissolutione così da Sua Divina Maestà inspirato", di farsi "relligioso" di S. Salvador e - avvalendosi del "testamento della q. ill.ma sig.ra Paolina Moresina, relitta in primo voto di Federigo Moresini q. Marcantonio, et in secondo moglie del q. Zan Battista Moresini q. Giacomo, nel qual vien detto che possi disponere del suo residuo" - deciso di conferire parte di queste sostanze in favore dei canonici regolari di S. Salvador. Il testamento disponeva anche alcuni lasciti alle tre sorelle monache del M. e istituiva eredi i suoi cinque fratelli, dietro versamento di un vitalizio annuo di 400 ducati, perché nel corso della sua permanenza nel monastero di S. Antonio, dipendente dalla chiesa di S. Salvador, "sia sano o sia malato", non avesse da gravare sui confratelli. La benefattrice, Paolina, era stata sorella del nonno del M., Alvise, e siccome non aveva avuto figli dai due successivi matrimoni con altrettanti esponenti di casa Morosini, il 4 nov. 1610 aveva testato a favore dei nipoti Malipiero. Fu questa eredità, dunque, che permise al M. di compiere la sua scelta, probabilmente non facile, dal momento che non fu dettata da un forte slancio spirituale.
Avvalora l'ipotesi di una carenza vocazionale nella scelta di vestire l'abito religioso l'intensa attività di scrittore. Dopo aver esordito con la Vita del b. Lorenzo Giustiniano patriarca di Venezia (Venezia 1638), scontato omaggio al protopatriarca e futuro santo, insigne esponente della storia sacra di Venezia, e sciolto ogni debito di riconoscenza verso i religiosi della sua città, il M. affrontò temi politici col più impegnativo Salomone regnante, dedicato al cavaliere Girolamo Lando: "Scrivo - così nella dedica - per non vivere ozioso e mi affatico per non essere vizioso". Il libretto, uscito nel 1639, gli valse una qualche rinomanza, come dimostra l'immediata cooptazione nell'Accademia degli Incogniti, presieduta da Giovanni Battista Loredan.
L'opera voleva essere una riflessione storico-politica intorno al governo di Salomone, ma in realtà si riduce a una semplice narrazione degli eventi principali che ne segnarono il lungo regno, nella quale sono inserite brevi considerazioni di carattere morale: nessuna valenza significativa, dunque, ma il respiro corto di una preparazione storica tutto sommato inadeguata rispetto all'ambizioso assunto.
Lo stesso tono trattatistico e serioso caratterizza l'Eva, uscita l'anno dopo (Venezia 1640) e dedicata all'abate Benedetto Erizzo, primicerio di S. Marco. L'operetta, che fu inserita nella ristampa veneziana dell'Adamo del Loredan, porta una chiara impronta antifemministica, sulla scia della ben nota querelle del tempo: "O quanto è tenuto il marito ad amar la moglie [(], per esser quella una similitudine della di lui propria natura", "una isquisitissima pittrice la quale, sopra le tele della natura figliando, pennelleggia nel parto l'immagine paterna" (pp. 44 s.).
Il tema del romanzo religioso, tendenzialmente rivolto a un pubblico provvisto di qualche nozione teologica, venne continuato dal M. con la Peripezia d'Ulisse, overo La casta Penelope (ibid. 1640) e poi con l'Annibale eroe (ibid. 1642), entrambi a metà fra la novella amorosa e la storia romanzata. Nel triennio 1640-42 vide la luce, sempre a Venezia, gran parte della sua produzione letteraria: vite di santi (La b. Maria Lorenza Longa prima institutrice delle capuccine), romanzi storici (Il Saulo convertito; Il Campidoglio combattuto da Francesi; L'imperatrice ambitiosa), traduzioni (Il ratto di Proserpina, di Claudiano; l'Iliade, l'Odissea, la Batracomiomachia, di Omero), e anche qualche novella rivolta a lettori meno esigenti.
Una produzione intensa, dunque, quasi frenetica, che può spiegarsi solo con l'ansia di emergere dal grigiore di uno status sociale inadeguato alle sue ambizioni (il M. non poteva immaginare che qualche anno più tardi, nel 1647, un fortunato matrimonio avrebbe consentito al fratello Alvise di acquistare il titolo procuratorio e di promuovere improvvisamente la famiglia ai vertici della politica e della società veneziana). Anche le dediche delle sue opere a politici o a prelati influenti suggeriscono brama di notorietà, ricerca di consenso e riconoscimenti da parte del gran mondo.
A giudicare dai primi risultati conseguiti, si può ritenere che il M. avesse motivo di ritenersi appagato: apparentemente inspiegabili, dunque, le ragioni che lo spinsero al suicidio.
Asciutta la chiosa dei genealogisti Barbaro - Tasca: "Si annegò volontariamente al Lido. 1643"; alquanto più dettagliato il Cavalli (p. 18): "Nel 1643 entrò in così furiosa melanconia che, venutagli in uggia la vita, andò al Lido a gettarsi in mare". Dunque, all'origine della sua decisione di togliersi la vita vi fu una crisi depressiva.
La registrazione del decesso, effettuata dai provveditori alla Sanità in data 15 nov. 1642, consente solo di precisare la data dell'evento: "Il rev. don Federico Malipiero vicario di S. Antonio trovato anegato a Lio, di anni 39".
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd., I, St. veneta, 20: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de' patritii veneti, IV, c. 392; Segretario alle voci, Elezioni in Maggior Consiglio, reg. 15, c. 89; Corporazioni soppresse, S. Salvador, b. 4/I; Notarile. Testamenti, b. 288/192; Provveditori e Sopraprovveditori alla Sanità, Necrologi, reg. 871, sub 15 nov. 1642; P.A. Zeno, Memoria de' scrittori veneti patritii(, Venetia 1661, p. 77; F. Cavalli, La scienza politica in Italia, III, Venezia 1876, pp. 18 s.; T. Bozza, Scrittori politici italiani dal 1550 al 1650. Saggio di bibliografia, Roma 1949, p. 184; F. Antonini, La polemica sui romanzi religiosi: una lettera da Parigi di Ferrante Pallavicino, in Studi secenteschi, XXXI (1990), pp. 30-32, 49-51.