GUALTEROTTI, Federico
Rimatore fiorentino attivo nella seconda metà del XIII secolo.
Federico, "domini Gualterotti de Florentia", è attestato in un documento trasmesso dai memoriali bolognesi e più precisamente nel memoriale redatto dal notaio Jacobus de Fulianis relativo al periodo compreso fra il 2 gennaio e il 10 luglio 1274.
Il documento è importante perché oltre a fissare una più esatta cronologia per il poeta (si riferisce infatti al marzo di quell'anno) sembrerebbe attestare un viaggio compiuto dallo stesso in Francia, forse per ragioni commerciali: "Dominus Bartholomaeus Amanati pro se et sociis confessus fuit recepisse a domino Nicholao domini Guilielmini duodecim libras turonensium, quas Iacobus Gerardi de Florentia solvere debebat dicto domino Bartholomeo vel sociis pro Federico domini Gualterotti de Florentia in lundinis lagnini, pro quo Federico dictus dominus Nicholaus solvere promisit, si dictus Iacobus non solvisset, ut dictum est, salvo et acto quod si quo tempore apparuerit dictum Iacobum vel alium pro eo solvisse dicto domino Bartholomeo vel sociis dictos denarios, promisit dicto domino Bartholomeo dictam pecuniam restituere dicto domino Nicholao. Ex instrumento Iacobi Bonaventure not. hodie facto in curia de Acharixiis […] Die Sabati ultimo exeunte martio" (Arch. di Stato di Bologna, Ufficio dei memoriali, Memoriale, 25, c. 246r).
Il toponimo indicato nel documento, "lundinis lagnini", è stato corretto da Zaccagnini in "lagnini" e identificato con Lagny, nell'antica provincia francese di Champagne, nel Medio Evo celebre luogo di commerci. Inoltre, secondo lo stesso Zaccagnini, il G., bandito da Firenze nel 1268 (ciò solo per Torraca, p. 226, e Monaci), era probabilmente "andato con altri fiorentini a tentar la fortuna in terra di Francia". L'ipotesi non riesce neppure adesso del tutto peregrina se si pensa non solo alle vicende dei conterranei Brunetto Latini o Aldobrandino da Siena, ma anche al fatto che i Fiorentini godevano in Francia di particolari privilegi concessi loro per decreto da Filippo Augusto.
Quanto al bando da Firenze, nelle aggiunte alla rubrica 139 della Cronaca fiorentina di Marchionne di Coppo Stefani pubblicate per la prima volta da Ildefonso di San Luigi e tratte per la maggior parte dal cosiddetto Libro del chiodo, si trova annotato: "Hii sunt Ghibellini rebelles exbapniti sacre regie maiestatis, et communis Florentie […] De Sextu Burgi Sanctorum Apostolorum […] de Populo Sanctorum Apostolorum […] Federicus fil. Mainetti […] Gualterotti".
L'identificazione del nome compreso nella lista di proscrizione parve tuttavia controversa a Massera che avvertì come il G. "non è da confondere […] col nipote Federico di messer Mainetto Gualterotti, che alla sua fede più accesa dové l'esilio" (Sonetti burleschi e realistici dei primi due secoli, a cura di A.F. Massera, II, Bari 1920, p. 79). La cautela espressa dallo studioso (anche se il documento registra un Federico "filius Mainetti") potrebbe trovare qualche giustificazione nel fatto che il G. poteva appartenere a una famiglia Gualterotti, di parte guelfa, dimorante in un altro sesto della città di Firenze ovvero nel quartiere di Porta S. Maria. Di parte guelfa infatti parrebbe la posizione espressa dal rimatore nel suo sonetto di risposta alla tenzone a più voci (cfr. infra), sonetto dal quale egli risulta, per l'appunto, l'unico alleato del proponente, il guelfo Monte Andrea. Occorre ricordare tuttavia che se permangono ancora difficoltà interpretative, esse corrispondono alle incertezze e lacune di informazione storica che riguardano persino la stabilità delle parti, pure in un momento di acceso scontro politico qual è quello della Toscana comunale dopo Montaperti.
I documenti richiamati sembrerebbero esaurire le fonti storiche relative al G., di cui si ignora, pertanto, anche la data di morte.
Al G. è ascritto il quarto sonetto della famosa tenzone politica a più voci (di complessivi diciassette testi sui diciotto previsti, perduto l'intervento di Pallamidesse di Bellindote) avviata dal guelfo Monte Andrea col testo: S'e' ci avesse, älcun sengnor più, ['n] campo, a cui risposero, nell'ordine: Cione di Baglione, Guglielmo Beroardi, il G., Chiaro Davanzati e Lambertuccio Frescobaldi. La tenzone è tradita unicamente dal ms. conservato presso la Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat., 3793, cc. 167r-168v, nn. 882-898 a conferma del fatto che "non fosse per lo zelo del copista Vaticano, il tasso di politicità della poesia duecentesca ci apparirebbe praticamente eguale a zero" (Giunta). È composta attualmente da diciassette componimenti (giusta l'indicazione primitiva nel ms.: "tenzone XVIII", corretta poi in XVII). Il verso incipitario del quarto sonetto, attribuito nella rubrica del manoscritto vaticano a "Federigo Gualterotti", è Chi di cercar sengnore si sag[g]ia.
È ancora incerto se l'occasione che diede materia alla tenzone sia da riconoscere nella discesa di Corradino di Svevia in Italia (1267-68) o, più verosimilmente, in quella - solo eventuale - di Rodolfo d'Asburgo (intorno al 1278-80). La seconda ipotesi di datazione è ritenuta, pure dubitativamente, più probabile nella bibliografia recente. Un efficace riepilogo dell'una e dell'altra posizione è dato da Menichetti nell'edizione critica delle rime di Chiaro Davanzati (C. Davanzati, Rime, a cura di A. Menichetti, Bologna 1965, pp. 368-371).
Monte Andrea propone in un sonetto a doppia rima equivoca la sua apologia dell'Angioino e dice che se qualcuno volesse mai entrare in guerra con quello (Carlo d'Angiò) che ha per stemma un giglio in campo azzurro, non potrebbe trovare scampo anche se costui fosse ricco tanto da aver più danaro che non ci sia acqua nel Po. Ser Cione risponde difendendo Corradino / Rodolfo. Lo seguono gli altri, anche loro poco persuasi della superiorità dell'Angioino, che difendono invece la superiorità di un signore tedesco ("segnor […] de la Magna") che si era messo in viaggio verso l'Italia. In appoggio a Monte interviene dunque il G. e la tenzone prosegue poi soltanto tra Monte e Frescobaldi.
La solidarietà del G. con la posizione di Monte è dimostrata da argomenti di carattere formale e sostanziale, tra l'altro dal fatto che la proposta "era strutturata su due sole rime equivoche (campo / corso). I primi due interlocutori (Cione e Beroardo) non avevano raccolto. L'intervento di Gualterotti (saggia / colta appunto) vale ad imporre definitivamente tale congegno. Monte, in segno di ammiccante gratitudine, riprende in 13 come seconda, la prima rima del collega" (Monte Andrea, Le rime, a cura di F.F. Minetti, Firenze 1979, p. 246).
Il testo del G. è stato edito in: Sonetti burleschi e realistici dei primi due secoli, a cura di A.F. Massera, II, cit., p. 79; E. Monaci, Crestomazia italiana dei primi secoli, a cura di F. Arese, Roma-Napoli-Città di Castello 1955, p. 307; C. Davanzati, Rime, a cura di A. Menichetti, cit.; Monte Andrea, Le rime, a cura di F.F. Minetti, cit., pp. 246 s.; Concordanze della lingua poetica italiana delle origini, a cura di D'A.S. Avalle, I, Milano-Napoli 1992, p. 533.
Fonti e Bibl.: Cronaca fiorentina di Marchionne di Coppo Stefani, a cura di N. Rodolico, in Rer. Ital. Script., 2a ed., XXX, 1, pp. 21, 28; Delizie degli eruditi toscani, VIII (1777), p. 221; L'Archivio dell'Ufficio dei memoriali. Inventario, I, a cura di L. Continelli, Bologna 1988, p. 16; F. Torraca, Studi sulla lirica italiana del Duecento, Bologna 1902, pp. 226 s.; G. Zaccagnini, Per la storia letteraria del Duecento. Notizie biografiche ed appunti dagli archivi bolognesi, Milano [1913], pp. 29 s.; E. Monaci, Crestomazia italiana dei primi secoli, cit., p. 307; G. Bertoni, Il Duecento, a cura di A. Vallone, Milano 1964, p. 167; L. Rossi, L'evoluzione dell'intreccio: Bouvin e Andreuccio, in Filologia e critica, I (1976), pp. 5-14; R. Antonelli, Dal clericus al poeta, in Letteratura italiana, diretta da A. Asor Rosa, II, Torino 1983, pp. 188 s.; S. Asperti, Carlo d'Angiò e i trovatori. Componenti "provenzali" e angioine nella tradizione manoscritta della lirica trobadorica, Ravenna 1995, pp. 187 n. 84, 190; C. Giunta, La poesia italiana nell'età di Dante. La linea Bonagiunta-Guinizzelli, Bologna 1998, p. 271.