FEDERICO I Gonzaga, marchese di Mantova
Figlio primogenito di Ludovico III marchese di Mantova e di Barbara di Hohenzollern, nacque a Mantova il 2 luglio (più probabilmente che il 25 giugno) del 1441, oltre sette anni dopo le nozze tra il secondo marchese e la prineápessa tedesca.
Mentre il padre attendeva, negli anni Quaranta, alla ricostruzione dell'unità politica del Marchesato, smembrato per volontà testamentaria di Gianfrancesco, morto nel settembre 1444 (che in ossequio ad una, del resto corrente, concezione patrimonialistica dello Stato ne aveva spartito il territorio tra i figli), F. ebbe - in un ambiente nel quale era vivo il grande insegnamento di Vittorino da Feltre - illustri maestri sin dalla prima infanzia. A precettori dei figli di Ludovico (subito dopo F. nacquero infatti altri quattro maschi: nel 1444 Francesco, il futuro cardinale, e poi Gianfrancesco, Rodolfò, Ludovico, oltre a cinque figlie) furono infatti chiamati dal 1449 al 1453 (quando tornò al servizio del Comune di Vicenza, donde lo avevano strappato le insistenze di Ludovico e Barbara) Ognibene Bonisoli da Lonigo (già alunno alla "Casa giocosa" di Vittorino) e successivamente 1453-57) il Platina.
Nel 1449 il Bonisoli indirizzò al giovanissimo F. una lunga lettera latina, quasi un trattatello, in lode del padre Ludovico (al quale la composizione era com'è ovvio indirettamente rivolta) proponendoglielo come modello di vita e di virtù; e come F. ricorderà, ormai adulto, in una lettera alla madre, compose anche una grammatica, "regole per insignare a putti", per il suo illustre alunno, che gliene richiese più tardi (1473) per i propri figli un'altra copia, subito eseguita (e presto edita a stampa). Anche il Platina gli dedicò parecchi anni dopo (attorno al 1470) un ben noto trattato, il De principe. Ilcontatto con questi illustri maestri non sembra però aver esercitato un'influenza immediatamente incisiva nella formazione intellettuale di Federico. Nel 1456 Francesco FiIelfo, che altrove lo definisce "di natura malinconica", si rivolge a Barbara di Hohenzollem mostrandosi preoccupato riguardo alla sua educazione letteraria; e ancora nel marzo 1459, scrivendo alla stessa, lo giudica meno propenso ad apprezzare le lettere rispetto al fratello Francesco (che aveva recitato una orazione composta per lui dall'umanista). Nella risposta, Barbara si mostra consapevole della fondatezza dei giudizi del Filelfò, riconoscendo che F. ha altri interessi, ma manifestando la speranza che, una volta appreso a "gustar più le littere", si sarebbe impegnato di più nello studio.
In anni successivi peraltro F., pur non mostrando un particolare trasporto per la cultura letteraria e riconoscendo anzi tranquillamente i limiti della propria competenza e del proprio interesse, manifestò certamente un diverso atteggiamento al riguardo. Ebbe però ovviamente particolare sensibilità per la dimensione pubblico-propagandistica dell'attività letteraria: durante la campagna militare del 1479 si preoccupò di procurarsi dal Filelfo l'orazione scritta per l'anniversario della morte del padre, e seguì la stesura di un'opera destinata ad esaltare i suoi fasti militari, la Fredericheide; si interessò poi, ovviamente, della scelta degli istitutori per i figli, compito nel quale si succedettero negli anni '70 e '80 Gaspare Tribraco, Mario Filelfo, Colombino Veronese, uno sconosciuto Cristoforo Franchi, forse Battista Spagnoli (F. rifiutò invece nel 1483 una autocandidatura di Battista Guarino). Si avrà modo di accennare più sotto allo sviluppo delle lettere e delle arti a corte sotto il suo governo, secondo le linee tracciate da Ludovico, e al fatto che la propensione personale di F. si indirizzasse in modo particolare all'architettura.
Nel frattempo, all'età di 11 anni, F. era stato armato cavaliere durante il soggiorno in Mantova dell'imperatore Federico III (1452), insieme con Antonio Gonzaga, Benedetto Strozzi, Giovanni Cavriani, Giovanni da Grignano e Francesco Secco: quest'ultimo, appartenente ad una famiglia signorile bergamasca, genero di Ludovico Gonzaga per averne sposato la figlia naturale Caterina, sarebbe rimasto legatissimo a F. per tutta la sua vita, svolgendo nella corte e nel governo del Marchesato un ruolo di primissimo piano. Non si hanno notizie precise, per gli anni seguenti, di un aspetto importante della formazione di F., cioè del suo apprendistato militare, al quale lo chiamava una tradizione familiare che si confondeva con le ragioni stesse della sopravvivenza e dell'autonomia politica dello Stato mantovano: gli introiti derivanti dalle condotte erano infatti imprescindibili per i Gonzaga, come per altre dinastie signorili dell'Italia centrosettentrionale. A tale attività F. si dedicò nonostante la salute tutt'altro che ferrea (nella corrispondenza gonzaghesca sono frequentemente menzionate sue malattie) e il fisico deforme (oltre alla pinguedine, era affetto ereditariamente. come le sorelle Susanna e Dorotea, da gibbosità: all'età di 21 anni il cronista Schivenoglia lo definisce efficacemente "gobo, cortexe et piaxevollo"); ed è stato notato, al riguardo, che egli fu probabilmente il solo Gonzaga raffigurato dal Mantegna, nel celebre affresco della camera dipinta detta degli sposi, con una certa indulgenza.
Fra il sesto e il settimo decennio del secolo Mantova fu teatro di vicende di grande rilievo politico e dinastico: la Dieta indetta da Pio II (17 maggio 1459-14 genn. 1460), l'elezione al cardinalato del giovane Francesco, fratello di F., il clamoroso affaire del matrimonio, combinato e poi andato in fumo per le controversie legate alle condizioni fisiche della sposa, fra Galeazzo Maria Sforza e Dorotea Gonzaga.
Ultimo, e certo di minore ma pure non trascurabile importanza fra questi avvenimenti, si colloca il matrimonio del ventunenne F. con una principessa di origine tedesca. Nella scelta della sposa (Margherita di Wittelsbach, figlia di Alberto II il Pio, poi duca di Baviera) ebbe certamente influsso la volontà della madre di F., Barbara di Hohenzollern. che era legata anche da lontana parentela alla casata bavarese (e che del resto accasò Oltralpe anche la figlia, Barbara col duca di Württemberg Eberardo I. Le trattative per il matrimonio furono condotte a Mantova nel 1462; il contratto di fidanzamento fu stipulato l'8 settembre di quell'anno (mediante un atto che fornisce la più antica notizia documentaria sulla stanza che diverrà la celebre camera mantegnesca).
La Wittelsbach fu accompagnata a Mantova, da Innsbruck, da una ricca scorta (della quale facevano parte tra gli altri - oltre a Gianfrancesco e Rodolfo, fratelli di F. - Antonio Gonzaga e Benedetto Strozzi), accolta coi massimi onori a Bressanone, Trento e Verona; la missione non fu priva di risvolti e di problemi politici, legati all'interdetto di cui era fatto oggetto il Tirolo. È ben nota, grazie ad un agrodolce giudizio del coevo cronista mantovano, lo Schivenoglia, la scarsa politesse della principessa. Un giudizio radicalmente diverso è invece espresso, sul punto, da Barbara in una lettera al figlio cardinale: si compiace della scelta della nuora. Le nozze furono celebrate con grande fasto il 7 giugno 1463; delle giostre e degli spettacoli celebrati per l'occasione il citato cronista ha tramandato una accurata descrizione.
Dal matrimonio nacquero diversi figli: dopo Chiara (nata nel 1464 ed accasata nel 1480 con Gilberto di Borbone, conte di Montpensier), il primogenito Francesco, nato nel 1466, destinato a succedere a F. al governo del Marchesato, armato cavaliere nel 1469 dall'imperatore Federico III, insieme con un folto gruppo di cittadini mantovani; Sigismondo, nato nel 1469, avviato ben presto alla carriera ecclesiastica e destinato a divenire il secondo cardinale della casata; Elisabetta, nata nel 1471, poi moglie di Guidobaldo da Montefeltro duca di Urbino; Maddalena, nata nel 1472, che sarebbe stata maritata a Giovanni Sforza signore di Pesaro, e infine Giovanni, nato nel 1474, capostipite della linea dei Gonzaga di Vescovado.
Nella seconda metà degli anni Sessanta, e nel decennio successivo, F. non poté ovviamente svolgere un ruolo politicamente attivo, mentre il padre Ludovico tentava, con successo, di mantenersi aperto uno spazio di manovra e prospettive di espansione territoriale fra le principali potenze padane sfruttando al massimo l'arma costituita dalle proprie capacità di condottiero. Tuttavia, se lo si trova nel 1465 impegnato in compiti di rappresentanza (con la madre Barbara si reca ad incontrare Bianca e Ippolita Sforza), dall'anno seguente F. compare in prima persona nel quadro degli accordi di condotta che il padre stringe con le principali potenze. Nell'aprile 1466 Ferrante d'Aragona e Galeazzo Maria Sforza si impegnano a versare a F., che evidentemente era a capo di un proprio contingente, 2.000 ducati. Nell'aprile 1470 Ludovico e F. sono nuovamente condotti dagli Sforza; nel maggio 1472 gli accordi furono rinnovati e, dello stipendio annuo di 82.000 ducati complessivi durante bello, 12.000 furono previsti per Federico. Sin dal 1469, inoltre, egli fu non solo impegnato militarmente, ma anche coinvolto nel governo dello Stato sotto il profilo stricto sensu politico, come mostrano i suoi contatti con i rappresentanti sforzeschi. Si può parlare quindi di un vero e proprio periodo di apprendistato: a conclusione del quale si può collocare in qualche modo la formale decisione di Ludovico di designarlo come successore. Secondo lo Schivenoglia infatti nel 1472 il marchese "se deliberoe de fare atestamente e si fece a lasoe la signoria a messer Fedrigo"; e del resto nel 1473 l'ambasciatore mantovano a Milano, Zaccaria Saggi, si riferisce a F. (dando notizia a Ludovico di voci, circolanti a Milano, di una aspra rivalità che opponeva F. e il fratello Gianfrancesco, allora al soldo della Chiesa ma in predicato di essere assunto dal duca di Milano) come al legittimo successore.
Nel dicembre 1476, al momento dell'assassinio di Galeazzo Maria Sforza, F. si mobilitò a fianco del padre, che era capitano generale dell'esercito sforzesco, e concentrò un contingente a Marcaria, pronto ad intervenire nel territorio milanese. Ma, ormai quasi quarantenne, F. mantenne, rispetto all'energica madre Barbara, che affiancava costantemente Ludovico nel disbrigo degli affari interni, un ruolo subordinato; circostanza non priva d'interesse, come si vedrà, in ordine al problema della successione.
Ludovico morì il 12 giugno 1478 e F. fu riconosciuto marchese il 14 giugno. Agli inizi del suo governo e al problema della successione di Ludovico si collega un episodio fondamentale della storia dello Stato gonzaghesco, cioè la definitiva spartizione del territorio fra i figli di Ludovico, in base a quella concezione patrimoniale dello Stato che già ai tempi di Gianfrancesco aveva portato ad analoghe decisioni. Secondo l'opinione prevalente, il mancato reperimento, o forse il voluto occultamento e distruzione del testamento del marchese (stando ad una fonte cinquecentesca l'atto fu bruciato: cfr. Archivio di Stato di Mantova, Fondo d'Arco, n. 57: G. Daino, Series chronologica capitaneorum, marchionum ac ducum Mantue ab anno 1368 ad annum 1550, c. 21r) avrebbe consentito alla marchesa Barbara di pilotare questo momento delicatissimo della storia della famiglia e dello Stato: dichiarando di conoscere il contenuto del documento, ella avrebbe proceduto a tale divisione per evitare discordie tra i figli.
Non sembra che sulla questione dell'eredità di Ludovico sia stata detta una parola definitiva (che difficilmente potrà essere ormai pronunciata, viste le esaustive e sotto questo particolare profilo infruttuose ricerche compiute nei carteggi gonzagheschi). Se, infatti, ha un suo fondamento l'argomentazione secondo la quale appare improbabile che Ludovico si proponesse di realizzare un tale smembramento, dopo che egli stesso negli anni Quaranta aveva tribolato non poco per ricostituire l'unità dello Stato, è anche vero che la concretizzazione dei primi atti connessi con la spartizione appare troppo immediata per pensare ad un piano architettato lì per lì, fulmineamente: già il 13 giugno, il giorno successivo alla morte del padre e un giorno prima della formale assunzione del potere, F. notificava ai vicari di Castelgoffredo, Ostiano e Castiglione delle Stiviere, l'arrivo di un plenipotenziario di Ludovico e Rodolfò, destinato a prendere possesso di quelle terre. Ed è difficile pensare che la marchesa avesse predisposto il tutto, rendendone consapevoli i figli, ancora vivo Ludovico, la cui malattia fu brevissima (appena quattro giorni).
Comunque F. ebbe Mantova e il titolo marchionale, e ovviamente la maggior parte del territorio; ma al cardinale Francesco e a Gianfrancesco spettarono Bozzolo, Isola Dovarese, Sabbioneta ed altre terre nel Cremonese, mentre al protonotario Ludovico e a Rodolfo le terre al confine col Bresciano (Canneto, Castelgoffredo, Castiglione delle Stiviere, Ostiano, Redondesco e Solferino). Nelle settimane successive F. addivenne peraltro a diversi aggiustamenti territoriali con i fratelli: cedette a Rodolfò e Ludovico la proprietà di Luzzara e Marmirolo (salvo poi riacquistare a caro prezzo, nel 1480, il palazzo di Marmirolo), ottenendo in cambio Canneto sull'Oglio, strategicamente importante; cedette altresì (31 luglio 1478) diverse località a Gianfrancesco e Francesco, per ottenere il grosso centro, sino a non molti anni prima politicamente indipendente sotto i Pallavicino, di Viadana. Un accordo definitivo tra tutti gli eredi e cosignori fu stipulato nel febbraio 1479; il 10 giugno 1479 l'imperatore Federico 111 concedeva ai diversi titolari le investiture richieste. Fu anche sancito l'impegno dei due ecclesiastici di cedere i loro diritti, alla morte, a Rodolfò (capostipite dei Gonzaga di Sabbioneta-Bozzolo) e a Gianfrancesco (col quale iniziò la linea di Castiglione delle Stiviere): in tempi diversi, i centri più importanti dei nuclei patrimoniali costituitisi nel 1479 divennero sede di marchesati e principati. È significativo che la spartizione del Marchesato sia stata soppesata con qualche attenzione dagli Stati alleati: alla corte sforzesca ci si chiese per esempio come F. avrebbe potuto, con risorse depauperate, mantenere gli impegni assunti di alleanza politico-militare con Milano. Peraltro, l'evoluzione successiva dimostrò che non derivarono, dalla separazione, conseguenze irreparabili sul piano politico ed economico, né per la dinastia né per la città.
La linea politica seguita da F. nei mesi successivi all'assunzione del potere fu segnata dalla continuità rispetto al passato. Si era a una congiuntura estremamente delicata: nell'aprile a seguito della congiura dei Pazzi era stato ucciso Giuliano de' Medici, e proprio fra giugno e luglio 1478 scoppiò la guerra fra la Repubblica fiorentina e le potenze ad essa alleate (Milano, Venezia, Ferrara, Bologna, Faenza, Mantova e Luigi XI re di Francia) ed il papa (sostenuto da Ferrante d'Aragona e dai signori romagnoli e marchigiani). Il coinvolgimento diretto di F. non poté che passare attraverso i rapporti con il Ducato di Milano e si concretizzò nell'invio di un contingente (al comando di Francesco Secco) ai confini appenninici, in Val di Taro (ottobre-novembre 1478), e in una richiesta di intervento a Bellinzona, attaccata nel dicembre 1478 da 10-12.000 Svizzeri (in disaccordo con il Ducato per la questione della Val Leventina e sobillati dalla diplomazia pontificia). Contrastare un nemico numericamente cospicuo, ma "senza governo", e non abituato alle guerre italiche, cioè ad un assedio, come gli Svizzeri stessi riconoscevano, non sarebbe stata probabilmente impresa difficile per F. (e per Francesco Secco, convocato insieme con lui), agli ordini del quale dovevano operare Giovanni Battista dell'Anguillara, Marsilio Torelli, Giovanni Antonio Secco. Ma la notizia del prossimo arrivo nell'area ticinese dell'esercito lombardo, sinallora impegnato in Liguria, e l'opposizione di Luigi XI indussero gli Svizzeri a togliere l'assedio e resero inutile la mobiUtazione di F., già recatosi a Cremona ove gli fu comunicato il contrordine.
Nelle lettere alla moglie F. manifesta disappunto per non aver potuto compiere un'impresa dalla quale sperava di conquistarsi onore e gloria. Ma tra i motivi che lo spinsero ad accettare la richiesta di intervenire proveniente dalla reggenza milanese c'erano anche l'urgenza finanziaria e la necessità di porre le condizioni per un rinnovo della ferma: una pronta disponibilità facilitò il pagamento degli arretrati dovutigli. Il cespite delle condotte era infatti, come si è detto, essenziale per la floridezza delle finanze statali, tanto più trovandosi egli a governare, dopo gli smembramenti del 1478. Agli inizi del suo governo le condizioni economiche del Marchesato avevano infatti suscitato in lui più di una preoccupazione, come si deduce dal tono delle sue lettere e dalla cautela con la quale egli risponde a richieste di sovvenzioni e di aiuti da parte di letterati ed umanisti riferendosi ai debiti lasciati dal padre. Il suo carteggio con Lorenzo de' Medici, in questi mesi, verte quasi esclusivamente intorno alla restituzione, che F. rinvia e diluisce nel tempo, di 11.000 ducati (su un totale di 14.000 prestati a Ludovico), 9.000 dei quali da restituire a brevissimo termine: a ciò F. tenta di far fronte anche con la vendita di alcune proprietà, ma sono appunto i proventi della condotta milanese che, soli, possono consentire di far fronte a tale necessità: nella sostanza si attua un trasferimento di denaro da Milano a Firenze.
Nei primi mesi del 1479, dopo una complessa trattativa, la condotta fu rinnovata a F., alle condizioni precedenti (70.000 ducati con 400 uomini d'arme e 500 fanti) per l'anno di beneplacito (ilrinnovo facoltativo appunto d'un anno, alla scadenza), nonostante fossero intercorsi contatti per una sua assunzione da parte di Venezia e di Lorenzo de' Medici. Si concretizzò subito l'eventualità di un intervento diretto nel territorio fiorentino, allora attaccato dall'esercito papale ed aragonese. La partenza di F. subì però diversi rinvii ed egli si mosse solo alla fine di aprile, dopo avere ottenuto il pagamento degli arretrati e la nomina a governatore generale di tutte le forze milanesi in quella regione. Giunto in Toscana per la via di Pistoia, F. fu personalmente impegnato nelle operazioni nella primavera-estate del 1479, con risultati invero assai mediocri. Le divergenze fra il comandante generale Ercole d'Este e F., e in particolare un grave incidente tra il contingente mantovano e quello estense (una violenta zuffa, con numerosi morti - oltre 100 secondo un cronista - causata da contrasti per la spartizione del bottino del castello di Casole d'Elsa), ebbero negative conseguenze sulle operazioni militari e indussero i governi fiorentino e milanese a spostare F. e i suoi nell'altrazona d'operazioni, a Perugia (giugno-luglio 1479); in agosto poi buona parte del contingente mantovano, non avendo ricevuto la paga, disertò. F. restò comunque nell'Italia centrale sino al 12 ottobre, quando la notizia della malattia della moglie (morta il 14) lo indusse a rientrare a Mantova, lasciando il comando a Evangelista Gonzaga, figlio naturale del suo defunto zio Carlo.
Nell'anno successivo il quadro politico nazionale si modificò a seguito della costituzione (13 marzo 1480) di una lega fra Milano, Napoli, Firenze e il papa, che nel maggio però si alleò con Venezia. Sin dai primi di marzo F. aveva rinnovato la condotta milanese, e restò sostanzialmente legato al suo tradizionale datore di lavoro, anche se, nelle complesse trattative sulle condotte militari intercorse nel marzo-luglio 1480 fra le tre potenze rimaste alleate, l'impegno a pagare metà dei 36.000 ducati dovutigli era stato assunto dal Regno meridionale. F., pur costantemente informato dagli ambasciatori residenti nelle varie capitali (di particolare rilievo il carteggio del rappresentante a Milano, Zaccaria Saggi), fu solo marginalmente coinvolto nella complessa attività diplomatica di quell'anno; soltanto nel settembre, a conferma dei prestigio del quale godeva, si fece per un momento il suo nome come possibile intermediario per la risoluzione delle controversie fra Siena e Firenze, ma il progetto non prese corpo.
F. si dedicò dunque con relativo agio agli affari interni e prese importanti iniziative, destinate a segnare le future vicende dinastiche e politiche. A quest'anno risalgono infatti le trattative e gli accordi per il matrimonio fra il primogenito Francesco (quindicenne) e Isabella d'Este, figlia del duca Ercole e di Eleonora d'Aragona, su una base di 25.000 ducati di dote (più 8.000 da pagarsi da Federico). Alla stipula del contratto il marchese fu rappresentato da Francesco Secco; l'evento fu solennizzato nei mesi successivi, con scambi di visite e con adeguati festeggiamenti. Più o meno contemporaneamente, fra il giugno 1480 e il gennaio 1481, veniva definito anche il matrimonio di Chiara, figlia di F., con Gilberto di Borbone conte di Montpensier (la dote ammontò, questa volta, a 26.000 ducati), con un apparato celebrativo ancora superiore, al dire del cronista Schivenoglia ("non se porà dire le feste e trionfy e le spexe chossy grandy, mai da la cha de Gonzaga non se fece de simily"). Fu quasi certamente per questa occorrenza che il banco Medici, su richiesta del governo milanese, prestò a F. 10.000 ducati, che i rappresentanti medicei cercarono già nel dicembre 1480 di farsi restituire (o direttamente a Mantova, o via Milano). La giovane, "acomodandosi il meglio che la pò" ad un matrimonio politico, partì poi per la Francia il 16 giugno 1481.
A corte, già in precedenza, non erano mancati problemi e difficoltà per F., in particolare per il contrasto, talvolta aperto, fra la madre Barbara, progressivamente emarginata, e la moglie Margherita di Wittelsbach (coinvolta, nelle frequenti assenze del marito, nell'ordinaria attività amministrativa e di governo, non solo del palazzo e della famiglia, ma anche della città e del territorio, come mostra la corrispondenza del 1479, ove ci si occupa di concessioni di grazie, di promozioni di funzionari o di copertura dei vicariati e delle podesterie del contado, di provvedimenti sanitari, ecc.). Non sorprende poi che sospetti ed incomprensioni caratterizzassero i rapporti fra F. ed i fratelli; egli fu ostile per esempio alla legittimazione del figlio del fratello Francesco, noto come "il Cardinalino", protetto finché fu in vita da Barbara (scomparsa il 7 nov. 1481). Quanto agli altri fratelli, Rodolfo e Gianfrancesco, non mancò l'accusa (sostenuta da un Paolo Erba, appartenente al seguito del quarto fratello, il vescovo Ludovico) di aver tentato di avvelenare F. ed il figlio Francesco. Il marchese si avvalse infatti, preferenzialmente, della collaborazione di un ristretto clan di uomini di corte e di governo, fra i quali primeggiavano due personaggi già influenti sotto il padre Ludovico, non amati a quanto sembra dai sudditi ma certamente in possesso di notevoli doti amministrative, diplomatiche e militari: Eusebio Malatesta (non appartenente alla famiglia signorile riminese) e soprattutto in rebus bellicis il già citato Francesco Secco, che le fonti cronistiche non locali (come il Diario ferrarese dello Zambotti) definiscono "governadore del marchexe de Maritoa", che nella documentazione ufficiale compare come "magnifico condutore, consiliario e parente nostro" e che fu impegnato al fianco o in vece di F. nel Parmense nel 1478, in Toscana nel 1479, e nella guerra di Ferrara nel 1482-84. Oltre a Francesco, anche altri esponenti della famiglia, come Stefano, occuparono posizioni di responsabilità nell'organigramma del governo signorile.
A questo periodo risalgono anche alcuni provvedimenti di un certo rilievo per l'amministrazione urbana di Mantova. Nel 1481 fu infatti ripristinata la carica di podestà del Comune, soppressa da Ludovico nel 1467 e sostituita da una vicepodesteria (con una scelta che il cronista Schivenoglia mostra di non gradire, giacché così facendo fu tolto "uno pocho de onore" alla città: un minimo di sentimento civico dunque sopravviveva nella Mantova del pieno Quattrocento); riguardo ad essa vi sono negli anni successivi frequenti rapporti con Lorenzo de' Medici, che in più occasioni raccomanda a F. candidati fiorentini. Nello stesso anno si interviene sull'assetto del Collegio dei giudici ed avvocati. Va ricordato inoltre che col governo di F. coincide - forse anche per impulso signorile - una congiuntura favorevole per taluni settori dell'economia mantovana, segnatamente il lanificio.
L'alleanza fra la Repubblica veneta e il papa Sisto IV ai danni di Ercole d'Este, stretta nel 1481, vide F. ovviamente schierato con Ludovico il Moro, Firenze medicea ed il Regno meridionale. Le operazioni belliche iniziarono nell'agosto 1482 e non videro il marchese fra i protagonisti diretti, l'esercito della Lega essendo affidato al comando di Federico di Montefeltro. La guerra coinvolse sia pure marginalmente anche il territorio mantovano (nella zona del Po, a Melara); nei mesi precedenti F. aveva provveduto ad iniziare una attenta opera di ristrutturazione delle fortezze di confine, facendo eseguire lavori a Goito, Cavriana, Castiglione Mantovano, Villimpenta, Canneto, Viadana, Marcaria ed altrove, con la collaborazione di valenti ingegneri, tra i quali Giovanni da Padova e Luca Fancelli.
Sulle orme del padre, F. ebbe infatti grande interesse per l'architettura, ed oltre che nel settore militare prese iniziative di grande rilievo nell'edilizia sacra cittadina (promuovendo la costruzione della cappella di S. Maria dei Voti nella cattedrale) e in quella residenziale e di corte. Portò avanti infatti l'annosa trasformazione in senso residenziale del castello di Marmirolo, nel contado mantovano, ove secondo una tradizione fu effigiato insieme con la moglie, e consentì anche la costruzione del palazzo di Luzzara, per il fratello Rodolfò, ma soprattutto intervenne nel complesso degli edifici signorili in città. Oltre a seguire attentamente i rifacimenti di interni (anche a livello di arredi e di decorazioni, ad es. predisponendo con la consulenza dell'umanista Niccolò Cosmico le figurazioni mitologiche) nel castello di S. Giorgio, iniziò nel 1480 la costruzione della "Domus nova" (rimasta peraltro interrotta nel 1484, alla sua morte), la cui progettazione e costruzione fu affidata al fido Luca Fancelli (l'architetto toscano da decenni protagonista delle iniziative edilizie gonzaghesche) sotto il suo continuo controllo. L'impegno di F. in questo campo (che, erroneamente ma significativamente, ha fatto in passato addirittura ritenere che a lui in prima persona fosse da attribuire il progetto della "Domus nova") è rilevabile da numerosi episodi: il tentativo di far venire a Mantova Francesco di Giorgio Martini, la curiosità per la struttura della residenza feltresca a Urbino (assunta come modello), la nomina (forse nel 1483) di un sovrintendente generale alle fabbriche gonzaghesche. Nel 1479 per esempio, durante la campagna di guerra in Toscana, non si peritò di convocare il Fancelli a Firenze per fargli vedere "un modo de far volta de giara e de calcina come si usava ora a Firenze".
Lo sviluppo delle arti e delle lettere nella corte di Mantova durante il pur breve marchesato di F. non può certo essere adeguatamente sviluppato in questa sede. La corte mantovana ospitava personalità di rilievo, come il Poliziano (nel 1480: anche se è stata recentemente confutata in modo convincente la proposta di tale data per la rappresentazione dell'Orfeo); né mancava attenzione per l'incremento della biblioteca. Continuava l'attività a Mantova di Andrea Mantegna; personale interesse e munificenza di F. si indirizzavano a settori diversi, come l'oreficeria o la medaglistica o la tipografia, oltre che ovviamente alla pittura e alla scultura (ad esempio con il concorso per il sepolcro di Barbara di Hohenzollern).
Nel novembre 1482, durante la prima fase della guerra di Ferrara, F. fu costretto a tagliare gli argini del Mincio per ostacolare l'avanzata dell'esercito veneziano, che aveva occupato tutto il Polesine. Intervenne però il voltafaccia di Sisto IV, che ruppe l'alleanza con Venezia ed inviò Francesco Gonzaga come legato a Ferrara. Il successivo congresso di Cremona (febbraio 1483) doveva preparare l'attacco della Lega contro Venezia. F. (che nella circostanza ospitò per alcuni giorni Lorenzo de' Medici) partecipò personalmente ai lavori, insieme coi più fedeli collaboratori e col fratello Gianfrancesco, giocando un ruolo notevole - espressamente riconosciutogli da Ludovico il Moro - per autorevolezza ed esperienza. Poco dopo (12 apr. 1483) fu nominato capitano generale del duca di Milano e stipulò un accordo quinquennale con Giangaleazzo Sforza (o meglio Ludovico il Moro) e col Medici. A causa della salute malferma non prese parte in prima persona alle operazioni militari che, a partire dall'agosto, si svolsero fra i territori mantovano, bresciano e veronese sotto la guida di Alfonso duca di Calabria, affidando il comando a Francesco Secco. Pur in una situazione per altri versi assai rischiosa (proprio allora il fratello Rodolfò passò, con 60 uomini d'arme e 300 cavalli, dalla parte di Venezia), la politica di F. conseguì un rilevante successo: nell'ottobre fu infatti conquistata, dopo breve assedio, la terra di Asola, nel Bresciano. F. consentì che il giovane figlio Francesco, sedicenne, affiancasse Francesco Secco nell'impresa, per imparare da lui il mestiere delle armi. Subito F. tentò di consolidare il controllo della cittadina, la cui conquista rappresentava un modesto ma realistico obiettivo della sua partecipazione alla guerra, ed inviò 400 asolani in ostaggio a Mantova, ma Asola era destinata a tornare (nel quadro della pace di Bagnolo: 7 ag. 1484, pochi giorni dopo la morte di F.) sotto il controllo della Repubblica veneta, previo un indennizzo di 60.000 ducati corrisposto secondo un cronista "in tanto sale". Nei primi mesi del 1484 fu stabilita fra i due schieramenti una tregua trimestrale; F., in cattive condizioni di salute, fu ancora rappresentato, alle trattative svoltesi a Milano, dal Secco, senza rinunciare peraltro ad occuparsi attivamente della carriera dei famigliari (si aspirava al cardinalato per il fratello di F., il protonotario e vescovo di Mantova Ludovico, col quale era in qualche modo in concorrenza Sigismondo, pure protonotario, figlio di F.; il cardinale Francesco, per F. prezioso punto di riferimento in Curia, era morto nel 1483).
Ancora vivo F., lo stesso Secco provvide ad assicurare la successione contro le prevedibili iniziative dei fratelli del signore, facendo presidiare dal fratello Stefano Secco, in difesa degli interessi di Francesco, il figlio primogenito, il castello di S. Giorgio.
F. morì a Mantova il 14 luglio 1484. Aveva fatto testamento diversi anni prima della morte, il 21 apr. 1479, certamente in vista della campagna militare in Toscana per la quale si apprestava a partire; a nessuno degli altri figli (Giovanni e Sigismondo), né ovviamente alle figlie Chiara, Maddalena ed Elisabetta spettarono legati di rilievo politico. Richiese di essere sepolto "sine aliqua pompa aut cerimonia" nella tomba dei suoi avi nella chiesa di S. Francesco, ove erano stati tumulati anche la moglie Margherita e il padre Ludovico.
Non di frequente cronisti e testimoni contemporanei espressero valutazioni esplicite e complessive sull'operato di F., ma si può dire che il giudizio, spesso invero un po' generico, è comunque costantemente positivo. Per esempio, un cronista bolognese, che gli è favorevole anche in episodi di controversa valutazione (come il contrasto del 1479 con Ercole d'Este), lo definisce "prudento, in le arme excelento, dotato di infinite virtù".
Fonti e Bibl.: L'elencazione che segue si riferisce alle opere effettivamente utilizzate e non è da considerarsi esaustiva; per ogni settore disciplinare, in particolare per quelli storico-artistico e storico-architettonico, occorrerà partire dai lavori più recenti ed affidabili per un quadro dei contributi specialistici. Per le fonti inedite mantovane, amplissimamente esplorate da una erudizione ultrasecolare, e in particolare per il carteggio, in larga misura regestato in base ad interessi scientifici i più diversi (politico-diplomatici, artistici, letterari, architettonici), cfr. naturalmente L'Archivio Gonzaga di Mantova. La corrispondenza familiare, amministrativa e diplomatica dei Gonzaga, II, a cura di A. Luzio, Verona 1922 (pp. 48-52 per espliciti riferimenti a Federico). Cfr. inoltre Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, b. 416, I, fase. 14: Cronichetta manoscritta che comincia da Bonifazio padre della gran contessa Matilde..., cc. 7rv; A. Allegretti, Diarii d. cose sanesi del suo tempo, in L. A. Muratori, Rer. Ital. Script., XXIII, Mediolani 1733, coll. 789 s.; Corpus chronicorum Bononiensium, a cura di A. Sorbelli, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XVIII, I, pp. 450, 452 s; Cronica gestorum in partibus Lombardiae et reliquis Italiae (aa. 1476-1482) (= Diarium Parmense ...), a cura di G. Bonazzi, ibid., XXII, 3, pp. 27, 32, 38 s., 41, 43, 46-53, 60 s., 70, 73, 88, 93, 99, 108; Diario ferrarese dall'anno 1409…, a cura di G. Pardi, ibid., XXIV, 7, t. I, pp. 44, 99, 109, 113; Diario ferrarese di B. Zambotti, ibid., t. II, ad Ind.; M. Sanuto, Commentarii della guerra di Ferrara, Venezia 1829, pp. 16, 41, 65, 97, 115, 144; D. Malipiero, Annali veneti dall'anno 1447 al1500, in Arch. st. ital., III (1843), pp. 260, 281, 286 ss., 291; Cronaca di Mantova di Andrea Schivenoglia dal MCCCCXLV al MCCCCLXXXIV, a cura di C. d'Arco, in Raccolta di cronisti e documenti storici lombardi inediti, diretta da G. Mueller, I, Milano 1875, pp. 126, 147, 150 ss. [edizione scorretta e non completa; cfr. Mantova, Biblioteca comunale, ms. I.I. 2, n. 1019: Andrea da Schivenoglia, Cronaca di Mantova]; S. dei Conti da Foligno. Le storie de' suoi tempi dal 1475 al 1510 …, a cura di G. Racioppi, I, Roma 1883, pp. 70, 181, 183, 186, 193; Cronaca di Anonimo veronese 1446-1488 …, a cura di G. Soranzo, Venezia 1915, pp. 171 s., 323, 333, 340, 348-352, 357 s., 361, 368, 372 s., 384, 390 s., 393, 402, 404, 411; Epistolario di Guarino Veronese, a cura di R. Sabbadini, II, Venezia 1916, p. 655; III, ibid. 1919, p. 503; F. Amadei, Cronaca universale della città di Mantova, a cura di G. Amadei-E. Marani-G. Praticò, Mantova 1955, II, pp. 70, 129-38, 157-59, 217-68 e passim; Diari di Cieco Simonetta, a cura di A. R. Natale, Milano 1962, pp. 245 s.; Acta in Consilio secreto in castello Portae Iovis Mediolani, a cura di A. R. Natale, III, Milano 1965, ad Indicem; B. Platina, De principe, a cura di G. Ferraù, Palermo 1979, pp. 36, 40 s.; M. Equicola, Dell'istoria di Mantova libri cinque.... Mantova 1610, pp. 189-98; 1. Donesmondi, Dell'istoria ecclesiastica di Mantova, Mantova 1615, pp. 57-64; L. C. Volta, Compendio cronologico-critico della storia di Mantova dalla sua fondazione sino ai nostri tempi, II, Mantova 1827, pp. 149, 151 ss., 179, 188-215; C. D'Arco, Studi intorno al Municipio di Mantova dall'origine di questa fino all'anno 1863, II, Mantova 1872, pp. 29 s., 210; V, ibid. 1873, pp. 76 s.; VII, ibid. 1873, pp. 63 s.; P. Ferrato, Lettere inedite di donne mantovane del secolo XV tratte dall'archivio de' Gonzaga in Mantova, Mantova 1878, pp. 41 s. (erroneamente attribuite a Ludovico), 43; R. Sabbadini, Lettere inedite di Ognibene da Lonigo con una breve biografia, Lonigo 1880, pp. 16 (lettera a F.), 41; A. Bertolotti, Le arti minori alla corte di Mantova nei secoli XV, XVI e XVII. 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Maloselli, in Arch. di Stato di Mantova, Gonzaga, b. 282bis, c. 36 v, per la data di nascita di F.); Id., La malattia mortale di Barbara diBrandeburgo Gonzaga seconda marchesa di Mantova, in Civiltà mantovana, n.s., XV (1987), pp. 1-5, 7-17, 21, 23, 27 s.; G. Rodella, Giovanni da Padova. Un ingegnere gonzaghesco nell'età dell'Umanesimo, Milano 1988, pp. 45-51, 74, 108, 139-42, 146 ss., 152; G.B. Borgogno, La lingua cancelleresca mantovana del Quattrocento, in Atti e memorie d. Accademia Virgiliana di scienze, lettere ed arti n.s., LVII (1989), pp. 51 s., 54, 56 s.; G. Margini-R. Castagna, Monete mantovane dal XII al XIX secolo, Mantova 1990, pp. 62 ss. (e bibliogr. cit.); D. S. Chambers, Mantua and Trent in the laterfifteenth century, in Il Trentino in età veneziana (Rovereto 18-20 maggio 1989). Atti d. Accad. Roveretana degli Agiati, 238, 1988, Rovereto 1990, pp. 70, 72 s.; M. 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