LUIGINI, (Luisini, Lovisini), Federico
Scarsissime sono le notizie biografiche che lo riguardano. Secondo Liruti il L., della nobile famiglia udinese, sarebbe figlio di Bartolomeo e Paola Manini, e fratello minore dei più noti Francesco e Luigi. L'ipotesi è da Liruti basata su una lettera inedita del L. datata 1( ag. 1550 e indirizzata a uno zio materno; la lettera, oggi introvabile, era conservata tra i manoscritti della biblioteca privata dell'erudito Carlo Fabrizi, che il biografo ebbe modo di consultare. La nascita del L. cadrebbe alla fine degli anni Venti del XVI secolo.
Compì probabilmente i primi studi a Udine e, al pari dei fratelli maggiori, li proseguì a Padova. Ancora giovanissimo si trasferì a Venezia, presso Luigi, dove strinse rapporti di amicizia con letterati, tra cui G. Ruscelli che incluse due sonetti del L. nella raccolta da lui curata Del tempio alla divina signora donna Giovanna d'Aragona (Venezia, P. Pietrasanta, 1555, cc. 221 s.).
Non sono note altre circostanze della vita del L., di cui si ignorano l'anno e il luogo della morte.
Non offre alcun soccorso alla biografia la produzione letteraria che, stando sempre alle ricerche di Liruti, doveva essere non esigua e per lo più in lingua: tra i manoscritti del L. visionati nella biblioteca di Fabrizi, il biografo rinvenne infatti "più di settanta componimenti poetici italiani originali, e ripieni di cancellazioni, la maggior parte sonetti, e madrigali, oltre una sestina, tre canzoni, ed un sonetto in lingua friulana" quasi tutti di argomento amoroso (p. 154); segnalò inoltre un tetrastico latino e un Liber proverbiorum, modellato forse sugli Adagia di Erasmo da Rotterdam, editi da A. Manuzio, nonché una traduzione in italiano di una non precisata "operetta spirituale", sempre erasmiana, di cui il L. faceva menzione nella citata lettera a Manini.
Opera maggiore del L., e che ha riscosso l'interesse degli studiosi, è il Libro della bella donna, dato alle stampe a Venezia grazie all'interessamento di Ruscelli, per P. Pietrasanta, nel 1554. Come si evince dalla lettera di dedica indirizzata a Lucrezia Gonzaga di Gazzuolo, Ruscelli ne procurò l'impressione dopo aver dato in lettura il testo del L. (cui era legato da "strettissima fratellanza") "a ciascun amico, che l'ha voluto, per leggerlo o per trascriverlo", e dopo aver richiesto i "consegli di molte persone dotte e giudiciose" (Trattati del Cinquecento sulla donna, p. 307). Sulla struttura formale del dialogo il trattato innesta quella della visione onirica; l'autore immagina infatti di avere sognato che alcuni gentiluomini friulani (Giacomo Codroipo, Pietro Arigone, il dottor Della Fornace, un Vinciguerra e un Ladislao), riunitisi nella villa del Codroipo a San Martino per dedicarsi alla caccia, trascorrano le loro serate discutendo di come "formare una donna tale, quale forse non si vide giamai, cioè bella a perfezione, e che manchi d'ogni opposizione che le si potrebbe fare" (ibid., p. 226), ispirandosi, nei particolari, alle donne più belle da loro conosciute.
L'opera, dedicata a monsignor Giovanni Manini, è divisa in tre libri, corrispondenti a tre giornate; nei primi due sono presi in esame gli elementi che concorrono a delineare il modello di bellezza esteriore femminile. Nel primo sono descritti i particolari della testa e del volto, nel secondo le altre parti del corpo, nel terzo e ultimo libro, in virtù del principio che "né l'anima sola, né il corpo solo, ma l'uno e l'altro vengono a definire l'uomo" (ibid., p. 272), gli interlocutori considerano gli aspetti utili a compendiare l'idea di bello interiore. La donna immaginata dai cinque gentiluomini è rivestita delle grazie attribuitele da poeti e artisti dall'antichità in poi: la sua immagine è forgiata attingendo alla letteratura classica e volgare ogniqualvolta essa offra una tradizione a cui riferirsi. L'elencazione procede idealmente dall'alto verso il basso, secondo il criterio canonico della descriptio exterior: si comincia dai capelli, per toccare poi gli occhi, la fronte, le palpebre, le ciglia, il naso, le guance, per passare al petto, le braccia, le mani, le gambe, fino ai piedi. Una maggiore autonomia dai referenti letterari hanno a volte le sequenze riservate, nel secondo libro, alla descrizione delle varie parti del corpo femminile.
Nel complesso l'ideale estetico del L. si avvicina al modello bembiano, di cui riproduce le concezioni dominanti; tuttavia, creatura in cui si fondono pudicizia e onestà e che schiva l'uso di artifici, la donna del L. è portatrice di un'idea di bellezza in cui buono e naturale coincidono; sicché, finendo per identificare il suo aspetto con quello della natura non lavorata dall'uomo, secondo Luigia Zilli in una certa misura il L. "rischia di sottrarsi all'ordine rinascimentale, di cui il "giardino ameno" è la manifestazione più visibile" (p. 28). Per quanto riguarda le qualità morali della donna, il L. traccia un quadro basato sul rispetto dei principî religiosi, che presuppongono castità, umiltà, cura per la casa e per il marito, senza tuttavia precludere l'interesse per la musica e le lettere.
Il Libro della bella donna ebbe alcune riedizioni tra Ottocento e Novecento: ne curò una stampa C. Teoli per la "Biblioteca rara" di G. Daelli (Milano 1863; ed. anast., Bologna 1974); mentre A. Tessier pubblicò due novelle del L. nell'opuscolo Tre brevi novelle (Venezia 1854). Successivamente, oltre alla riproposizione da parte di G. Zonta nei Trattati del Cinquecento sulla donna, Bari 1913, pp. 221-308, si segnala una nuova edizione a cura di L. Pescasio, Milano 1974.
Fonti e Bibl.: G.G. Liruti, Notizie delle vite ed opere scritte da letterati del Friuli, II, Venezia 1762, p. 154; F. Flamini, Il Cinquecento, Milano 1902, pp. 381 s.; L. Zilli, "Il libro della bella donna" di F. L. da Udine, in Quaderni utinensi, I (1983), pp. 153-155; M. Roges, The decorum of women's beauty: Trissino, Firenzuola, L. and the representation of women in sixteenth-century painting, in Renaissance Studies, II (1998), pp. 47-76.